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Guida alla Parigi ribelle (II Parte)

Post n°166 pubblicato il 11 Aprile 2011 da ilio_2009
 
Tag: Storia

L' Introduzione:

"In fondo è a Parigi che, dopo secoli di conflitti sanguinosi, è stata inventata la rivolta popolare." ANDREW HUSSEY

Non tutti lo sanno, ma il termine "barricata", che in decine di lingue sta a indicare una sommossa urbana o rivolta di strada, è parola francese. Più precisamente parigina. Infatti è nel Quartiere latino di Parigi, in place Maubert, che alcuni studenti della Sorbona innalzarono con i loro professori le prime barricate della storia, il 12 maggio 1588. Il vocabolo fu coniato proprio in quell'occasione, a partire da uno degli oggetti più utilizzati in quei giorni dai manifestanti: le botti (in francese barriques), barili riempiti di sabbia e pietre e accatastati per sbarrare le strade. L'ironia della storia sta nel fatto che, nell'atmosfera di odio delle guerre di religione, queste prime barricate non furono erette da ribelli assetati di libertà, ma da integralisti cattolici intolleranti e fanatici.

Gli abitanti della capitale, per ragioni in parte ancora misteriose, sono sempre stati pronti a scendere in strada e hanno spesso dato prova di un comune sentimento frondeur, di insubordinazione nei confronti delle autorità. Anche il termine frondeur, ricordiamolo, è parigino. Viene da fronde, una fionda di facile costruzione utilizzata dai ragazzi di strada di Parigi e impiegata dai rivoltosi del Pont-Neuf nel 1648 per protestare contro la politica fiscale di Mazzarino. Questa sommossa si convertì rapidamente in una grande insurrezione popolare con circa un migliaio di barricate a bloccare il centro di Parigi. E si sarebbe presto trasformata in una vera e propria rivolta contro la Corona (quella di Luigi XIV), conosciuta appunto con il nome di Fronda.

Ma l'archetipo della rivolta parigina - la madre di tutte le rivolte - è quella del febbraio 1358, quando Étienne Marcel, prevosto dei mercanti (l'equivalente odierno del sindaco di Parigi), guidò un'insurrezione contro il potere reale. Voleva instaurare una monarchia con forme di controllo per ridurre l'assolutismo. La rivolta si inscriveva nella scia della decisiva vittoria politica riportata un secolo e mezzo prima, nel 1215, dai baroni inglesi sulla Corona (quella di Giovanni Senzaterra). I ribelli avevano ottenuto la promulgazione della Magna Charta che limitava, per la prima volta, l'arbitrio regale e stabiliva l' habeas corpus e i diritti delle città.

Rappresentante del Terzo Stato, Étienne Marcel incarna quindi in Francia l'ascesa di forze sociali capaci di mettere in crisi la società feudale, in particolare il ruolo del clero e della nobiltà il cui potere, ormai superato, si fonda sui possedimenti terrieri. I borghesi di città invece traggono la loro ricchezza dal commercio, attività economica all'epoca in forte espansione. Cosa che altrove - in Italia, nelle Fiandre o nella Lega anseatica tedesca, per esempio - aveva favorito l'autonomia politica delle città-stato e suggerito che cittadini e commercianti fossero più adatti ad amministrare la società rispetto ai nobili o alla monarchia.

In questo senso la ribellione di Étienne Marcel - la cui statua equestre domina oggi

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la Senna dalla mitica place de Grève (oggi place de l'Hôtel-de-Ville) - segna profondamente l'immaginario dei parigini. Incarna la volontà popolare di abolire un'autorità spesso percepita come illegittima perché elitaria, arbitraria e abusiva. Per questa ragione, la rivolta del leggendario prevosto dei mercanti rappresenta anche un'istanza irrinunciabile di autonomia e di libertà. Sebbene repressa, o proprio a causa del suo fallimento, la sommossa di Étienne Marcel preannuncia in certa misura tutte le future sollevazioni, le proteste e le lotte dei parigini fino alla rivoluzione del 1789, alla Comune del 1871 e alla rivolta del maggio 1968.

