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STALKER di Tarkovsky

Post n°4 pubblicato il 28 Maggio 2010 da ParafrasandoOblii
 

Un intellettuale e uno scienziato, chiamati "Scrittore" e "Professore”, si avventurano nella "Zona", un luogo isolato da un cordone di sicurezza governativo, in cui nessuno osa spingersi.
Viene mostrato e descritto come uno spazio privo di quelle leggi che ordinano la nostra conosciuta realtà, tutto è sconvolto. Si dice che in questa zona vi sia una stanza nella quale si avverano i «desideri più intimi e segreti».
I due quindi si fanno guidare da un individuo, uno stalker, per raggiungere la stanza. Fondamentali sono i dialoghi fra i tre uomini, in particolar modo la diatriba tra lo scrittore e il professore.


Scrittore-A: Lei di che cosa si occupa? Chimica?
Professore-B: No, sono un fisico.
A: Noioso anche questo: la ricerca della verità, si nasconde e voi scienziati la cercate ovunque, scavate
un po’ qua e un po’ la. Scavate in un posto e ualà l'atomo e formato da protoni. Scavate in un altro posto
ed eureka! Il triangolo a b c è uguale al triangolo a1 b1 e c1. Per me è molto diverso. anch'io scavo cercando la verità ma nel frattempo le succede qualcosa, si modifica, e così io al posto della verità trovo un gran mucchio di... o pardon non dirò di che.


Inizialmente sembra che lo scrittore si sia avventurato per cogliere l’ispirazione, poi si smentisce.

A: Quello che le ho detto prima professore è tutto una balla. Me ne frego dell'ispirazione e poi come potrei dare un nome esatto a quello che voglio o anche come potrei sapere che in realtà non voglio quello che sto cercando e potrei aggiungere che io davvero non voglia quello che non voglio. Sono tutte cose impercettibili. Basta dargli un nome e il loro significato scompare come una medusa al sole. Le ha mai viste lei? La mia coscienza vuole la vittoria dei vegetariani nel mondo ed il mio subconscio langue per una fetta di carne saporita. Ed io cosa voglio, io?
B: Ma il dominio del mondo.

Si palesa qui la distanza tra le due menti, due modalità differenti di leggere la realtà, si scontrano a più riprese nel corso del film.

A: Supponiamo pure che io entri in quella stanza, divento un genio e torno nelle nostre città dimenticate da Dio, mi segue? Ma l'uomo scrive soltanto perché si tormenta, perché dubita e perché deve continuamente dimostrare a se stesso e agli altri che davvero vale qualcosa. Ma se sapessi con certezza di essere un genio perché dovrei continuare a scrivere? Me lo sa dire il perché?

Evidente è una concezione dell’arte come generata da un disagio, da un tormento, dalla situazione esistenziale propria dell’uomo. Tolto questo tormento la paura è che svanisca l’Arte, che non abbia alcun senso scrivere. Difatti questo orribile presagio è seguito da un’apologia enfatica dell’artistico, del creare disinteressato, contro tutto quanto c’è di scientifico tecnologico, rappresentato dal professore.

A: In ogni caso tutta questa vostra tecnologia, tutte queste fabbriche e marchingegni e tutto questo agitarsi affannosamente per poter lavorare di meno e mangiare di più, non sono che stampelle, protesi. L'umanità invece esiste per creare, per creare opere d'arte. Questo per lo meno è disinteressato, a differenza di tutte le altre azioni umane. Grandi illusioni, fantasmi sfuocati della verità in assoluto. Ma lei professore mi sta ancora ascoltando?
B: Ma di quale disinteresse sta parlando? Con tutta la gente che muore ancora di fame, ma dove vive? Nelle nuvole?
A: E questa sarebbe la vostra aristocrazia del cervello? Voi non sapete pensare in astratto.

B: Spero che non presuma di insegnarmi qual è il vero senso della vita? E nello stesso tempo a pensare.
A: Sarebbe inutile, lei sarà forse professore ma è ignorante.

