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Il Meo Patacca 03-3

Post n°1224 pubblicato il 20 Febbraio 2015 da valerio.sampieri
 

"Il Meo Patacca, ovvero Roma in feste ne i trionfi di Vienna" di Giuseppe Berneri

Titolo completo e frontespizio: Il Meo Patacca ovvero Roma in Feste ne i Trionfi di Vienna. Poema Giocoso nel Linguaggio Romanesco di Giuseppe Berneri Romano Accademico Infecondo.
Dedicato all'Illustriss. et Eccellentiss. Sig. il Sig. D. Clemente Domenico Rospigliosi. In Roma, per Marc'Antonio & Orazio Campana MDCXCV. Con licenza de' Superiori.

Sale Calfurnia, e subbito arrivata,
Così, giusto così, Nuccia saluta:
"Figlia bon dì, siate la ben trovata".
"E voi - risponde lei - la ben venuta".
"Io v'haverò sicuro scommodata,
Povera me! - disse la vecchia astuta -
Vi vedo star così tutta in facenne...
Figlia! Volete che v'aiuti a stenne?".

"Ringrazio assai la vostra cortesia, -
Nuccia rispose, - è un pò di bagattella,
Si spiccia mo', cosa credete sia?
Quattro pannucci son da poverella.
Io me li fo' da me, sciocca saria,
Se li dassi a lavar, perchè, sorella,
A darle a queste nostre lavandare,
Troppo le biancherie costano care".

"Quant'è bene a operà con le su' braccia, -
Dice Calfurnia, - benchè giovanetta,
Io perch'è vero, ve lo dico in faccia:
Parete donna d'un'età provetta.
Non so a bastanza dir, quanto me piaccia
Una zitella, ch'a stentà si metta.
Io, ragazza, ch'ancor andavo a scola,
Facevo la bucata da me sola".

"Lo so, lo so, che sempre stata sete
Donna di gran ricapito e cervello -
Repricò Nuccia - e compatir sapete,
Se fò da me le cose mie bel bello.
Ma in piedi io non vi voglio, oh via, sedete,
Ch'io starò accanto a voi su 'sto murello,
E faremo la guardia in compagnia,
Ch'il vento i panni non mi porti via".

Sede la griscia, e assai pietoso l'occhio
Rivolta in Nuccia, il capo scotolanno,
Batte la destra man sopra 'l ginocchio,
E par che stia come tra sé, penzanno.
(Mò mò costei farà sentì lo scrocchio,
Co' 'ste su' smorfie, a Nuccia, dell'inganno).
Poi con cert'atti di gran meraviglia,
A dire incominzò: "Povera figlia!

E che vi giova l'esser faccenduta,
Spirito haver, bontà, bellezza e grazia?
Se sete così mal riconosciuta
Da chi di sbeffeggiarvi non si sazia.
E poi? chi vi maltratta? e chi rifiuta
Il vostr'amor sincero? Un malagrazia,
Un, che finge d'amarvi a più non posso,
Poi con altri vi taglia i panni addosso".

"Monna Calfurnia mia stordita resto -
Nuccia l'interrompe - chi mi tradisce?
Non me fate penar, ditelo presto,
Troppo nell'incertezza il cor patisce".
"Lo dirò - lei rispose - e sol per questo
Io vi venni a trovar. Già s'ammannisce
Il pianto a scivolar giù pe' 'ste guancie,
Solo in penzà, ch'un tristo vi dà ciancie.

Quel MEO PATACCA, quel che jeri al tardi
Andaste a ritrovà, (gran traditore!)
Quello, che par che languido vi guardi,
E che spasimi poi, per vostr'amore,
(Vatti a fidà de st'homini busciardi,
Ch'altr'hanno in su la lingua, altro nel core),
In faccia lui vi fa delle monine,
Peggio vi tratta poi delle sgualtrine".

