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S_CAROGNE

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Esistono persone al mondo, poche per fortuna, che credono di poter barattare una intera Via Crucis con una semplice stretta di mano, o una visita ad un museo, e che si approfittano della vostra confusione per passare un colpo di spugna su un milione di frasi, e miliardi di parole d'amore...

 

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« EldoradoLampada Osram »

Buona Fine e Buon Principio.

Post n°611 pubblicato il 06 Gennaio 2010 da delilah79

Sono sopravvissuta anche quest’anno. Non mi pare vero specie dopo l’ultima eroica vigilia.
5 gennaio, notte della Befana. Nonostante in giro ci siano varie ragioni ormonali che spingerebbero ad andare di loco in loco itinerando, il mio ex fidanzato (ex da ormai nove anni) insiste perché io partecipi alla cena dell’ultima (stramaledetta) vigilia. “Chi c’è?”, “I miei, mio fratello, la nonna e due amiche della nonna: le sorelle Russo”. “Caro, perché dovrei venire?”, “Per non lasciarmi solo nel reparto geriatrico e poi mia nonna ti vuole rivedere, mi chiede sempre come vanno le cose tra noi e quando ci sposiamo. E’ anziana, non mi va di dirle che non stiamo più insieme, ci rimarrebbe troppo male. Dai, vieni?”. Alle nove di sera varco la soglia di casa del mio ex. Mi ripeto che lo faccio per puro volontariato, che fra tre ore al massimo sono fuori. Con enorme sorpresa mi accorgo che al gruppone in festa si è aggiunta una coppia. Il lui festante, tale Gioacchino, mi viene incontro come ci conoscessimo da vent’anni: ”Le auguro di… di… Quest’anno nuovo le auguro di… VINCERE CANZONISSIMA!”. Il mio malefico ex mi si avvicina e sussurra di non dargli retta, ha perso il senno da diversi anni, poverino! Si prospetta una cena più lunga di quanto immagini.
L’onore all’ospite di riguardo impone che io sia relegata tra la nonna e le sorelle Russo con il mio futuro marito davanti, detto in altri termini, mi siedo tra un pezzo da 90(anni) e due da 70 (in media) con una finzione grottesca dinnanzi a me. La cena prevede un menù luculliano al quale non c’è verso di opporsi. La chiacchierata amena spazia dalla caduta per strada della nonna investita da un balordo che le ha “rubato per sempre il ginocchio”, alla rottura del femore di una delle sorelle. Si passa agli aneddoti d’altri tempi, dalla radio del diavolo (il grammofono) dalla quale usciva la voce degli inferi, alle prime carrozze senza cavalli (automobili). Decriptare il linguaggio è dura, ma non impossibile. La tensione aumenta quando la nonna chiede, severa, se i miei genitori conoscono già il mio futuro marito e a che punto sia il corredo. I consigli su pizzo e uncinetto si sprecano e le tre anziane iniziano una lotta all’ultimo colpo su tradizioni familiari, dovere, dover essere e punto croce. Si noti l’assenza pressocché totale di intervento dialettico da parte degli altri commensali, completamente soggiogati dalla verve comunicativa della quale io sono principale e diretto bersaglio [...]. Odio il mio “futuro marito” e mi riprometto di restituire quanto prima il torto subito.
Intanto, mentre Gioacchino, richiamato tra noi dalla parola magica “matrimonio”, racconta della sua partecipazione (da invitato) a quello di Lady D., ci si rende conto che è quasi mezzanotte. Per una strana tradizione che disconoscevo, nella famiglia del mio ex (che comprendo sempre più aver fatto bene a lasciare) alla mezzanotte tra il 5 ed il 6 gennaio “arrivano i re Magi”. In processione davanti ai sette presepi della casa, ci accingiamo in gruppo a portare oro, incenso e mirra al Bambinello (a tutti i bambinelli fino al principale: quello in soggiorno). Ritengo di non aver mai toccato livelli maggiori di “tragicomicità” nei miei 29 natali precedenti. La nonna in testa, con Gaspare nella mano destra e una candelina nella sinistra, guida la processione da un presepe all’altro. Seguono le due sorelle con Melchiorre e Baldassarre e senza candelina. La nonna, in uno slancio mistico, ritenendo forse di essere ancora al 24 notte, intona tu scendi dalle stelle. Le Russo, per non essere da meno, seguono a ruota. La nonna rilancia e comincia a cantare in latino. Le Russo ammutolite. Uno a zero per la nonna. Cerco (per non morire) la vena esilarante della questione, mentre siamo all’altezza del presepe del bagno e mentre la tenera vocina di sarettalamerda mi incita: “scrivine un post, idiota!”. Intanto, l’intero gruppo comincia a sfogliare la guida telefonica in cerca di un esorcista. Dopo il canto dei cantici in onore non si capisce più se del bambinello, dei re magi (ancora nelle mani delle tre graziose vecchine), del matrimonio imminente… arrivati nel soggiorno tutti cominciano a scambiarsi auguri generici “buon anno, buon avvento, il signore iddio sia sempre con te… ”.
Il fratello del mio futuro marito si accinge a fare gli auguri alla nonna. Questo è quello che ricordo lucidamente, Signori Giudici. L’ultima immagine. Poi il caos. Le urla. Solo dopo che avrò riacquistato la lucidità scoprirò il cadavere scomposto di due re magi di terracotta su tre (si è salvato, sebbene amputato, solo quello della sorella Russo Junior). La ricostruzione dei fatti (si dice che un plastico sia già in preparazione per la prossima puntata di Porta a Porta) vede il fratello, nell’atto dell’augurio alla nonna, urtarle maldestramente il gomito sinistro. La cera della candela cola su mano e polso della nonna, infilandosi nel golfo. Bruciore e spavento della novantenne fanno saltare all’aria Gaspare. Le sorelle Russo, subito dietro, impaurite dall’urlo acuto della nonna, reagiscono a catena, urlano e lanciano all’aria re magi. Il bilancio sarà di due morti ed un ferito: Baldassarre. Più danni alle pecore colpite dall’effetto valanga.
All’una sono a casa esausta.
Anche quest’anno è andata.
Buon 2010, che la sfiga a ‘sto giro abbandoni me ed abbracci voi. Amen.

