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Un blog creato da sara_1971 il 13/07/2007

S_CAROGNE

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Sara

 

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Vecchio Paz

Esistono persone al mondo, poche per fortuna, che credono di poter barattare una intera Via Crucis con una semplice stretta di mano, o una visita ad un museo, e che si approfittano della vostra confusione per passare un colpo di spugna su un milione di frasi, e miliardi di parole d'amore...

 

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« LoserL'asta »

26 e 27 novembre.

Post n°604 pubblicato il 15 Dicembre 2009 da delilah79

Viaggio di lavoro. Primo vero.

Relazionare all’estero. Molto estero. Molto Scandinavia.

Sola, misera e tapina prendo l’aereo.

(Sottolineo “sola”, la bestia aveva seminato illusioni di accompagnamento, invece ha lasciato che parlassi con me stessa e con poco ospitali autoctoni per cinque giorni! Sottolineo anche “misera” perché il viaggio DI LAVORO, al momento risulta gravato sul mio esiguo conto in banca, solo 1000€, li stramortacci loro!)

L’aereo parte alle 8.00 di mattina, MA da Bari, quindi la sveglia è alle 4.30, da Lecce (altrettanto ovviamente la Bestia, che avrebbe potuto ospitarmi, magicamente parte il giorno prima. Ma me le pagherà tutte prima o poi. T U T T E).

Dirò il vero. Il viaggio fino alla meta scandinava va liscio come l’olio, a parte il senegalese occidentalizzato ed aereofobico che al momento dell’atterraggio preso dalla paura afferra senza preavviso il mio braccio facendomi rischiare la sincope.

A parte questo, in un modo o nell’altro e per lo più dormendo,  arrivo alla meta. Trascino meco un trolley strabordante (nonostante la permanenza concentrata. Rimane questo uno dei pochi dettagli che denuncia chiaramente la mia appartenenza al genere femminile) e guidata dalla Spirito Santo arrivo all’Hotel.

In realtà, arrivo agli hotel(s), due, uno accanto all’altro e con nomi simili. Chiaramente entro in quello sbagliato.

Quello giusto è in ristrutturazione il che comporterà che gli operai oltre a svegliarmi quotidianamente alle 5.30 del mattino, vedano tutte le mutande che indosso e sentano (ci separa una finestra) le bestemmie del mio post doccia (il bagno ha sì una doccia, ma NON ha un box doccia, ergo, si allaga la stanza ogni volta che il mio corpo chiama acqua).

“Portati vestiti molto caldi perché in questo posto fa un freddo tremendo”, la levata unanime del popolo sovrano. “Ma io ho visto che le temperature non sono molto basse….”; “Ma che dici!!! Fa freddissimo lì…”

Arrivata, gli indigeni mi spiegano che, di solito fa freddo, ma quest’anno per non so quale vento equatoriale, nel posto si sta vivendo una sorta di bizzarro e caldo-umido autunno. Vestita come pupazzo delle nevi sudo ad ogni passo e prego, prego, prego, che “il popolo sovrano dei consigli pre-partenza” venga fulminato all’istante!

Dopo la prima notte di sauna (non si capisce perché, nonostante non sia necessario, i termosifoni siano al massimo, sarà una specie di caratteristica del luogo, tipo un piatto tipico, una palla di vetro…), con sorprendente facilità arrivo al lussureggiante Centro Studi dove si aspettano il mio intervento in un seminario. Sono terrorizzata dall’evento che si andrà a svolgere di lì a poco (anche perché non ho letto la traduzione del mio paper nemmeno una volta: bazzecole!). Prendo la mia dose di tranquillanti e sorrido giuliva a gente che parla un inglese ben più avanzato del mio, italico.

L’intervento va bene. La discussione post papers è pregna e l’interrogativo critico e costruttivo degli scandinavi è: lo volete mangiare il sushi a cena?

Il secondo giorno scopro che tra i professoroni presenti, nessuno (e dico nessuno) sa chi sia Magritte. Lo scontro con l’empirismo di ricerca anglo-americano mi scuote e tra me e me mi chiedo finemente: per quale straminchia di motivo la mia Baronessa universitaria mi ha spedito in questo posto lontano da Dio e dagli uomini per dissertare su qualcosa che non ha nemmeno l’ombra di utilità per il mio lavoro e alla modica cifra di 1000EURI? La risposta me la consegna sul vassoio di sushi l'organizzatore il cui disco rotto è: "io sono in anno sabbatico, riferiscilo a XY, magari manteniamo i contatti anche in ritorno!"

Si sa, nell’arte della bestemmia sono ormai pratica ed è l’esercizio in cui mi diletto mentre, a conclusione del secondo ed ultimo giorno, conquisto l’uscita dal lussuoso Centro di Studi.

Nelle 24h successive girerò quattro volte la piccola cittadina che mi ospita. “Bellissimo posto, ti piacerà”, avevano detto. Un municipio, un Castello, un mercatino natalizio (molto legno e molto vino caldo per riscaldare le mani già sudate dei visitatori), una strada principale. Strada, mercatino, Castello, Municipio. Stop. Gran bella città, da consigliare! Prendere dei regalini locali mi costa il trapianto un rene e la promessa di un’ovaia.