Parigi non ha, beninteso, il monopolio delle ribellioni popolari. In altri paesi europei, nel corso della storia, ce ne sono state di molto importanti (nelle città-stato italiane del Rinascimento, in Inghilterra o nei Paesi Bassi, per esempio) così come in America (la rivoluzione americana risale al 1776). Ma alla fine del XVIII secolo a Parigi si verifica una congiuntura inedita di fattori intellettuali e politici che impone con forza, e per quasi due secoli, la capitale francese quale epicentro di tutte le rivoluzioni. Anche le più impensabili. E luogo d'incontro di tutti i ribelli. Anche i più utopisti.

Tutto ha inizio con l'Illuminismo e l' Enciclopedia. Le tesi di filosofi come Voltaire e Rousseau su religione, morale, politica e tolleranza sconvolgono la mentalità dell'epoca. Questi pensatori propongono un ripensamento radicale del modo di interpretare il mondo. L'umanità aveva vissuto nell'oscurantismo delle superstizioni, questi filosofi invece vogliono rischiararla grazie ai lumi della ragione, della scienza e del progresso.

Quanto a usi e costumi, Parigi era già piuttosto disinvolta e molto aperta, in particolare, alle idee libertine. Spingendosi oltre, del resto, il marchese de Sade elabora proprio qui e in questo periodo la sua estremistica rivoluzione sessuale enunciata nelle 120 giornate di Sodoma. In un simile contesto molte idee innovatrici formulate da una generazione di indomiti filosofi - Montesquieu , Diderot , Condorcet , d'Alembert, Helvétius, d'Holbach - si diffondono e mettono radici in seno alla vita parigina, principalmente attraverso i caffè letterari, molto in voga all'epoca, situati soprattutto lungo i viali del Palais-Royal (cafè de Foy) o nel Quartiere latino (Le Procope) e anche tramite le sociétés d'esprit, circoli letterari e salotti organizzati quasi sempre da donne di grande audacia intellettuale (Mme Geoffrin, Mlle de Lespinasse, la marchesa di Deffand). La buona società frequenta i rappresentanti del mondo letterario, legge in anteprima le loro opere e si entusiasma per le loro riflessioni e punti di vista. Poco a poco, grazie a un effetto paragonabile al fenomeno fisico della percolazione, queste idee pionieristiche penetrano negli strati sociali della capitale. Turbano incredibilmente la maniera abituale di guardare le cose. Mettono a soqquadro l'ordine politico dominante che opprime la popolazione ridotta in miseria dall'autorità dei potenti. Sotto questo aspetto, i filosofi aprono gli occhi ai cittadini: "Nessun uomo" afferma Diderot "ha ricevuto dalla natura il diritto di comandare gli altri."

Gli animi sono quindi maturi e sussistono le condizioni per l'esplosione politica. Manca solo la scintilla. Scocca il 14 luglio 1789 quando i parigini vessati dalle restrizioni si rivoltano e, in cerca di armi, prendono la Bastiglia, simbolo del dispotismo regale. Crolla l'Ancien Régime. Comincia la Rivoluzione francese. La Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino viene votata il 26 agosto 1789. Il rosso e il blu, colori di Parigi, con l'aggiunta del bianco tradizionale della monarchia andranno a formare la bandiera tricolore. I parigini scaraventano il mondo in una nuova era. E per esprimere drammaticamente questo ribaltamento, Luigi XVI viene ghigliottinato il 21 gennaio 1793. L'eco di questa esecuzione - che annuncia l'emancipazione di un popolo - è universale. Così come il messaggio della Rivoluzione.

L'impresa del popolo dei sobborghi parigini, capace di prendere il potere e abbattere l'aristocrazia, prova che niente è impossibile quando la massa della povera gente mostra la propria forza. Nonostante i suoi eccessi (il Terrore), la Rivoluzione francese provoca un sisma sociale di magnitudo inedita. Irretisce tutti gli uomini innamorati della libertà.

