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Rime del Berni 19-26

Post n°1223 pubblicato il 19 Febbraio 2015 da valerio.sampieri
 

Rime di Francesco Berni

19

A MONSIGNOR AGNOLO DIVIZI
GRIDANDO LA SUA INNOCENZA

Poiché da voi, signor, m'è pur vietato
che dir le vere mie ragion non possa,
per consumarmi le midolle e l'ossa,
con questo novo strazio e non usato,

finché spirto avrò in corpo e alma e fiato,
finché questa mia lingua averà possa,
griderò sola, in qualche speco o fossa,
la mia innocenzia e più l'altrui peccato.

E forse ch'avverrà quello ch'avvenne
della zampogna di chi vide Mida,
che sonò poi quel ch'egli ascoso tenne.

L'innocenzia, signor, troppo in sé fida,
troppo è veloce a metter ale e penne,
e quanto più la chiude altri più grida.



20

SONETTO AL DIVIZIO
MONSIGNOR ANGELO DIVIZI DA BIBBIENA

Divizio mio, io son dove il mar bagna
la riva a cui il Battista il nome mise
e quella donna che fu già di Anchise
non mica scaglia ma bona compagna.

Qui non si sa che sia Francia né Spagna,
né lor rapine ben o mal divise;
se non che chi al lor giogo si summise
grattisi 'l cul, s'adesso in van si lagna.

Fra sterpi e sassi e villan rozzi e fieri,
pulci, pidocchi e cimici a furore,
men vo a sollazzo per aspri sentieri;

ma pur Roma ho scolpita in mezzo il cuore
e con gli antichi mei pochi pensieri
Marte ho nella brachetta e in culo Amore.



21

MANDO FATTO IN ABRUZZI
CONTRO AMORE DISPETTOSO

Amor, io te ne incaco,
se tu non mi sai far altri favori,
perch'io ti servo, che tenermi fuori.
Può far Domenedio che tu consenti
che una tua cosa sia
mandata nell'Abruzzo a far quitanze
e diventar fattor d'una badia
in mezzo a certe genti
che son nemiche delle buone usanze?
Or s'a queste speranze
sta tutto il resto de' tuoi servitori,
per nostra Donna, Amor, tu me snamori.



22

SONETTO SOPRA LA BARBA DI DOMENICO D'ANCONA

Qual fia già mai così crudel persona
che non pianghi a caldi occhi e spron battuti,
impiendo il ciel di pianti e di sternuti,
la barba di Domenico d'Ancona?

Qual cosa fia già mai sì bella e buona
che invidia o tempo o morte in mal non muti,
o chi contra di lor fia che l'aiuti,
poi che la man d'un uom non li perdona?

Or hai dato, barbier, l'ultimo crollo
ad una barba la più singulare
che mai fusse descritta o in verso o in prosa;

almen gli avessi tu tagliato il collo,
più tosto che guastar sì bella cosa,
che si saria potuta imbalsimare

e fra le cose rare
poner sopra ad un uscio in prospettiva,
per mantener l'imagine sua diva.

Ma pur almen si scriva
questa disgrazia di color oscuro,
ad uso d'epitafio, in qualche muro:

"Ahi, caso orrendo e duro!
Ghiace qui delle barbe la corona,
che fu già di Domenico d'Ancona".



23

SONETTO DI SER CECCO

Ser Cecco non può star senza la corte
e la corte non può senza ser Cecco;
e ser Cecco ha bisogno della corte
e la corte ha bisogno de ser Cecco.

Chi vol saper che cosa sia ser Cecco
pensi e contempli che cosa è la corte:
questo ser Cecco somiglia la corte
e questa corte somiglia ser Cecco.

E tanto tempo viverà la corte
quanto sarà la vita di ser Cecco,
perché è tutt'uno ser Cecco e la corte.

Quando un riscontra per la via ser Cecco
pensi di riscontrar anco la corte,
perché ambi dui son la corte e ser Cecco.

Dio ci guardi ser Cecco,
che se mor per disgrazia della corte,
è ruvinato ser Cecco e la corte.

Ma da poi la sua morte,
arassi almen questa consolazione,
che nel suo loco rimarrà Trifone.



24

PER CLEMENTE VII

Un papato composto di rispetti,
di considerazioni e di discorsi,
di pur, di poi, di ma, di se, di forsi,
de pur assai parole senza effetti;

di pensier, di consigli, di concetti,
di conietture magre per apporsi,
d'intrattenerti, pur che non si sborsi,
con audienze, risposte e bei detti;

di pie' di piombo e di neutralità,
di pazienza, di dimostrazione
di fede, di speranza e carità;

d'innocenzia, di buona intenzione,
ch'è quasi come dir semplicità,
per non li dar altra interpretazione.

Sia con sopportazione,
lo dirò pur, vedrete che pian piano
farà canonizzar papa Adriano.



25

ALLA MARCHESA DI PESCARA
QUANDO PER LA MORTE DEL MARCHESE
DICEVA VOLER MORIRE

Dunque, se 'l cielo invidioso ed empio
il sol onde si fea 'l secol giocondo
n'ha tolto e messo quel valore al fondo,
a cui devea sacrarsi più d'un tempio,
voi, che di lui rimasa un vivo esempio
sète fra noi e quasi un sol secondo,
volete in tutto tòr la luce al mondo,
faccendo di voi stessa acerbo scempio?
Deh, se punto vi cal de' danni nostri,
donna gentil, stringete in mano il freno,
ch'avete sì lasciato a i dolor vostri;
tenete vivo quel lume sereno
che n'è rimaso, e fate che si mostri
al guasto mondo e di tenebre pieno.



26

SONETTO SOPRA LA MULA DELL'ALCIONIO

Quella mula sbiadata, damaschina,
vestita d'alto e basso ricamato,
che l'Alcionio, poeta laureato,
ebbe in commenda a vita masculina;

che gli scusa cavallo e concubina,
sì bene altrui la lingua dà per lato,
e rifarebbe ogni letto sfoggiato,
tanta lana si trova in su la schina;

et ha un par di natiche sì strette
e sì bene spianate che la pare
stata nel torchio come le berrette;

quella che per soperchio digiunare
tra l'anime celesti benedette
com'un corpo diafano traspare;

per grazia singulare,
al suo padron, il dì di Befanìa,
annunziò il malan che Dio gli dia,

e disse che saria
vestito tutto quanto un dì da state,
id est arebbe delle bastonate,

da non so che brigate,
che, per guarirlo del maligno bene,
gli volean far un impiastro alle rene.

Ma il matto da catene,
pensando al paracimeno duale,
non intese il pronostico fatale;

e per modo un corniale
misurò et un sorbo et un querciuolo,
che parve stat'un anno al legnaiuolo.

A me n'incresce solo
che se Pierin Carnasecchi l'intende,
no 'l terrà come prima uom da facende;

e faransi leggende
ch'a dì tanti di maggio l'Alcionio
fu bastonato come santo Antonio.

Io gli son testimonio:
se da qui inanzi non muta natura,
e' non gli sarà fatto più paura.

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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