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Antiamericanismo is comincia back?

Post n°1239 pubblicato il 12 Maggio 2022 da scricciolo68lbr

Anti-americanismo “is back”?

In Europa c’è una storica avversione verso gli Usa, che interessa destra e sinistra. Ma non si tratta soltanto della critica - legittima - alle politiche degli Stati Uniti. È l’identificazione dell’“America” come l'origine di tutti i mali moderni. Si perché in tanti in Europa non condividono più la politica americana di esportare la democrazia a suon di “bombe”. 

Nel 1931 Robert Aron e Arnaud Dandieu pubblicavano “Le Cancer américain”. Nel libro i due autori analizzavano gli Stati Uniti non come nazione o popolo ma come idea e sostenevano che “il cancro del mondo moderno” fosse nato lontano dalle fosse comuni della guerra. Denunciavano poi “la supremazia dell’industria e delle banche su tutta la vita dell’epoca” e “l’egemonia dei meccanismi razionali sulle realtà concrete e sentimentali, che sono le sorgenti profonde del vero progresso dell’uomo”. Aspetti che facevano coincidere con “l’idea degli Stati Uniti”.

Robert Aron è stato uno dei maggiori studiosi del regime di Vichy. Il riconoscimento al valore della sua opera sarà celebrato nel 1974 dal suo ingresso nel tempio della cultura francese, l’Académie française. Aron e Dandieu furono anche i fondatori di Ordre Nouveau, un’organizzazione politica anticonformista negli anni Trenta in Francia che includeva tra i suoi membri anche il futuro leader francese Charles de Gaulle.

Si tratta soltanto di uno dei molti esempi che si potrebbero fare. La storia dell’anti-americanismo europeo è lunga e data almeno dalla nascita degli Stati Uniti. Un anti-americanismo che è politico, storico e anche letterario. Le reazioni a cui assistiamo oggi, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, fanno parte di qualcosa che è molto radicato nella vita politica e culturale del continente, per quanto sia oggetto di studio soprattutto dopo l’11 settembre del 2001.

Chiariamo subito che si tratta dell’esercizio di una critica legittima e dovremmo evitare di utilizzare l’etichetta “anti-americanismo” nel tentativo di silenziarla. Un rischio che evidentemente c’è. Soprattutto in tempi di guerra.

Tuttavia l’antiamericanismo non è soltanto una critica alle politiche degli Stati Uniti. Non descrive soltanto la resistenza al potere e all’influenza americana. E non è nemmeno assimilabile a un campo specifico dello spettro politico. Destra e sinistra nel tempo l’hanno utilizzata in vario modo. È anche una tradizione, il frutto della stratificazione di narrazioni negative che si sono arricchite nel tempo. Ed è nei fatti un pregiudizio nei confronti degli Stati Uniti e degli americani che prende di mira qualsiasi aspetto della società americana, definendo tutto ciò che è americano come inferiore e immorale. La relazione con la Russia quindi non sarebbe altro che il frutto di una gestione guerrafondaia, barbara e, quindi, inferiore che, secondo molti, un’Europa libera dalle costrizioni degli alleati d’Oltreoceano avrebbe saputo gestire meglio. Con quelle concessioni, magari, in termini d’integrità territoriale o d’indipendenza dell’Ucraina sacrificabili sull’altare della geopolitica che, alcuni continuano, poco si adatta allo spirito bellicoso dei “cow-boy” americani.

Una critica storica quella agli Stati Uniti che è stata inizialmente anti-democratica, reazionaria ed elitaria contro la società di massa e il materialismo. E che vedeva negli Stati Uniti una degenerazione dell’Illuminismo. Poi l’antiamericanismo è diventato un attacco alla società di massa e al materialismo che nel secondo dopoguerra identifica nel capitalismo e nell’imperialismo americano – politico, economico e culturale – il nemico da abbattere (con qualche dose di antisemitismo). Della complessità della società americana e delle sue istituzioni poco interessava e interessa.

