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Rime di Celio Magno (138-149)

Post n°1050 pubblicato il 14 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
 

Rime di Celio Magno

138

[Ad Ascanio Pignatelli. 1]

Desto amor dal mio amor è 'l tuo ch'or giunge,
novo sole, ad aprirmi il dì più chiaro;
e mentre ei m'alza de' più degni a paro,
divini accenti a cortesia congiunge.

Primo e tacito amai, scorto sì lunge
il mio dal pregio tuo sublime e raro;
or che tu mi precorri in stil sì caro,
vergogna me del mio silenzio punge.

Ma troppo oltra il mio merto, alma gentile,
m'orna il tesor del tuo benigno affetto
col farmi a te, che par non hai, simìle.

E s'empie tanta grazia il mio diffetto,
ragion è ben ch'in questo core umìle
tu, qual nume in suo tempio, abbi ricetto.

139

[2]

Fetonte io sembro, o di valor tra noi
gradito sol: poiché raccolto splendo
nel lume di tua gloria, e 'l carro ascendo
sol di te degno e di famosi eroi.

Ma quei morte ebbe in premio a' desir suoi,
io, tua mercede, eterna vita attendo;
quegli audace usò 'l dono, umile io 'l rendo,
stella accesa restando ai raggi tuoi.

Tal ch'ove il tuo splendor meco non giostri,
sfavillar posso anch'io di qualche luce;
ma di me nulla appar quando ti mostri.

Se dunque è pregio in me, per te riluce;
e s'han lume sovrano i giorni nostri,
il chiaro sol di tua virtù l'adduce.

140

[A Bernardo Maschio]

Pietà dunque è spogliar chi già si more
di quel conforto sol ch'in vita il tiene?
Ed a l'altre ch'io provo acerbe pene
medicina sarà mortal dolore?

Non pò, Maschio, non pò né corso d'ore,
né lungo essilio in peregrine arene,
né quanto d'aspro e rio dal ciel mi viene
pur dramma il foco mio render minore.

Visse quest'alma sol quant'ella scorse
l'amate carte; ond'or che 'l ciel le fura,
ben son le mie giornate a sera corse.

Ch'in un misero cor nova sventura
inaspra il dente al duol che prima il morse,
e d'amore al velen cede ogni cura.

141

[A Domenico Venier]

Ahi, che tant'alto, ove 'l tu' amor le ha scorte,
la bassa musa mia non spiega l'ale;
e dove apporta il ciel guerra fatale
son l'umane difese inferme e corte.

Ma quando al tuo destin sì iniquo e forte
fosse atto di por fren canto mortale,
qual vince il tuo di meraviglie? E quale
poria più del tuo scampo aprir le porte?

Siati conforto almen ch'in gloria cresci,
mentre per altro già celebre e noto,
d'animo invitto in tanto mal riesci.

E Dio sol prega d'altra speme voto,
che tutto ei può: per lui di martir esci,
o inchina il suo voler, servo divoto.

142

[A Orsatto Giustinian]

Non ha 'l mio cor giamai con più diletto
più nobil cura in sé vivendo scorto
che di giovarti; e 'n ciò pur mi conforto
darti ancor segno del mio ardente affetto.

Ma 'l render paghi a mie forze è disdetto
tuoi dolci prieghi: in cui te stesso a torto
frodi del vanto a me concesso e porto,
benché tutto è d'amor cortese effetto.

E se pur mentre teco alzarmi tento
in pregio e 'n fama, ove tu pieghi io stendo
talor le braccia a sostenerti intento,

son quasi fido legno a cui crescendo
ricco arboscel s'appoggia: e ornamento
da' tuoi rami felici e gioia prendo.

143

[A Simone Contarini]

Ben or sper'io che m'ami altri e mi stime
e che Febo tra suoi non sdegni accorme,
poiché m'orna tua grazia e tenta porme
dal piè del bel Parnaso a l'alte cime.

Sembri raro scultor ch'intagli e lime
un rozo marmo e 'n vaga statua il forme;
che 'l dotto stil, con cui tu mi trasforme,
la gloria tua ne le mie lodi esprime.

Così d'eterno onor paga è mia brama,
che 'l ciel di tanto don povera fece:
e mio tesor divien tua cortesia.

Oh s'adempisse ancor l'ardente prece
del poter innalzar la musa mia
là 've 'l tuo merto e 'l suo dever la chiama.

