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L'angolo di Jane

Tutto su Jane Austen e sui libri che mi piacciono!

L'ANGOLO DI JANE

Benvenuti nel mio blog!

Questo spazio è dedicato a recensioni di libri e film, ai miei racconti,  a riflessioni personali di varia natura e soprattutto a Jane Austen, una delle mie scrittrici preferite.

Sono una stella del firmamento
che osserva il mondo, disprezza il mondo
e si consuma nella propria luce.
Sono il mare che di notte si infuria,
il mare che si lamenta, pesante di vittime
che ad antichi peccati, nuovi ne accumula.
Sono bandito dal vostro mondo
cresciuto nell'orgoglio e dall'orgoglio tradito,
sono il re senza terra.
Sono la passione muta
in casa senza camino, in guerra senza spada
e ammalato sono della propria forza.

(Hermann Hesse)

 


 

 

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Noi credevamo - Anna Banti

Post n°615 pubblicato il 06 Ottobre 2010 da bluewillow
 

Titolo: Noi credevamo Autrice: Anna Banti Casa editrice: Mondadori pag: 348 costo: 9,50 €

L'unità d'Italia fu un'opera lenta, faticosa, spesso sanguinosa, ma soprattutto fu realizzata da un gruppo estremamente eterogeno di persone, unite dal comune sentire che il popolo italiano doveva essere riunito sotto una sola bandiera, per non essere più schiavo del mutevole favore di potenze straniere, ma che vedevano quell'unità realizzarsi in molte forme diverse.
Alcuni ritenevano che solo i Savoia avrebbe potuto tenere unito un popolo avvezzo a trovare nel re e nell'istituto monarchico dei punti di riferimento, altri, i patrioti più noti della nostra storia Risorgimentale, come Mazzini, fondatore della Giovine Italia, o Garibaldi, avevano idee più nettamente democratiche e repubblicane e avrebbero auspicato per il nostro Paese un ammodermanamento decisamente più radicale, per costruire finalmente un vero autentico ed unito popolo italiano.
In "Noi credevamo" (1967), Anna Banti dà voce proprio ad uno dei repubblicani delusi dal corso degli avvenimenti storici che, giunto all'estrema vecchiaia, prossimo alla morte, rievoca in una specie di memoir gli avvenimenti tumultuosi della propria giovinezza.
Nella fredda Torino del 1883, il calabrese Domenico Lopresti è sopraffatto dal desiderio, da sempre represso, di affidare alla carta i propri pensieri, i ricordi di un vita consacrata ad ideali spesso delusi.
Ormai da un ventennnio è stata sancità l'unità nazionale, per la quale Lopresti ha speso anni di prigionia in diverse carceri, eppure il Paese che l'anziano patriota ha sotto gli occhi non è quello per il quale ha combattuto: la monarchia piemontese ha semplicemente sostituito quella borbonica e ad un vecchio combattente non si perdona di aver tenuto per la repubblica piuttosto che per il re, idee queste pericolose che Lopresti ha dovuto nascondere per tutta la vita.
Giunto ad un bilancio doloroso della propria esistenza, costretto a vivere ormai solo nella propria stanza, l'uomo ricorda prima di tutto gli anni di carcere e l'ostinata tenacia con cui più giovane ha tenuto fede ad ideali giudicati più importanti di vita e libertà.
Sono però considerazioni amare, perché le speranze di una giustizia estesa anche ai più poveri, di uno stato che consideri uguali tutti i suoi cittadini, sono ormai impallidite di fronte all'evidenza che ben poco è cambiato, che il meridione è forse stato più tristemente abbandonato a sé stesso dai nuovi re.
Con un lungo racconto in prima persona, totalmente incentrato sul suo protagonista, in cui brillano per vivezza solo pochi altri personaggi, in gran part legati alla vita personale e non politica di Lopresti, Anna Banti, ci accompagna in un percorso di disullusione che è quello di un italiano che ancora non vede l'Italia che ha lungamente sognato e di un "vecchio giovane" che pur anelando il distacco, ancora soffre aspramente per non aver raggiunto i propri ideali e che con durezza ancora si rimprovera i propri errori.
Il titolo scelto dalla scrittrice racchiude il senso di insoddisfazione di Lopresti e degli uomini che sentono che una grande occasione con la storia è stata mancata per un soffio,  come se si intendesse "noi credevamo di combattere per la libertà", "noi credevamo nella repubblica", "noi credevamo che finalmente ci sarebbe stata vera giustizia", "noi credevamo di offrire un futuro migliore a coloro che amavamo".
Il libro di Anna Banti è certamente uno scritto scomodo, che mette in luce problemi che per il nostro Paese ha ancora oggi, dovuti forse ad una troppo tarda modernizzazione dell'Italia: connivenza del potere con la malavita (i piemontesi si appoggiano alla camorra per conquistare il Sud, così come avevano fatto i Borboni per tenere le posizioni), disparità sociale, difficoltà di diffondere un vero senso di democrazia e senso del diritto in una nazione in cui la cultura è privilegio di pochi.
Gli italiani descritti da Anna Banti, che siano piemontesi o calabresi, preferiscono ricevere dall'alto quel che cade dalla mensa del potente, conquistando le briciole con artifici e imbrogli, piuttosto che pretendere una vera giustizia e lottare per i propri diritti.
Quel senso di insoddisfazione dolorosa che anima Domenico Lopresti nella sua vecchiaia, dovremmo forse provarlo tutti: sentire che questo Paese ha bisogno ancora di persone che coraggiosamente lottino perché l'Italia voluta dai nostri patrioti, 150 anni fa, diventi finalmente vera, unita, autenticamente democratica.

Dal libro è stato tratto anche un film, sempre intitolato "Noi credevamo", diretto da Mario Martone e presentato all'ultima Mostra del cinema di Venezia, motivo per cui è stato ripubblicato dopo tanti anni questo libro di Anna Banti, pesudonimo della scrittrice Lucia Lopresti che, pur essendo nata a Firenze vantava, come il suo personaggio, origini calabresi.
Anna Banti, il cui libro più famoso e acclamato, è però l'ormai introvabile, "Artemisia" (1947), è stata anche una abile traduttrice: le sue traduzioni di "La fiera delle vanità" e " Barry Lindon" di Thackeray (entrambi recensiti su questo blog) , sono ancora pubblicati da Newton Compton.
Spero vivamente che presto vengano ripubblicate altre opere di questa bravissima scrittrice, che fa rimpiangere un periodo in cui nell'editoria italiana si dava forse più peso al contenuto e allo stile della scrittura, rispetto ad ora.

 
 
 
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