A Parigi quindi, ormai mecca dello spirito rivoluzionario, accorrono spontaneamente i giovani ribelli del mondo intero in cerca di ispirazione, di modelli, idee e strutture. Simón Bolívar è uno dei primi. Fin dal 1805, giunto a Roma, sull'Aventino giura solennemente di lottare per la liberazione del suo paese, il Venezuela. Giovane ufficiale, si stabilisce nella Parigi postrivoluzionaria dove frequenta caffè alla moda e club politici, e assiste, nella cattedrale di Notre-Dame, all'incoronazione di Napoleone I. Di ritorno in America, farà parte della giunta di Caracas che nel 1810 sarà la prima tra le colonie spagnole a rivendicare l'indipendenza. In seguito diventerà il grande Libertador dell'America Latina.

Anche se dopo la disfatta di Napoleone ebbe luogo una restaurazione monarchica, i parigini dei quartieri più contestatari (faubourg Saint-Antoine, faubourg Saint-Denis, faubourg Saint-Marcel) rimangono ancorati al vento rivoluzionario del 1789. E fin dal 1830, in seguito a una serie di ordinanze che limitavano i diritti, a Parigi spira di nuovo aria di rivoluzione. Il 27 luglio 1830, e per i due giorni successivi (le "tre giornate gloriose") una volta ancora le strade della capitale si riempiono di barricate.

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 Nel suo celebre dipinto La libertà guida il popolo, Delacroix mostra i parigini di nuovo uniti nella rivolta e nella lotta contro un re (Carlo X). Donne e uomini, bambini e adulti, borghesi e proletari, militari e civili, bonapartisti e repubblicani, tutti insieme, con la cattedrale di Notre-Dame sullo sfondo, i parigini si sollevano pronti a morire per la libertà. Risultato: l'ultimo dei Borboni è rovesciato, ma la repubblica non è ristabilita.

Nel febbraio 1848, a Parigi si avverte di nuovo "un vento di rivoluzione che è nell'aria", come lo definirà Tocqueville. Gli artigiani della capitale soffrono la concorrenza delle fabbriche, proliferate grazie alla rivoluzione industriale. Una parte della popolazione, quella di Belleville, di Montmartre o delle rive del Bièvre, è ormai proletaria. La libertà di stampa permette alle idee di circolare, anche a quelle contestatarie, e ai critici di esprimersi. La Francia dell'epoca è uno dei paesi più liberi d'Europa e attira a Parigi centinaia di intellettuali, attivisti politici e artisti stranieri in fuga da censura e regimi repressivi.

Man mano che nelle fabbriche parigine aumenta il numero di operai e di operaie, le idee socialiste si radicano. Le tesi critiche di Charles Fourier sulla società seducono una parte dei cittadini che si organizza in comunità utopiche (i falansteri). Anche Proudhon, uno dei fondatori del socialismo, abita a Parigi. Nel 1840 pubblica Che cos'è la proprietà? nel quale afferma che "la proprietà è un furto", e nel 1846 Filosofia della miseria, che ha grande risonanza negli ambienti operai. Si moltiplicano nuove proposte (credito gratuito, assicurazioni, sindacati) per costruire una società più giusta.

Anche Karl Marx si stabilisce a Parigi, nel 1843. Vi incontra, al café de la Régence, vicino Palais-Royal, Friedrich Engels con il quale scriverà il Manifesto del partito comunista. Entrambi partecipano attivamente al fermento degli ambienti rivoluzionari parigini, frequentati all'epoca da numerosi rifugiati politici. Ci si può imbattere per esempio in Bakunin, venuto dalla Russia, che nei suoi scritti ha posto i fondamenti del socialismo libertario.