Quello che inizialmente non si comprende è il motivo che spinge invece lo scienziato, il fisico.
Il terzo individuo, lo stalker, non ha mai visitato la stanza, il suo intento non è di realizzare i suoi desideri. Lo scrittore ipotizzerà una motivazione:
Te ne freghi tu della gente.Tu guadagni soldi sfruttando la nostra angoscia. Sì, la nostra angoscia, e non è neanche una questione di soldi. E' perché tu qui te la godi, sei signore e padrone. Tu, verme pidocchioso decidi chi deve vivere e chi deve morire. Sceglie, decide. Finalmente sono riuscito a capire perché voi stalker non entrate mai nella stanza. Ma perché? Qui vi ubriacate di potere, di segreti, di autorità. Quali altri desideri ci possono essere?”.

Importantissimo il dialogo che seguirà in cui si mostrerà tutta la fragilità dello Stalker e l’intuitività dello scrittore che coglierà un elemento fondamentale.

No, non è vero, non è vero. Lei si sbaglia. Uno stalker non puo' entrare nella stanza, uno stalker per se stesso non puo' chiedere niente, niente. Ricordatevi del porcospino”.


Il porcospino era il maestro dello stalker. Il Porcospino decise di entrare nella stanza con lo scopo di esprimere il desiderio di resuscitare il fratello, morto per colpa sua nel cosiddetto "tritacarne", il passaggio più difficile della zona, ma la stanza, che avvera i desideri più intimi e profondi, invece di ridare la vita al fratello donò al Porcospino enormi ricchezze.
Sì, si sono un verme, non ho combinato niente e nemmeno qui posso fare niente. Perfino a mia moglie non sono riuscito a dare niente. Non ho amici e nemmeno posso averli ma non toglietemi quello che è mio, mi hanno già tolto tutto là, dietro quel filo spinato. Tutto quello che ho è qui, qui nella zona. La mia felicità, la mia libertà, la mia dignità, tutto qui. Io porto qui solo quelli come me, gli infelici, i disperati, quelli che non hanno più niente in cui sperare e io posso capire, posso aiutarli, nessuno puo' farlo ed io invece sì che posso. Ecco è tutto qui quello che ho, niente altro”.

Scrittore-A: Tu secondo me sei semplicemente folle, tu non hai nessuna idea di cosa succede qui. Perché, perché secondo te si è ucciso il porcospino?
Stalker-B: E' venuto nella zona per uno scopo suo ed ha ucciso il fratello nel tritacarne per denaro.
A: Fin qui tutto è chiaro ma perché poi si è impiccato? Perché non è tornato nella Zona e stavolta non per i soldi ma per suo fratello? Si è pentito?
B: Non lo so, voleva, ma dopo pochi giorni si impiccò?
A: Qui capì che non si realizza qualsiasi desiderio ma solo i desideri più nascosti, i più segreti. Non quelli urlati a squarciagola. Qui si avvera solo ciò che incarna la tua natura, la tua essenza, di cui non sei coscientepur portandola dentro di te ma che comunque ti domina sempre. Non hai capito niente calzone di cuioia. No, il porcospino non è una vittima dell'avidità. Si trascinò qui in ginocchio implorando la grazia per il suo fratello ed ottenne una montagna d'oro, perché era questo che desiderava nel suo intimo. Date al porcospino ciò che è del porcospino, coscienza, tormenti spirituali, tutte cose inventate dal cervello. Lui lo capì e si impiccò. Non andrò nella tua stanza, perché non voglio vomitare in faccia a nessuno lo schifo che ho dentro di me, neanche in faccia a te, per poi impiccarmi come il porcospino. Meglio crepare alcolizzato nella mia puzzolente stamberga, ma tranquillo e in silenzio.

