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Creato da ParafrasandoOblii il 19/02/2010
 
 
 

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INLADN EMPIRE di D. Lynch

Post n°5 pubblicato il 28 Maggio 2010 da ParafrasandoOblii
 

Parte prima: ripresa e decadenza di una tradizione

Il fatto che L’impero della mente, opera colossale di Lynch, si apra sul chiaroscuro di un buio incerto, fatto di venature di grigio e intermittenti immagini impure, mi ha condotto all’istante in un crescendo di ansia e mistero, inspiegabile, proprio perché suspance che non conosce alcun antecedente. Quell’aprir-si e chiuder-si iniziale sembra quasi suggerire il movimento delle palpebre nella fase rem del sonno, evidenziandomi così l’idea, già sottesa dal titolo, di un viaggio irreale e mistico che ha inizio una volta varcata la soglia di una comunicazione diversa. “Grigio giorno d’inverno in un vecchio hotel”, la più longiva trasmissione della storia annunciata da un altrove radiofonico e disturbato. Soffermandosi: il quando, “la più longiva”; il dove “regione del baltico”, sono collocazioni spazio-temporali così lontane da costituire quasi un’indeterminatezza. Il caro buon vecchio “c’era una volta” è qui richiamato e sostituito da una situazionalità originaria che sembra dettata e riferita da quella testina percorrente. Si odono Voci incomprensibili ed ecco che compaiono i primi personaggi della storia: un uomo e una donna senza volto. Perché senza volto? Cos’è un volto? Volto è ciò attraverso cui identifichiamo noi stessi e gli altri. Cosa significa non dare un volto a questi personaggi? Significa lasciarli nella determinabilità. Se il volto è il medium attraverso il quale identifichiamo l’altro e, così, lo distinguiamo da noi, allora il non-volto è lo strumento che permette l’eliminazione di quello iato tra me e l’altro, ovvero lo strumento della più completa identificazione. E’ nella comprensione dell’ essere- altro che si fonda l’empatia di una vera fruizione estetica. Così Lynch entra nell’artistico, facendo uso della tradizione, proprio per stravolgerla dal suo interno e mostrarci così, non tanto l’accadere fattuale della storia, ma proprio i meccanismi di fruizione di quella, i modi della nostra mente e non.

Parte seconda: tra visibilità e nudità

Il fatto che compaiano i sottotitoli recanti il dialogo tra i due personaggi,“Le scale sono buie”, “Non riconosco questo corridoio, dove siamo?” , può condurci a diverse interpretazioni. Lynch potrebbe averlo fatto per farci sentire la voce dei protagonisti come qualcosa di lontano, di chiamato all’esistenza. Non rinuncia però a consegnarci il contenuto del dialogo e con esso il senso. “Le scale sono buie”, soffermiamoci. Le scale, potrebbero essere simbolo di un cammino. Buie, potrebbe essere il connotato che conferisce difficoltà a questo cammino. Non voglio però cercare simboli anche laddove non potrebbero esservi, quindi andiamo avanti. Seconda interpretazione: l’assenza di voce potrebbe essere avvicinata a quella del volto, cioè avente le medesime ragioni, di cui prima. Ed ecco perché l’inquadratura unisona marcante le due assenze. Il tutto è come se ci preparasse lentamente a denudarci insieme alla protagonista, a trasportare noi stessi in quell’oblio dei sensi, miscela di godimento estatico e paura (uno espresso in versi, l’altra in segni linguistici), sottomissione e volontà. Lynch ci spoglia così di ogni distanza, così che le lacrime della s-velata sconosciuta colpiscano più profondamente, ovvero nel profondo. Non è un caso che ci venga mostrata prima senza volto, completamente nuda, e in seguito come persona, avvolta nelle lenzuola, nonostante manchi stavolta un tu che la guarda. Da chi si copre? Dal nostro sguardo. Lynch l’ha chiamata all’esistenza singolare e quindi al pudore di uno sguardo vulnerabile. Con le spalle rivolte a noi che la osserviamo lei fissa il televisore, vuoto, anzi non vuoto, colmo di interferenze. E’ come se con questa inquadratura il regista ci volesse far sentire ancora più presenti, dietro di lei, nella stanza stessa. Si susseguono svariate immagini alla rinfusa all’interno dello schermo. Lei le vede, eppure non sono visibili. Come se le interferenze le ricordassero degli avvenimenti, come se il vuoto evocasse la sua vita e chissà quale paura.

 
 
 
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