L'effervescenza è altrettanto intensa negli ambienti artistici. Murger, in Scene della vita di Bohème, descrive questa nuova generazione di scrittori e pittori che conducono una vita agli antipodi dei dettami borghesi. Passano il tempo nei caffè fumosi e abitano nelle mansarde, poiché hanno scelto di vivere unicamente della loro arte, senza concessioni alla censura borghese o alle regole accademiche, anche a costo di sopportare stenti e privazioni. Scelta che, qualche anno più tardi, Rimbaud tradurrà in questi termini: "Giuro, caro maestro, di adorare sempre le due dee, la Musa e la Libertà."

Parigi all'epoca è la città che conta il maggior numero di caffè e brasserie letterarie in cui le discussioni sull'arte e la politica infiammano gli animi. Nonostante le modeste tirature, dal momento che buona parte dei parigini è analfabeta, la città pullula di gazzette e giornali che permettono di vivere più o meno bene a centinaia di giornalisti, scrittori, poeti, caricaturisti, disegnatori, incisori, illustratori...

In aperto contrasto con la tradizione dominante nascono nuove scuole di estetica e, come in nessun altro luogo, generano dibattiti che talvolta si trasformano in veri e propri conflitti ideologici. Il febbraio 1830 vede la "battaglia di Ernani", a proposito della pièce di Victor Hugo che inaugurò il genere del dramma romantico. E il 1835 la pubblicazione di Papà Goriot di Balzac , modello del romanzo realista. Ben presto, nel 1851, in ambito pittorico ci sarà il manifesto realista di Courbet con il suo potente e provocatorio Funerale a Ornans. Poi, nel 1857, il processo intentato a Flaubert per Madame Bovary e la censura dei Fiori del male di Baudelaire "per oltraggio alla morale pubblica e al buon costume".

In questa atmosfera di eccitazione artistica e agitazione politica, la povera gente è allo stremo a causa dell'elevato costo della vita. Nel febbraio 1848, infatti, i prezzi dei generi alimentari aumentano. Si formano assembramenti di protesta. Vengono innalzate barricate accanto alla Concorde, vicino alle Tuileries, allora residenza di Luigi Filippo. Niente di davvero grave. Ma un gruppo di contestatori, operai e studenti, saccheggia un deposito di armi e va a provocare, agitando pistole e fucili, le truppe di guardia a un ministero in boulevard des Capucines. I soldati perdono il sangue freddo e sparano. Diciassette morti. Accatastati su una carretta dai manifestanti sopravvissuti, i cadaveri vengono portati in giro per i quartieri popolari di Parigi. Si grida vendetta. E la gente dei sobborghi, una volta ancora, si solleva. I senza classe, i dimenticati dalla storia, quelli di cui George Orwell (che visse da barbone a Parigi) diceva: "Si innalzano statue ai politici, ai poeti, ai vescovi, mai ai cuochi, ai salumieri o agli ortolani." Sono loro che rovesciano Luigi Filippo. La Seconda Repubblica viene proclamata.

Questa terza rivoluzione in meno di sessant'anni (che Napoleone III sfrutterà poco dopo a proprio vantaggio) sottolinea ancora una volta il carattere ribelle di Parigi. Questi eventi d'altronde accrescono l'attrazione esercitata dalla capitale francese sui rivoluzionari di tutto il mondo.

Appena due decenni più tardi, dal 26 marzo al 28 maggio 1871, ha luogo a Parigi una quarta rivoluzione, la rivoluzione della Comune, la più radicale, la più micidiale per la ferocia della repressione messa in atto da Versailles. Karl Marx l'ha definita "la prima insurrezione spontanea del proletariato". In quest'occasione per la prima volta è la bandiera rossa a simboleggiare il movimento rivoluzionario. Evoca il sangue degli operai in rivolta, morti per l'emancipazione sociale.