A mio avviso lo scrittore non ha compreso, per lo meno inizialmente, ciò che muoveva davvero lo Stalker, però ha ben compreso cosa ha mosso il Porcospino. In quella attenta analisi pessimistica della realtà dell’uomo, su cosa muove veramente la coscienza, c’è però un fondo, un barlume che si è acceso nella mia mente.

Lo scrittore conosce la sua natura, sa che abbandonandosi ad essa getterebbe in faccia all’umanità tutto il suo marcio e lo farebbe per un suo profitto personale, ne trarrebbe giovamento, chissà forse ricchezze. Eppure, sia lui che il porcospino, reagiscono a questa situazione, in un modo o nell’altro.

Banale è ricordarvi che il tutto va letto metaforicamente. Vorrei però sottolineare ancora l’importanza di questo passo. Per quanto l’essere umano sia per natura costretto nei suoi desideri più nascosti a fremere per ricchezze ed egoismi, c’è qualcosa che gli fa ripudiare tutto questo, che gli fa disprezzare la sua natura, che lo fa reagire contro essa, facendolo rinunciare a dei beni per sé. Nel nostro quotidiano spesso denunciano la falsità di comportamenti coscienziosi, cauti, oserei dire delicati. La denunciamo perché non ci sembra conforme alla nostra natura. Ebbene, personalmente credo che questa sia la grandezza dell’essere umano, la possibilità di ergersi al di sopra dell’egoismo che lo connatura, la ribellione direbbe Camus.

Oltre questo, ho letto in questo film anche una chiara matrice religiosa. C’è un riferimento ad un passo biblico in cui Gesù si accompagna a due uomini che conversano sulla vita e non si accorgono di lui, che è Lui. Non è un caso che questa citazione avvenga per bocca dello Stalker, è come se si sentisse un inviato, con la vocazione di raccogliere tutti i miserabili sotto la sua miseria e con un’attenzione sofferente alla preghiera, al credere che ha abbandonato le nostre menti.

Stalker-A: E pretendono pure di essere intellettuali, questi scrittori, scienziati... non credono più a niente. L'organo con il quale crediamo gli si è atrofizzato, tanto non ne hanno bisogno. Dio mio che gente.
Moglie dello Stalker-B: Sta calmo, sta calmo, non è colpa loro, non bisogna arrabbiarsi, vanno compatiti.
A: Tu non li hai visti, hanno gli occhi vuoti. Pensano soltanto a come tenerealto il loro prezzo, a come rendersi più cari, a farsi pagare tutto, anche ogni moto dell'anima. Pensano di avere una missione da compiere, una vocazione, e che si vive una sola volta. La gente così puo' credere a qualcosa? Nessuno crede più, non soltanto quei due, nessuno. Chi puo sopportare la... o Signore, e la cosa peggiore è che non serve a nessuno, a nessuno serve quella stanza. Tutti i miei sforzi sono inutili.

Anche il monogo della moglie, a fine film, affonda in una somiglianza con Cristo. L’essere disprezzato, allontanato dalla società, il condannato a morte, l’errabondo che però si fa amare. La difficoltà di abbracciare un simile individuo, l’infinita amarezza della fede, eppur felice.


Moglie dello Stalker: “La gente rideva di lui e lui era così smarrito poverino. Mamma mi diceva è uno stalker, un condannato a morte, un eterno carcerato. E i bambini? pensa ai bambini degli stalker. E io, io non volevo nemmeno discutere. Ma io lo sapevo benissimo che era un condannato a morte, un eterno carcerato e anche dei bambini. Ma che cosa potevo farci, io ero sicura che insieme a lui sarei stata bene. Sapevo che avrei avuto tante amarezze, ma è meglio una felicità amara che una vita grigia e noiosa. Beh questo devo essermelo immaginato dopo. Allora egli si avvicinò a me e disse semplicemente queste parole: ti prego, vieni con me. Andai. E non me ne sono pentita e non ho mai invidiato nessuno, mai, in nessun momento della mia esistenza. Il destino è fatto così, così è la vita, così siamo noi. E se nella nostra vita non ci fosse dolore non sarebbe meglio, sarebbe peggio. Perché allora non ci sarebbe la felicità e la speranza. Ecco”.