Non sta Nuccia alle mosse, ma con furia
Vorria parlà. La ciospa la ritenne:
"Sentite, disse, - quanto poi v'ingiuria
Quando partiste, ch'a trovà vi venne:
Non hebbe no di chiacchiare penuria
Per maltrattarvi, e a forza mi convenne
Star salda, perchè stavo in casa mia,
Ch'il diascoci del resto io fatto havria.

Con rascia se ne viè lo sciagurato,
E una voglia grandissima dimostra,
Ch'io gli stimi un marletto, c'ha comprato
Per farsi una corvatta, e me lo mostra;
Io doppo, che gli ho 'l prezzo giudicato,
Gli dico: "L'ha veduto Nuccia vostra?"
Lui, solo a questo nome s'infierì,
E come un tigro, mi parlò così:

"Che ho da fa' con costei, ch'appunto jeri
Co' le su' smorfie, e co' li su' piantusci
A infesta me venì? Credo, che speri,
Che del su' amore, 'sto mi' core abbrusci.
Piglia un grancio la gonza, e i su' penzieri
Ben presto a lei riusciranno busci;
Non sa, sciorna, non sa se chi è 'sto fusto,
Ch'in tel cuccalla, ce se piglia gusto.

Altro ce vuò, che fà la bocca stretta,
Rimenà el capo, e havè la parlantina!
A infinocchiamme no, non ci si metta,
Perchè nostrisci è della Cappellina.
Si spacci pur con altri giovanetta,
Ch'io già so, che s'accosta alla trentina,
E quel, ch'è peggio, ci vuò fa la bella,
E accorge non si vuò, ch'è bruttarella".

"Ah lingua, lingua fracida, ch'in pezzi
Ti caschi! - disse Nuccia, - acciò che tutta
Te la magnino i cani, e 'sti disprezzi
Havrò da sopportane? Io vecchia? Io brutta?
Ah infame! A maltrattar così t'avvezzi
Nuccia, che per tuo amor sempre s'è strutta?
E chi dirà che crudeltà non sia?
Brutta a me? Vecchia ad una para mia?".

Spasseggia intanto in prescia. Hor coglie i panni,
Hor li ristenne, hor sul terren li getta,
Non sa occultà, non sa sfogà l'affanni,
Smania, gira, sta in piedi, e poi s'assetta:
"Che gli possan venir mille malanni
Tra capo e collo, razza maledetta! -
Dice, - perchè così mi fai? perchè?
A me donna attempata? Brutta a me?".

Tanto non soffia bufola infojata
Quanno che glie fu tolto el bufalino,
Che gira da per tutto, et infuriata
Urta e calpestra ciò, che gli è vicino,
Quanto fa Nuccia mò, ch'è stuzzicata
Da furor maschio, e sdegno femminino.
Butta foco pe' l'occhi, e ne fa tante,
Che par, che giusto sia Furia o Baccante.

Ci ha i su' gusti la grima, et è contenta,
Più d'una gatta, che rubbato ha l'onto;
Par che ringalluzzi' tutta si senta,
Perchè sì bell'inganno havuto ha in pronto.
Così spera di far, che MEO si penta
Di quel, che stima lei sì grave affronto,
Quanno glie dette un urto, e tanto, e tale,
Che la fece zompa' giù pe' le scale.

Tutto finge costei, che pe' penziero
Non ha PATACCA mai tal cosa detta,
Ma un inganno trovò simile al vero.
Pe' fa del su' nemico la vendetta
Sa coglier lei, quanno maturo è il pero,
Pe' fa 'na bella botta el tempo aspetta.
Quanno s'accorge tra le genti sciote,
Che morbido è il terren, pianta carote.

Sacciuta è Neccia è ver, ma scelonita
L'ha fatta già quel mattarel d'Amore,
E la ciospa, da che la vidde uscita
Dalla casa di MEO di mal umore,
S'immaginò, che nell'amor tradita,
Havesse in petto calche struggicore.
Stette allor pe' chiamarla, ma in quell'atto
Penzò de fà, quello, ch'adesso ha fatto.