In materia di educazione, di uguaglianza fra i sessi, di condizioni di lavoro, giustizia, democrazia, organizzazione della società, dei culti e delle libertà, la Comune di Parigi propone innovazioni radicali, progressi immensi in confronto alle esperienze politiche portate avanti in altre parti del mondo. Segnerà profondamente tutti i dirigenti operai. Ispirerà per lungo tempo i movimenti di contestazione in Francia e le grandi rivoluzioni nel resto del pianeta, in particolare la rivoluzione bolscevica del 1917. Come scriverà Marx: "La Parigi operaia, con la sua Comune, sarà celebrata in eterno come la gloriosa precorritrice di una società nuova. Il ricordo dei suoi martiri è conservato rispettosamente nel grande cuore della classe operaia."

Del resto Lenin e sua moglie Nadezda Krupskaja si stabiliscono a Parigi (rue Marie-Rose) dal 1909 al 1912 dove, con altri leader rivoluzionari come Kamenev e Zinov'ev, vivono anni molto difficili dal punto di vista finanziario e politico. A quell'epoca Parigi continua ad attrarre giovani rivoluzionari provenienti da paesi talvolta lontani. Zhou Enlai e Deng Xiaoping, per esempio, futuri dirigenti della rivoluzione cinese, si trasferiscono a Parigi nel 1920. Abitano vicino place d'Italie, lavorano nelle fabbriche Renault a Billancourt e si imbevono di tradizione ribelle parigina. Anche il capo dell'insurrezione vietnamita Ho Chi Minh passa da Parigi, dove risiede dal 1919 al 1923. Vive modestamente come ritoccatore di fotografie, continuando i propri studi. Partecipa inoltre al congresso di Tours (1920) che vede la nascita del Partito comunista francese, allora chiamato Sezione francese dell'Internazionale comunista.

Decine di artisti stranieri accorrono verso la capitale nella speranza di incontrare quegli autori, francesi o forestieri, che stupiscono il mondo: Rimbaud, Verlaine, Proust, Céline, Berlioz, Bizet, Debussy, Manet, Cézanne, Renoir, Van Gogh, Modigliani, Picasso, Braque, Matisse... Parigi in questo periodo è la capitale indiscussa dell'arte. Tra il 1870 e il 1940, in qualsivoglia ambito artistico, si diventa maestri incontestati su scala mondiale solo se si ha successo a Parigi. Le rivoluzioni artistiche vi si avvicendano in ogni settore: pittura, scultura, musica, balletto, letteratura, cinema, architettura. Una delle più spettacolari, e di risonanza universale, è probabilmente quella del surrealismo, teorizzato dopo il 1918 da André Breton, che mescola lirismo poetico, scrittura automatica, psicanalisi (Freud ha vissuto e studiato a Parigi) e trotskismo.

Con la grande crisi economica, gli anni '30 vedono il ritorno a Parigi di rivolte sociali e occupazioni di fabbriche che preannunciano il Fronte popolare e la nuova ondata di innovazioni progressiste, in particolare le ferie pagate e la settimana di 40 ore.

Poi, con la disfatta del 1940 e l'occupazione, Parigi resiste e si libera. L'esistenzialismo di Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir e Albert Camus fa proseliti. Seguiranno le manifestazioni parigine contro le guerre coloniali. E il grande movimento contestatore parigino del maggio '68, che ancora una volta ha una eco internazionale. Con esiti intellettuali come lo strutturalismo e i suoi maestri (Barthes, Foucault, Lacan, Derrida, Althusser), la cui influenza raggiungerà i campus universitari di tutto il mondo. Ci saranno poi i grandi scioperi del novembre-dicembre 1995. E l'infiammarsi delle banlieue nel novembre 2005. A conferma che a Parigi le ribellioni non finiscono mai.

Se sotto il profilo artistico e intellettuale Parigi ha forse smesso di essere il centro del mondo, nell'ambito della contestazione politica la capitale francese rimane in vetta alla classifica delle città più ribelli. È il vanto dei parigini, francesi o stranieri, preferire da sempre i disordini all'ingiustizia.

RAMÓN CHAO, IGNACIO RAMONET

 
 
 
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