Questo film riflette la religiosità di Tarkovski, i dubbi, i tormenti, la pericolosità di un percorso silenzioso. Lo Stalker annuncia la difficoltà del viaggio per giungere alla stanza, ma non si intravede nessun pericolo effettivo, è solo nei loro occhi, nelle loro paure. E’ l’uomo, nel suo essere costituito in quanto tale, ad essere in pericolo perché è uomo, soggetto ai fremiti della sua natura.


Cristo venne e disse: “Venite tutti a me voi che siete affaticati ed oppressi ed io vi ristorerò”. Come fece ben notare Kierkegaard, quale sorpresa che quell’invito esca dalla bocca del più miserabile, di chi più di tutti sembrerebbe aver bisogno di aiuto. La scelta è di credere o meno, il bivio spalancato sul precipizio dello scandalo, che proprio quell’uomo miserabile sia Dio, che Dio sia quell’uomo, ultimo tra gli ultimi. La scelta ti spinge a specchiarti in lui, nella tua decisione vedere te stesso, a leggere la tua anima, i tuoi più segreti ed intimi desideri. Tutto quindi non poteva che sboccare nella decisione finale, entrare o meno, umiliarsi per credere?

Il Professore ha portato con sé una bomba e vuole distruggere la stanza per prevenire l'uso indiscriminato e devastante dei suoi poteri: “Finché questa piaga rimarrà aperta a qualsiasi canaglia non avrò pace".
Ecco il vero motivo, distruggere la possibilità, lo specchio, per evitare che a riflettersi siano gli orrori della natura umana. Eliminare il bivio, estirpare la fede che viene concepita come la responsabile dell’orrore conseguente alla scelta. La decisione verrà abbandonata. Eppure i due uomini non riusciranno ad entrare nella stanza, a rapportarsi con il credere.

La sofferenza dello Stalker sarà grande per questo, lui che tanto ha sacrificato la sua vita, tutto, per condurre i miserabili alla stanza, lui soffrirà perché tutti infine lo abbandoneranno, tutti si scandalizzeranno, nessuno avrà fede.

Amo gli occhi tuoi amica mia,
il loro gioco splendido di fiamme.
Quando li alzi all'improvviso
e con un fulmine celeste
guardi veloce tutto intorno.
Ma c'è un fascino più forte,
gli occhi tuoi rivolti in basso
negli attimi di un bacio appassionato
e fra le ciglia semichiuse del desiderio
il fumo e fosco fuoco.


Al termine la splendida poesia di Fëdor Ivanovič Tjutčev, Dull flames of desire, a sottolineare la commistione del desiderio, del basso, con l’amore.
(Curiosità: la poesia è stata ripresa dalla cantante islandese Björk nell'omonima canzone)


Alla fine la figlia paralitica dello Stalker, ammalata per via della Zona, mostrerà le sue capacità paranormali sposatando alcuni bicchieri posti su di un tavolino e facendone cadere uno. Il tutto sarà seguito dai sussulti dell’ambiente al passare forse di un treno. L’abile regista ci ricollega così all’inizio, dove tutti sono dormienti, compresa la bambina, ed il treno passa, il tavolino trema, eppur il bicchiere non cade. Forse ci suggerisce che l’uomo possiede qualcosa in più, qualcosa che gli permette di agire sul circostante, e sulla sua stessa natura; qualcosa che invoca una scelta e che puo’ cambiare le sorti degli eventi portando ad una, seppur miserabile, vittoria. Non a caso l’evento è accompagnato dall’ Inno alla gioia.


Queste le musiche: Bolero di Maurice Ravel, Tannhäuser di Richard Wagner, Sinfonia n. 9 di Ludwig van Beethoven.

Durata: 2.35.00

 
 
 
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