 
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Comeilcavoloamerenda il 06/01/10 alle 16:27 via WEB
Ognuno di noi potrà immedesimarsi nel viaggio della vita; è il viaggio della gioventù non ancora bruciata dalle amarezze di una stantia quotidianità, il viaggio dell’ illusione, della speranza, dell’incoscienza; ed in quel viaggio, indelebile ancora nella vostra memoria, momenti di pura gioia e l’incontro con l’amore di un giorno, di un ora, di un momento o il rimpianto di quello che non fu…buona lettura…e buon sogno... “Ricordavamo una sera d’inverno, in giro, pigramente, senza meta e senza carte, la radio accesa in auto ad ascoltare musica olandese, ammesso che ne esista. Dopo un po’ di chilometri e una serie di casupole, di borghi imbarazzantemente usciti da un libro di fiabe, finimmo nei cuore di uno di questi villaggi, senza sapere dove fossimo arrivati. In giro, solo cartelli in fiammingo, niente indicazioni stradali, non una divisa, un edificio pubblico con bandiera e ufficio informazioni. Niente, la nostra auto, un rosso pugno nello stomaco della cittadina incantata. Bella, silenziosa, struggente come una favola triste. Case basse, porte colorate, alberi e verde dappertutto, pulita silenziosa come una chiesa di pomeriggio. Ci eravamo persi, senza alcun dubbio. I colori delicati dell’insegna in legno di una caffetteria sono una promessa di informazioni; aprimmo la porta, lentamente, sembrava non si potesse fare altrimenti. Entrammo in un quadro fiammingo. Poca luce, da una lampada, ad illuminare due o tre avventori, silenziosamente appoggiati al banco di legno scuro; traverse di legno scuro di croce, calce bianca, una scritta indecifrabile; un barista con i capelli a coda di cavallo si muoveva con veloce lentezza dietro il banco, sovrastato da centinaia di bottiglie colorate dai riflessi iridescenti esaltatai dalla luce delle lampade; nessuno levò lo sguardo verso la porta; una musica nascosta, sembrava una versione lenta ed acustica di Norvegian Wood dei beatles, riempiva ogni vuoto possibile del quadro.In fondo, seduta ad un tavolo rotondo, su una poltroncina di pelle scura e screpolata, una donna; di quella bellezza diafana e inquietante dei tanti ritratti che accompagnano il visitatore nelle immense sale del Rijksmuseum ad Amsterdam; non si capiva se avesse un orecchino di perla: i capelli, lunghi, biondi, le coprivano le orecchie, scendendo davanti agli occhi e costringendola aritmeticamente a scostarli con un leggero colpo della testa, per poterle consentire di posare lo sguardo sul libro che stava leggendo; ai piedi, accucciato un canone bianco, un pastore fiammingo probabilmente. La luce che filtrava dalle finestre è tagliata in sottili lamine che accompagnavano la danza corpuscolata di una polvere sottilissima lasciata nell’aria dagli ultimi sogni, non c’era dubbio. Mi tornò in mente una sensazione strana, un misto di eccitazione e timore che mi prendeva cento volte da piccolo, quando entravo in chiesa nei pomeriggi afosi d’estate. Il fresco, il silenzio, l’ombra del prete raccolto in preghiera nella cappella settecentesca, il profumo dell’incenso sospeso nell’aria. Era una cosa insensata, lo sapevo, ma era esattamente questa la sensazione che era risalita dai gorghi della memoria, in quel pomeriggio sospeso nel tempo in un villaggio olandese senza nome e senza tempo; avanzai verso la donna, piano. Lei alzò il capo, lentamente, mentre con una sincronia perfetta poggiava il libro sul tavolo. In nessuna scuola di recitazione al mondo avrebbero potuto insegnare quei gesti, caricarli di sensazioni e promesse come fece la sconosciuta. Bella, da fare immaginare in un attimo pomeriggi infiniti disteso al suo fianco, il mare del nord in tempesta e i gabbiani e tutto il resto..bella da maledire il giorno in cui ero nato in Italia…bella da sentire già il sapore acre del rimpianto di non averla…il cane, perfettamente calato nella parte, sollevò la testa, guardò lo straniero, si riaccucciò pigro ai piedi della fanciulla.