C’è un aspetto sociologico che è però interessante, come hanno messo in luce Heiko Beyer e Ulf Liebe, ricercatori della Georg-August-Universität di Göttingen in Germania. Secondo i due ricercatori, le cause dell’antiamericanismo odierno sono radicate anche nelle funzioni psicologiche e sociali del risentimento. In questo senso l’“americanizzazione” sarebbe utilizzata come forma di razionalizzazione psicologica di complessi processi sociali che spesso sono riuniti sotto il termine ombrello di “globalizzazione”. Gli Stati Uniti sarebbero quindi immaginati come il luogo in cui questi processi hanno avuto origine. Una razionalizzazione che consente alle persone di avere “una mappa” con cui muoversi in tempi complicati:

Una visione del mondo manichea come l’antiamericanismo offre una distinzione netta tra “buoni” e “cattivi”, disegna un quadro semplice della società e consiste in una cornice interpretativa fissa, quasi non toccata dai cambiamenti della realtà.

In questo senso l’antiamericanismo genera coerenza ed elimina la “dissonanza cognitiva”. Quando infatti c’è un’incoerenza tra ciò che le persone credono e come si comportano, appunto la dissonanza cognitiva, le persone tendono a ricercare “elementi di coerenza” nei loro atteggiamenti e percezioni, che eliminino quel disagio iniziale derivante dall’incoerenza. Come? Cambiano posizione oppure re-interpretano quel che accade alla luce delle “mappe cognitive” che posseggono.

Di fronte alla Russia che invade l’Ucraina che “inspiegabilmente” desidera entrare nella Nato e nell’Unione europea, il riflesso immediato per far fronte a questa incoerenza è quella di riportarla all’interno di una contrapposizione più consona e più funzionale: la responsabilità è degli Stati Uniti e della Nato che hanno “accerchiato” la Russia. Una dissonanza che a sinistra alcuni cercano di limitare descrivendo l’Ucraina come un paese guidato dai nazisti e dedito ai massacri. 

Secondo Beyer e Liebe, c’è anche un altro aspetto. Quando si proietta verso l’esterno tutta una serie di aggressività e rabbia, le persone tentano di esternalizzare l’aggressività che era originariamente diretta contro se stessi. Anche in questo caso l’antiamericanismo – nella sua opposizione al capitalismo e al materialismo e nella difesa delle tradizione – consente di ridurre la complessità. Un esempio. Philippe Roger, direttore presso l’École des hautes études en sciences sociales e autore di “L’Ennemi américain : généalogie de l’antiaméricanisme français”, suggerisce che le mancanze che i francesi – ma potremmo dire gli europei – proiettano sugli Stati Uniti rivelano soprattutto le loro fobie e repulsioni:

Paure di ciò che potrebbe accadere o di ciò che è già qui. “Americanizziamo” situazioni che noi stessi ci siamo lasciati sfuggire: per i problemi delle periferie, si parla di “ghettizzazione all’americana”. Quando non sappiamo esattamente a che punto siamo con l’integrazione e la cittadinanza, parliamo dei pericoli di un “comunitarismo all’americana”, anche se la situazione non ha niente a che vedere con quella d’oltreoceano. Creiamo un’America mitologica per evitare di fare domande sui problemi reali. In cui gli americani hanno poco a che fare con qualcosa.

Questa esternalizzazione del malcontento delle società europee verso l’economia di mercato, la perdita della tradizione e la globalizzazione è però in realtà una semplificazione utile più ad alimentare visioni partigiane che ad affrontare seriamente i problemi – o meglio le sfide – che le società europee si trovano ad affrontare. 

E qui bisogna fare attenzione a un altro aspetto dell’antiamericanismo. Quello della costruzione di un’identità europea in contrapposizione a quella statunitense. Che è una sorta di nazionalismo pan-europeo. Di cui non c’è bisogno.

 

Articolo tratto da: https://ytali.com/2022/03/10/anti-americanismo-is-back/

 
 
 
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