Così poi parla: "Gnora Nuccia! oh via!
Quietativi, non giova il tapinarsi,
Ma partito miglior, credo che sia,
La collera sfogar col vendicarsi.
Trovar il modo, sarà cura mia,
E si farà per voi quanto può farsi.
O ve lo fò ammazzar, quando vi piaccia,
O con più sfresci almen, segnarlo in faccia".

"Per me vorria tolto gli fusse il fiato -
Nuccia esclamò - nè più vederlo mai,
Ma s'innanzi mi capita l'ingrato,
Voglio che venga ad incontrà i su' guai.
Diverso è adesso il cor da quel ch'è stato,
E ricordarmi sol, che tanto amai
Un traditor, ch'il galant'homo spaccia,
Per rabbia mi daria de i pugni in faccia".

"Non dovemo no, no, l'error altrui, -
Disse Calfurnia, - gastigar in noi.
Se nel tradirvi, il mal fece colui,
A farvi rea, come c'entrate voi?
Un sgherro c'è più bravo assai di lui
Spadaccino, animoso, e giusto è poi
Come il carbon, che sempre tegne, o scotta:
Or questo è quello, che ha da far la botta.

Io v'imprometto, e statene sicura,
Perchè so, ch'a costui fuma il cervello,
Che per opera mia senza paura
MEO PATACCA mo' mo' sfida a duello.
In quattro colpi pe' la su' bravura
La spiccia, e di colui ne fa macello,
Et un ripiego tal chiara vi mostra
A spese d'altri la vendetta vostra".

"A rischio di morir dunque s'espone, -
Allora Nuccia sospiranno disse, -
Lo sfortunato MEO per mia cagione?
E che saria, se lui per me perisse?
È ver, che se lo merita il barone,
Ma non vorria per questo, che morisse.
Ch'io l'amo ancor, benchè così mi tratti...
A me vecchia? A me brutta? Eh crepi e schiatti!".

"Così proprio va detta! Oh mo' azzeccate
Nel darmi gusto, Gnora Nuccia mia!"
Co' 'ste parole tenere e melate
De posta l'abbordò la vecchia ria:
"Lasciate pur con libertà lasciate,
Che quell'indegno gastigato sia.
Non occorr'altro, solo dir mi resta,
Che Marco Pepe gli ha da far la festa.

So molto bene, che lo conoscete,
Se v'amoreggia, benchè poca udienza
Gli diate voi, che modestuccia sete;
Ma per adesso, s'ha d'haver pacenza.
Se di qua passa a sorte, almen fingete
Di fargli qualche poco d'accoglienza.
Così sarà più nel servirvi audace,
Farete poi quel che ve pare e piace".

"Si si, - Nuccia rispose, - io vi prometto,
Se bè non m'ha costui garbo, nè grazia,
Che finger voglio di portargli affetto
Fin che vendetta fa di chi mi strazia.
Poi co 'st'ingrati più non me ci metto,
Che l'amarli sarìa mia gran disgrazia.
Se ne perda per me, puro la razza:
Homini! Oibò, chi se ne fida è pazza".

Tanto basta a Calfurnia, e non si cura
Altro sentir, così va via contenta,
Nè si vuò intrattenè, perchè ha paura,
Che di tal volontà Nuccia si penta.
Nel partì, per annassene a drittura
A trovà Marco Pepe, non è lenta;
Ma allora, ad uso delle donnicciole,
Fanno a vicenna un scorzo di parole.

Horsù vi lascio, ch'hora è d'andar via.
È tempo si, m'havete già sentita.
Bacio le mani di Vossignoria.
Io mi fido di voi. Sarà servita.
In somma sete tutta cortesia.
Anzi lei è una giovane compita.
Per grazia vostra. Lei mi fa favore:
Orsù buon giorno. Serva sua di core.

Così questa partì, quella rimase
Pe' rivede le biancherie già stese.
Perchè, quelle ch'ai sole erano spase
Già sono asciucche, a coglierle se mese.
Quel che Calfurnia oprò, se persuase
Marco Pepe, e se poi costui glie crese,
Se sfidò MEO, racconterovvi io istesso,
S'haverete pacenza, adesso adesso.

Fine del Terzo Canto.

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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