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L'angolo di Jane

Tutto su Jane Austen e sui libri che mi piacciono!

L'ANGOLO DI JANE

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Questo spazio è dedicato a recensioni di libri e film, ai miei racconti,  a riflessioni personali di varia natura e soprattutto a Jane Austen, una delle mie scrittrici preferite.

Sono una stella del firmamento
che osserva il mondo, disprezza il mondo
e si consuma nella propria luce.
Sono il mare che di notte si infuria,
il mare che si lamenta, pesante di vittime
che ad antichi peccati, nuovi ne accumula.
Sono bandito dal vostro mondo
cresciuto nell'orgoglio e dall'orgoglio tradito,
sono il re senza terra.
Sono la passione muta
in casa senza camino, in guerra senza spada
e ammalato sono della propria forza.

(Hermann Hesse)

 


 

 

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La grande festa - Dacia Maraini

Post n°922 pubblicato il 25 Novembre 2012 da bluewillow
 

 

Titolo: La grande festa Autrice: Dacia Maraini Casa editrice: Rizzoli pag: 222 formato: ebook costo: 1,99 (era una promozione)

“Nel passato l'ora della morte veniva considerata un momento di santità, di bellezza ineffabile e di comunione estrema con coloro che rimanevano. Una grande festa... Al morente che nutriva tale aspettativa di rado essa veniva negata, era la sua consolazione, la consolazione di coloro che gli volevano bene per il fatto di doversi separare. Per molti tale certezza era la fonte della speranza non solo di una buona morte, ma anche dell'esistenza di Dio e di una vita ultraterrena”.

A dispetto del titolo, che potrebbe far pensare a ben altro, “La grande festa” parla essenzialmente di un argomento che, secondo Dacia Maraini, è diventato ormai uno dei maggiori tabù moderni: la morte.

Attraverso una serie di ricordi che giungono alla memoria in ordine sparso, senza un preciso filo conduttore, la scrittrice rievoca gli affetti perduti più cari, le persone più importanti e il momento dell'addio ad ognuno di essi: l'amata sorella Yuki, il padre Fosco, il compagno Giuseppe e molti altri da cui separarsi ha spesso comportato momenti dolorosissimi, prove tanto per il morituro che per coloro che restavano.

Sofferenza e morte, ci dice Dacia Maraini vengono sempre più nascoste, sono argomenti proibiti, che suscitano paure oscure, come se negando la loro esistenza se ne potesse in qualche modo allontanare il temibile, quanto inevitabile, effetto.
Nella cultura occidentale i morti sono accettati solo nella loro rappresentazione più negativa: zombie, vampiri, mostri, creature che cercano di sottrarre qualcosa ai vivi.

Nei ricordi di Dacia Maraini però i morti sono ancora vivi, figure affascinanti che si muovono nella memoria lasciando la bellezza che hanno saputo donare: il padre capace di spiegare le stelle, la bella voce della sorella cantante, il sorriso gentile di un amico come Pier Paolo Pasolini, le ingenuità di una giovane Maria Callas.

La bellezza dei ricordi di Dacia Maraini è forse dovuta anche ad una vita fuori dall'ordinario e ad una famiglia decisamente speciale, in cui tutti sembrano possedere qualche forma di talento artistico.

L'evento cruciale dell'infanzia dell'autrice fu la prigionia in un campo di concentramento giapponese, dove il padre Fosco era stato confinato, insieme alla famiglia, per aver rifiutato di aderire alla repubblica di Salò: anni di una fame mai saziata, ma anche quelli della voce rassicurante di una giovane madre che racconta episodi di Pinocchio, anche lui così affamato da mangiare non solo una pera offerta da Geppetto, ma anche le sue bucce, prima rifiutate sdegnosamente.

Ai ricordi si intrecciano scambi epistolari e riflessioni più o meno filosofiche con l'amica Josepha che, in questo libro in cui è stato evocato Collodi, interpreta la dichiarata parte del grillo parlante, o meglio del “grillo sapiente”, come la definisce la stessa Maraini.

Rispetto ad altri volumi della stessa scrittrice, “La grande festa” ha decisamente un tono più informale: è un discorso a ruota libera, in un linguaggio sempre elegante, ma comunque più simile a quello giornalistico che non alla bellissima prosa dei romanzi più famosi della scrittrice, come “La lunga vita di Marianna Ucria” o “Il treno dell'ultima notte” (recensito qui).

Come in una sorta di diario pubblico, scopriamo piccoli e grandi dettagli biografici della Maraini donna: la grande e quasi invincibile timidezza, le notti d'infanzia passate a leggere in barba ai coprifuoco, l'amore per i cani, la difficoltà di trattare questioni di denaro.

Ho apprezzato questo volume, sia per la delicata bellezza dei ricordi biografici della scrittrice, che per le molte interessanti riflessioni sull'oblio obbligato relativo ad argomenti giudicati spiacevoli, come la fine della vita e il dolore che comporta. Tuttavia credo che questo volume ne avrebbe guadagnato se l'amica Josepha, che ha tutta l'aria di essere solo un alter ego della stessa Maraini (glielo auguro, perché altrimenti vorrebbe dire che in amicizia è una donna fin troppo paziente), fosse stata un po' meno pedante: certe volte sembra proprio una classica signorina so-tutto-io, vien voglia di dirle “sii meno rigida, per favore”, ma invece lei continua imperterrita ad elargire saggezza in maniera un po' fredda.

Credo che questa non sia per niente una lettura facile: mi ha fatto chiedere perché io stessa trovi difficile leggere o parlare di morte in un contesto realistico come quello descritto dalla scrittrice.
Probabilmente è perché evoca ricordi dolorosi di addii quasi sempre incompiuti, finali che, al contrario dei romanzi, dove tutto ha un senso, sono sempre tronchi e gettano l'ombra della totale casualità sull'idea che possa esistere un senso, un significato finale.

 

 
 
 
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