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COME IN UNO SPECCHIO

Post n°16 pubblicato il 31 Maggio 2010 da ParafrasandoOblii
 

come in uno specchio2

 

Il film che andiamo adesso ad analizzare è il primo di una trilogia che Bergman dedica al Silenzio di Dio.
“Come in uno specchio” (1961) ricevette l'Oscar come miglior film straniero e venne presentato al Festival di Berlino del 1962, ottenendo il premio dell'OCIC (Office Catholique International du Cinèma, organizzazione cattolica del cinema). Seguiranno poi “Luci d’inverno” (1962) e “Silenzio” (1963), l’ultimo desterà non poco scandalo.


Come in uno specchio

"Adesso noi vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; allora vedremo faccia a faccia" (Prima lettera ai Corinzi, Capitolo 13, Verso 12, Paolo di Tarso)

Innanzitutto l’ambientazione fu ispirata da un sopralluogo all’isola di Fårö, nel Baltico. Il luogo, a differenza delle isole Orcadi da lui pure visitate ma che non riuscirono a soddisfarlo, affascinò tanto il regista da divenire sfondo non che emblema della tematica scelta. Con la sua natura presente ma nostalgica, l’isola riesce bene a fondersi con lo stato d’animo dell’uomo spinto al culmine dell’essere esistenziale che lo contraddistingue.

La storia narra di una famiglia colta nel doveroso assistere alla malattia di una donna: moglie, sorella e figlia. I personaggi riflettono, come in uno specchio, un amore che si fa dolore, filtrato dalle sfumature caratteriali dei tre. Il padre, scrittore famoso, combatterà l’avanzare del tempo che dilegua sempre più la possibilità di cogliere l’essenziale e lasciarsi andare ad esso. Il cruccio è quello d’aver perduto gli anni in una corsa forsennata verso tutto quanto alla fine non conta.

"Vedi Karin si traccia un magico cerchio intorno a noi, escludendo tutto ciò
che puo' compromettere i nostri intenti; ma quando la vita spezza il cerchio
questi intenti si rivelano meschini ed insignificanti. Così tracciamo subito un
nuovo cerchio, un nuovo riparo".
"Povero caro papà".
"Si, certo, povero papà costretto dalla vita a vivere nella realtà".

Pare quindi che la crudeltà della vita sia proprio questa, quella di tendere egoisticamente verso scopi inessenziali, vani. L’altro è vissuto come un ostacolo, qualcosa da fuggire, ecco perché il padre annuncia ad inizio film la sua volontà rinnovata di partire per un viaggio culturale.

"Dal mio animo vuoto sbocciò qualche cosa che non ho quasi il coraggio di nominare: un'amore per Karin, per Minus, per te", dirà poi al marito della figlia, confidandogli quindi, che nonostante il suo apparire egoista, c’era qualcosa, di gran lunga più grande di qualsiasi successo, che gli premeva, qualcosa che si era reso evidente in seguito ad un evento terribile: il tentativo di suicidio. Gesto culminante di un disprezzo di sé e della vita che lo aveva reso, e continuava a renderlo ogni giorno, un uomo indegno di ogni scelta. Affrontare la morte riesce quindi a scuoterlo dal torpore di un’esistenza spesa in un circolo vizioso che rifugge l'unico bene: l’amore.

Il marito è un medico, l’uomo di scienza perduto in un amore destinato alla fine, non una qualsiasi, la più terribile: una malattia che condurrà la donna amata a scegliere tra due vite, due realtà.
Così dirà la donna, Karin, ad un certo punto del film, rivolgendosi al padre.

"Non si puo' vivere in due mondi, bisogna scegliere.
Non ho più la forza di passare continuamente dall'uno all'altro.
Così non posso andare avanti".

C’è una porta che la donna continua ad attraversare, un varco tra i due mondi. In quel mondo esseri dal volto illuminato aspettano Dio, dicono che arriverà, sta già arrivando. L’attesa è amplificata anche da un udito più potente del normale, che costantemente la concede a delle voci. L’attesa di Dio è il nostro tempo, la nostra premura, eppure siamo costantemente rivolti ad altro, non udiamo le voci, perché siamo distratti da una realtà che prepotente fa soccombere l’altra ai nostri sensi.
Ad un certo punto del film, la donna assisterà all’apertura della porta: quello che dice di vedere è Dio, ma è un’immagine di Dio che potremmo sopportare, che genera grida e spasmi, è un Dio violentatore, un Dio gelido che striscia sul suo corpo per sedurla.

"Ho avuto paura, la porta si è dischiusa, ma il Dio che è entrato era solo un ragno. Si è avvicinato a me ed io l'ho visto in faccia, un viso ripugnante e gelido. Si è lanciato su me, voleva possedermi ma io mi sono difesa".

Questa è la sola parte che ha destato qualche perplessità in me, per l’incongruenza che, come vedremo, avrà nei confronti di un’altra visione di Dio (in senso non letterale), quella del padre. E’ possibile, sebbene si tratti di ipotesi, che questo Dio di cui parla in queste parti la donna sia un essere diabolico che non coincide con il Dio che noi intendiamo. Credo che però in realtà si voglia così mostrare come la vita possa in tutte le sue sfaccettature, e soprattutto in situazioni limite, convincerci o dell’inesistenza di Dio (dell’essere quindi affacciati al nulla), oppure del suo essere malvagio. Ed è infatti accertato che l’uomo, all’insorgere di alcune situazioni, non riesca a concepire l’esistenza di un Dio buono. Si chiederà infatti: “Se esiste, perché fa succedere tutto questo?”. Questa è una delle conseguenze principali del silenzio: nessuna motivazione, nessuna voce che infiammi il buio di verità consolatrice.