Il viaggio di rientro dura solo 24h (‘fanculo alla Ryanair e alle sue maledette coincidenze.). Alla stazione centrale di Milano mi si attacca dietro una Russa in panico, persa tra i binari. Che fortunata coincidenza, dopo una serie di gesti e mugolii (non parla inglese, non parla italiano e, acciderbolina, io non parlo russo!) comprendo che deve prendere il mio stesso treno. La accompagno fino alla sua poltroncina (prima classe) e mi oriento in seconda classe tra pulci, rumeni, calabresi  e zecche… trovo la mia poltroncina. Trovo anche IL molisano che allieterà il viaggio parlandomi ininterrottamente fino alle 5 del mattino, ora del suo arrivo.

Alle ore 7 esausta e con tre ore ancora davanti prima del traguardo, ricevo la chiamata della Baronessa: “Ciao, potresti dirmi di cosa abbiamo parlato nell’ultima lezione? Anzi, guarda, mandami un sms con il riepilogo.”.

WELCOME HOME. 

 

 
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Utente non iscritto alla Community di Libero
Comeilacavoloamerend il 16/12/09 alle 13:28 via WEB
...L'alba aveva esaurito le formalità e gli obblighi del rango, colori forti, il rosso, l'azzurro che emergeva, l'aria che sembra rallentare e fasi sottile, quasi respirabile. Tutto quello che serve a rendere il sorgere del sole un momento fuori dalla storia, o dalla cronaca. Seduti sulle sedie poco sicure del XXX, appoggiati ad un tavolo ancor meno sicuro, NOI ci eravamo ritrovati per parlare del futuro. Aspettavamo rassegnati che Franco, il cameriere storico di una generazione, prendesse l'ordinazione dopo il rituale passaggio in rassegna dei principali argomenti internazionali e interni, la vita, la famiglia, i debiti e insomma tutto quello che serve a cominciare al meglio una nuova giornata. Un'ombra scivolava lenta alle nostre spalle, dietro una delle siepi spelacchiate e piene di cartacce e lattine di birra vuote. Delilah, che rientrava dalla sua notte di lavoro, un giro agli inferi, e nemmeno la gioia di rivedere le stelle. Era mattino, ormai. "Mi offrite un cappuccino?" La voce era un sibilo roco, una finestra a mostrare cosa potesse essere una notte nella vita di una persona. "Certo. Mangia anche qualcosa..." Non riuscivamo a convincerci che fosse la stessa ragazza conosciuta anni prima. Sudata, i capelli appiccicati sulla fronte. Le unghie nere, su mani screpolate e sporche. Abiti sudici, e un alito che sapeva di tabacco stantio e di birra calda. Sperammo che non si avicinasse più. Ordinammo cappuccini e cornetti. La osservammo mentre versava due bustine di zucchero nella tazza,mangiava il dolce con lenta avidità. Aveva cominciato a parlare: a se stessa o a noi, non era chiaro. E nemmeno quello che diceva era chiaro. Un elenco di nomi, sembrò che fosse. Una specie di lento salmodiare, che evocava persone e luoghi, certificava di incontri più o meno occasionali, a pagamento, di baratto, di una cena o un letto in cambio di sesso, di droghe di ogni tipo scambiate con il suo corpo, di ogni sorta di individui che ne avevano fatto un tappetino per le proprie voglie inconfessabili, usata come pezza da piedi, uniliata, un surrogato di essere umano. Raccontava confusa di un passato che sembrava remoto, solo qualche anno prima....(omissis)...la cantilena di Delilah era una specie di preghiera, ricordava certe litanie della sua infanzia che si recitavano la sera al rosario, o il mercoledì delle ceneri. C'era una cerimonia, ricordava uno di noi, l'ufficio delle tenebre, in cui le litanie accompagnavano il progressivo spegnimento delle candele che illuminavano la cattedrale. Pian piano il buio scendeva sulle navate della chiesa, un brivido prendeva le persone rimpicciolite nei cappotti, le vecchie negli scialli neri. Alla fine il buio, che ti lasciava solo con i tuoi pensieri, con le tue paure. La litania di Delilah spegneva poco a poco ogni luce su quella città, su quelle persone,per anni, convinte di essere diverse, alternative, speciali; calava, il buio, fra i mille frequentatori di quella donna, nella sua vita precedente ed in quella attuale. Quando era giovane, bella, brillante, ricercatissima per ogni festa, ospite di barche e ville, amante sfoggiata e fidanzata orgogliosamente esibita. Dopo, oggetto docile di ogni porcheria, sempre alle stesse feste, o sulle stesse barche. Da usare e pagare, anche bene, così la coscienza era a posto. Un lungo elenco. Alla fine, Delilah, alzò lo sguardo, aveva la bocca sporca di schiuma del cappuccino, briciole di cornetto, uno sguardo che era fatica, lontano. "Questi sono tutti amici vostri, venivano sempre al locale..." Non era una domanda, non chiedeva una risposta, non sembrava che le interessasse; era una specie di sentenza, un'accusa che non aveva bisogno di dimostrazioni....la città cominciava a svegliarsi, con il suo fare e disfare di cui tanto andava orgogliosa, il lungomare ritornava ad essere quel porcaio di macchine che era...la città di sempre. Si alzò a fatica, raccolse immprobabili borse piene di stracci, accennò a una specie di sorriso. "Volete scopare?" disse senza allegria, quasi fosse una cosa dovuta. Sembrò di sentire un tono di irrisione, di malinconia,quasi di dolcezza. "per voi è gratis, non vi preoccupate..." . Non c'era altro che ci potessimo dire...sei fuori da tutto e non rientrerai più. Liberamente tratto da A.V. "Xmas Sarol- Lo spirito del Natale futuro per Delilah"...Baci a tutti e buon natale ci si vede amigos!
 
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