“Devo riuscire a parlarle, non la incontrerò mai più; devo conoscere il suo sorriso, ascoltare il suono della sua voce…” pensai lentamente in sincrono con i miei passi. Sguardo di occhi grigi, celesti, di madreperla blu, non riuscivo a costringerli in un colore conosciuto dagli umani. Un sorriso leggero, sulle sue labbra; quello era il “sorriso”, non un comune banale movimento di muscoli facciali. “Devo dirle qualcosa, ogni secondo che passa mi porta lontano, perché dovrebbe mostrare un qualche interesse per me?”. La fanciulla si dispose paziente, nella posa di ogni donna che aspetta di capire chi sarà l’uomo che riuscirà a stupirla per una volta. “Sorry, can you tell me where we are?” Lo dissi tutto di un fiato, sperando che il mio inglese perfetto facesse breccia nella sua coltre di ghiaccio lucente; in quel paese, tutti lo parlano correttamente, sembrava naturale rivolgerle la parola in quella lingua; lo sguardo che mi rivolse emerse lentamente dalla mia memoria “sad eyes lady of the lowlands”. Era lei, esisteva davvero, avevo incontrato la materia di cui sono fatti i sogni; Rispose:“ In the middle of nowhere”; non era una risposta; non rientrava nel novero delle cose da fare, rispondere alla domanda idiota di uno sconosciuto. Semplicemente le esistenze delle persone vivono su dimensioni diverse, si muovono a differenti velocità, hanno una consistenza di tempo e sostanza che varia, si trasforma e non si incontrano mai, per lo meno, non quando noi vorremmo. I sogni hanno una concretezza sconosciuta alla realtà delle menti semplici degli uomini. Era lei, ne ero sicuro. Se solo fossi riuscito a parlarle, ad uscire in fretta da quella sensazione di soffocamento che ti prende in sogno, quando credi di correre e senti le gambe che si muovono impazzite, ferme sullo stesso posto; l’avevo sognata e non solo nelle notti alcoliche e fantasticanti d’estate; l’avevo sognata così, sapevo di amarne il distacco aristocratico dal banale quotidiano, la lentezza con cui consumava una vita di cui era indubbia padrona e regista; era lì e non sapevo cosa dirle; restarono una infinità di tempo, gli occhi fissi negli occhi e non riuscii a parlare; con una dissolvenza estenuante, la fanciulla incominciò a riabbassare lo sguardo, non aveva più nulla da dire; "fermati".. pensai; aspetta, guardami ancora; sto cercando uno sguardo per incantarti, una frase per legarti, una supplica per farti innamorare; fermati maledizione, posso farcela, posso essere io l’uomo che aspetti; fermati rialza gli occhi di lavanda, di pervinca e di mare del nord. Fermati….abbassò lo sguardo, non aveva più tempo per me; non c’era altro da poter fare o dire; uscimmo lentamente per tornare in macchina e cercare la strada del ritorno; non seppi mai come si chiamava quel villaggio, se fosse vero o sognato e il pensare alla sconosciuta, immaginarla nella sua vita di ogni giorno, rincontrarla nel tempo “for ever youg” nei suoi sogni, fu un appuntamento cui fedelmente andai incontro, col trascorrere degli anni, felice tutte le volte che accadeva; nessun sogno si avvicina alla bellezza di una realtà incontrata per caso, in quel momento del giorno in cui la luce diventa indefinibile, il giorno non è più tale e la sera non è ancora il regno del buio; in quella luce, in quella dimensione traslucida e senza tempo, la rivedeva, le davo appuntamento, coltivavo la sua presenza, che diventò quella di un ospite fisso nelle notti d’estate. Ogni promessa è debito, cara Delilah.
 
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