Il fratello, Minus, è un giovane ragazzino, tanto giovane da soffrire per una paternità che non si fa rispetto. Il rapporto tra Minus e la sorella sarà, invece, contaminato dall’insorgere della malattia in tutta la sua prepotenza, finendo nell’incesto. Eppure, nemmeno questo, riuscirà a scalfire l’affetto dei due fratelli, il loro amore ci colpirà, tra  scambievoli premure e sentimenti di colpa, per la forza in cui riesce comunque ad essere puro, oltre le degenerazioni della malattia, oltre l’abbandono.
 
Ad inizio film Minus preparerà insieme alla sorella un breve spettacolo teatrale, in onore dell’arrivo del padre. La fantasmagoria artistica racconta di una damigella morta e dell’amore per lei di un uomo che dice di essere un vero artista, uno di quelli che non porta a compimento niente. Lei, per aver prova del suo amore, gli chiede di seguirla nella morte. L’artista, interpretato da Minus, si lancerà in un monologo preannunciante la scelta tra la vita e l’amore.

"Affronto il supremo momento della perfezione e tremo di sublime gioia.
Io mi adagerò in seno all'oblìo e solamente mi amerà la morte.
Allora io vado, niente puo' fermarmi.
Ah ma dannazione che cosa sto facendo? Rinunciare alla vita? Per cosa?
Per l'eterna gloria, per l'opera d'arte perfetta, per l'amore? sto diventando pazzo.
Chi vedrà il mio sacrificio? La morte? Chi magnificherà questo mio grande amore?
Un fantasma? Chi mi onorerà? Gli spettri di un mondo a venire?
Già, questa è la vita. Ah potrei scrivere un poema sul mio incontro con la principessa o
dipingere un quadro o comporre un'opera, sebbene dovrei cambiarne l'epilogo e dargli un tono eroico. L'oblìo mi possiederà e solamente la morte potrà amarmi”.

Sembra che di fronte alla morte tutto perda di senso, ogni cosa decada. Persino l’amore ha bisogno di qualcuno che lo accolga, che lo consacri. Eppure, questa prospettiva così desolante verrà smentita proprio alla fine del film. Da notare quindi come i due poli dell’antitesi si collocano in posizione diametricalmente opposta: il giovane, ad inizio film, costruirà un’opera teatrale sul malessere dell’uomo che non riesce a rinunciare alla vita, nemmeno per l’amore. A fine film, il padre svelerà la sua verità al figlio.


"Quando nel relitto ero avvinghiato a Karin, tutta la realtà è esplosa. Capisci che voglio dire?".
"Si, capisco".
"La realtà è esplosa ed io ne caddi fuori. E' come in un incubo. Tutto puo' accadere papà, tutto".
"E' vero".
"Non posso vivere in questo nuovo mondo".
"Si che puoi, se avrai qualcuno su cui sostenerti".
"Chi secondo te, un Dio? Dammi una prova di Dio, non puoi".
"Si che posso, ma devi ascoltare bene ciò che ti dico Minus".
"Si, ho bisogno d'ascoltare papà".
"Posso darti solo una pallida idea delle mie speranze. Dio è la certezza che l'amore esiste come cosa concreta in questo mondo di uomini".
"Intendi un'amore particolare, è vero?".
"Ogni genere d'amore: il più elevato ed il più infimo, il più oscuro ed il più splendido.
Ogni specie d'amore".
"Anche il desiderio d'amore?".
"Il desiderio e la repulsione, miscredenza e fede".
"L'amore è una dimostrazione di Dio".
"Non so se l'amore dimostri l'esistenza di Dio oppure se l'amore sia
Dio stesso".
"Per te amore e Dio sono la stessa cosa allora?".
"Questo pensiero è il solo conforto alla mia miseria ed alla mia disperazione".
"Continua papà".
"Di colpo la miseria è diventata ricchezza e la disperazione speranza. E' come essere graziati Minus, in punto di morte".
"Papà, se è vero ciò che dici, allora Carin è tutta circondata da Dio perché noi l'amiamo davvero".
"Sì".
"Questo puo' aiutarla?".
"Penso di si".

A questo punto è evidente che l’identificazione Amore e Dio è alla base del pensiero dell’autore e che solo questa puo’ salvare l’uomo dalla nullificazione totale e lenire le sofferenze della malattia e poi della morte.

Il dialogo finale si chiuderà con la gioia di un figlio che assiste alle parole del padre, quasi come fossero un’epifania, rivelazione di una qualche verità che generi conforto, non solo per il contenuto ma, principalmente, perché sente la sincerità di una comunicazione vera.
“Papà ha parlato con me” saranno le ultime parole.

 

Dunque c’è nel silenzio qualcosa, qualcosa che non possiamo udire se non vegliamo, qualcosa che si riflette nel mondo ed in noi, come in uno specchio, qualcosa che noi tutti chiamiamo amore.

come in uno specchio

 

 

 

 

 



 

 

 
 
 
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