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Un blog creato da sara_1971 il 13/07/2007

S_CAROGNE

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Sara

 

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Vecchio Paz

Esistono persone al mondo, poche per fortuna, che credono di poter barattare una intera Via Crucis con una semplice stretta di mano, o una visita ad un museo, e che si approfittano della vostra confusione per passare un colpo di spugna su un milione di frasi, e miliardi di parole d'amore...

 

Cuor di Carogna

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Diario di una gravida

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Un sabato qualunque

Post n°424 pubblicato il 20 Novembre 2008 da delilah79

Mi chiede di accompagnarlo al concerto. La Cantantessa, così chiamano Carmen Consoli, è stata per un po’ anche la mia cantante italiana preferita, poi a me l’influenza è passata, a lui è aumentata. Decido di non andare. Segue supplica, torno sui miei passi, in fondo è sempre il mio miglior amico.

Inizio concerto previsto per le ore 22.30. Modugno, Bari.

“Alle due ti passo a prendere”.

“SANGU”! La mia esclamazione da fine donna del sud!

Faccio presente all’ amico che il concerto non è a Milano. Nulla da fare. Euforia adolescenziale da posto in prima fila, mista a necessità di sfruttare l’unico passaggio aggratis che si è palesato ai nostri occhi indigenti, fa sì che non ci siano ragioni di sorta. Alle tre e mezzo siamo in due (gli unici due) alle porte di uno splendido locale sito nella altrettanto magnificente periferia di Modugno. [Leggi: alle tre e mezzo ci ritroviamo soli e abbandonati fuori del cancello di un prefabbricato rettangolare denominato NewDemodé, nella sperduta zona industriale di Modugno, in culo allo stadio San Nicola.

Non c’è verso di entrare. “Troppo presto”, rispondono. “Apriamo i cancelli alle 20.30”. Cazzi nostri aver anticipato così tanto.

Solitamente, sono donna che sa adattarsi e, fatta la scelta, non rimugino. A mali estremi, si prende e si fa un giro, mi dico. Peccato però che: A) non siamo esattamente in zona shopping, salvo che una fabbrica di imballaggi non possa considerarsi uno shopping in nuce e un ex ingrosso di Sammontana non sia la gelateria del centro. B) Dinnanzi a noi il nulla. Nulla e fabbriche, fabbriche e nulla. C) Tempo due minuti netti dall’altrettanto netto diniego d’asilo ed inizia a piovere.

Io, il mio amico ed un solo piccolo ombrello, ci accasciamo sull’unico gradino disponibile (40X15cm), rassegnati all’idea di dover rimanere lì per sole CINQUE ore.

L’amico stappa la Dreher da viaggio. Io, avendo esagerato la sera prima, passo il turno.

Le gocce di pioggia aumentano. Fa nulla. Finché non piove forte si può resistere. L’umidità entra nelle ossa. Fa nulla. Non mi lascio andare a bestemmie facili. Più semplicemente mantengo i miei arti adesi al corpo del mio amico. Penso a Gesù Bambino, chissà che freddo nella grotta.

Resisto stoica. Passano tre quarti d’ora. Si iniziano a sentire le urla dello stadio in lontananza.

Gli argomenti, esauriti dopo poco – non siamo esattamente due che non si vedono da tanto - si ripetono come cantilena di vecchi rimbecilliti, mentre i piedi (“Che scarpe mi metto?”; “Mettiti le All rosse!”; “Non saranno fredde?”; “Ma che dici? Mica siamo all’aperto!”) cominciano a marciare ad ampie falcate sulla strada dell’assideramento. Intanto, il guardiano delle fabbriche passa e ripassa con i suoi tre cani famelici. Un husky, un pastore tedesco ed un ibrido. L’husky, con aria poco, amichevole si avventa sulla busta che conteneva la birra. Dettaglio: l’amico ha il terrore dei cani. Gli intimo di mantenere la calma. Sento il sudore freddo grondare sulla sua schiena e ritengo lo senta anche il cane il quale, ringhia un po’ e poi, dopo aver poggiato il suo muso sulle mie ginocchia, saggiamente, se ne va. L’amico, a quel punto, ha necessità urgente di minzione: spiacenti, nel nostro pied à terre extra lusso non abbiamo toilette. Intanto, le gocce di pioggia diventano alluvione. La vescica trattiene. Dall’alluvione si passa a fulmini e lampi. Va via la luce nella strada. Fa nulla. E’ più romantico. E poi: “finché non c’è vento e non fa freddo si può resistere”, dice l’amico maledetto! Si alza  vento, ma va?! Incalza. L’ombrello, usato ad imitazione mignon di una tenda Quequa, è spalmato alla meglio sui nostri corpi rannicchiati sull’unico pezzo di asfalto risparmiato dalle ondate d’acqua che lavano la strada (in una pendenza che, che caso!, non ci vede in vetta). Intanto, i proprietari e responsabili del localone di grido entrano ed escono senza accennare a minima pietà. Ore 18 - Bestemmiando contro ogni dio turco, oltrepasso il fiume che mi divide dall’ingresso del demodè. Suono, entro. Il mio sguardo pieno d’odio fa in modo che nessuno osi controbattere. Siamo dentro. Solo altre quattro ore e mezzo e potremo vedere il concerto. Prima riflessione da dentro: ma dove minchia è venuta a cantare questa? Il luogo in questione, infatti, non è nemmeno lontano parente di una discoteca. Appare semmai come un infimo magazzino dell’Ipercoop, riadattato a pseudo-discoteca. Bagno. La luce non è evidentemente tornata. Faccio pipì illuminando il cesso con il cellulare, sperando di mantenere i jeans intatti. Ci riesco! Mi siedo scomoda su un divanetto e inizio a divorare nervosamente i wafer che da mesi occupavano spazio nella mia borsa. Eludo gli sguardi di chi vorrebbe ricacciarmi fuori. Ostento supponenza incrociando gli occhi di chi, solo una volta iniziato il concerto, scopro far parte dei musicisti della Cantantessa. Ore 20 transenna.

Ore 21.30 Gruppo spalla: signore e signori, Erica Mou da, nientepopòpòdimenoche, Bisceglie. Ore 22.45 finalmente arriva. Calci alle gambe, gomitate da quelli di dietro, spinte… canzoni, ah, sì, canzoni, certo. Il chitarrista in uno slancio rockettaro fa cadere il microfono davanti al mio naso. Delirio da accaparramento del feticcio, sono sommersa da braccia, petti, capelli, ascelle pezzate. Domanda: Quando finirà ‘sto concertone? Quanto ci impiegherò a tornare a casa?

Mammaaaaaaaaa…

Ore 01.00 dopo tre bis (‘fanculo a lei!) e tre saluti, la Cantantessa decide di ritirarsi.

Ore 01.30 riprendiamo il passaggio aggratis e torniamo verso casa. Ore 01.35 apprendiamo che un coglione con mercedes ha parcheggiato male. Bloccate tutte le macchine costrette a manovre improvvisate per trovare una seconda via d’uscita. Grandine, tuoni, lampi accompagnano il viaggio del ritorno. Ore 3.34 casa.

Davvero un bel concerto.

 
 
 
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