144

 [A Giacomo Barbaro]

Più di te vecchio legno in preda al vento
scorgo anch'io da vicin l'ora funesta,
ché morte il san non men che l'egro infesta;
ira con tai voci al cor porgo ardimento:

a che tanto dolor, tanto lamento
perché ritoglia Dio quel che ne presta?
A che deve uom bramar lunga tempesta
e del suo proprio porto aver spavento?

Vissi; e potea lo spazio esser più corto.
E se de' falli miei per tema imbianco,
in lui che mi creò prendo conforto.

Ciò pensa e tu: ma più ti renda franco
che di te, sacro cigno, ancor che morto,
non verrà mai la gloria e 'l canto manco.

145

[Ad Alessandro Turamini]

Mira i bassi miei carmi occhio clemente
di cortesia: ch'in te bell'alma impera
mentre gl'innalzi; e la lor fosca sera
fai sembrar col tuo dir chiaro Oriente.

Oh potess'io cantar sì dolcemente:
ch'amollirei l'aspra mia donna e fera;
e contra il tempo rio forte guerrera
fora a schermirsi la mia debil mente.

Ma può sbramarmi a par di Mincio e d'Arno
il bel Sebeto; e 'l mio nome e gli ardori
sol render paghi il tuo soave canto:

ché così fian per me voraci indarno
l'onde di Lete; e da' tuoi propri onori
coglierò non sperato, eterno vanto.

146

[A Domenico Venier, in nome del ritratto]

Dentro al tuo cor più viva e bella siede
colei cui rassembr'io, nobil pittura;
e più da morte in lui regna secura
mentre al mondo ne fai sì chiara fede.

Oh qual grazia è la tua darle in mercede
eterno onor d'un ben che 'l tempo fura!
Omai più non la punga invida cura
del grido che 'l gran Tosco a Laura diede.

Né men ti debbo anch'io del pregio colto
dal tuo divino stil; che spiro in esso
di corpo finto in viva forma volto.

Ma pria ne lodo Amor ch'al ver sì presso
fa gir il falso: onde in me credi accolto
quel c'hai ne gli occhi, e più ne l'alma, impresso.

147

[A Valerio Marcellini. 1]

Se declina il mio sol, non però sento
spegnersi il foco in me del suo splendore;
Ché non tanto m'accese il bel di fuore,
quanto de l'alma il vago, alto ornamento.

E s'or con quel mi scalda Amor più lento,
con questo fa l'incendio ognor maggiore:
ché s'avanza in beltà senil valore,
ond'io più sempre son d'arder contento.

Né perché del bel volto il tempo rio
oscuri il lume dal mio cor lo sgombra,
a le cui fiamme eterne il ciel l'unio.

Così nebbia d'error nulla m'ingombra:
ché per gli amati raggi il pensier mio
del sommo sol la vera luce adombra.

148

[2]

Non creò Dio bellezza acciò che spento
sia 'l foco in noi che per lei desta Amore;
né temer del suo ardor deve il tuo core,
poich'io, men forte assai, nulla il pavento.

E s'a mirar quant'ella è frale intento
invece di piacer t'empi d'orrore,
perché l'onde solcar non stimi errore
con aspro, ove puoi gir con dolce vento?

Meco dunque al ciel s'erga il tuo desio
per miglior via; ché van timor t'adombra,
posto il tuo gran valor troppo in oblio.

Pensa che se beltà per morte sgombra,
quasi raggio nel sol, ritorna in Dio;
e più ch'altro è di lui vestigio ed ombra.

149

[A Costantino Ceuli]

Quasi secondo sol, fuor del mar sorge
Vinezia, e sparge rai di gloria intorno;
Ché 'l vero Dio formò suo corpo adorno
Sì ch'altri a pena il crede e pur lo scorge.

L'istesso alma è di lei, ch'ognor le porge
il moto e 'l lume: onde il suo bel soggiorno
gode d'ogni splendor perpetuo giorno,
e qual fiorì più chiara, in lei risorge.

Però, Ceuli, dal segno erra il tuo telo
Dando a bass'uom, com'io, sì altero vanto:
e 'n ciò troppo d'amor t'adombra il velo.

Spendi in lei sola il tuo pregiato canto,
ché non puoi meglio altronde alzarti al cielo:
e fia vestito il ver del proprio manto.

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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