Creato da sciffo il 27/09/2005

noeasywayout

Quelli che sognano di giorno sono consapevoli di tante cose che sfuggono a quelli che sognano solo di notte. (Edgar A. Poe)

 

 

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UNA PICCOLA PERFECT SEASON

Post n°687 pubblicato il 19 Settembre 2012 da sciffo

As the battle raged higher
In the fear and alarm
You did not desert me
My brothers in arms 

Nel giugno 1983, l'estate dei miei diciassette anni, un giorno io e il compare P incontrammo in centro alcuni amici, reduci dalla stagione appena conclusa con le Aquile della serie A di football.

In quell'ambito, per inciso, avevo ancora una grossa ferita aperta.
Alcuni mesi prima, alle soglie del campionato, dopo due anni di giovanile ed un intero inverno di allenamenti nel gelo e nella nebbia con la prima squadra, ero stato 'tagliato' dal roster di quest'ultima per mano dell'allenatore Schneider.
Ancora oggi ho stampato nella memoria quella sera al Motovelodromo, quando l'enorme sergente maggiore dei marines, il cui cranio pelato occultava malamente le ferite riportate in Vietnam, sembrò accorgersi per la prima volta della mia presenza, mi chiamò in disparte, e lì mi congedò con poche stentate parole, senza nemmeno darmi una vera spiegazione.
Probabilmente i miei 70 kg scarsi di allora erano troppo pochi, e poi, lo ammetto, non facevo ancora presagire alcun particolare talento. 

Comunque sia, gli amici che incontrai stavano cercando di organizzare una squadra giovanile che avrebbe partecipato, in autunno, al primissimo campionato italiano under 20.
Naturalmente ero invitato a prendere parte agli allenamenti.

Quel che seguì, per me, fu un periodo favoloso.
In luglio fui mandato a Malta per una vacanza studio, con l'amico di mille avventure Bonz, e ne combinammo di tutti i colori.
In agosto, con uno sfiancante lavoro al corpo, riuscii a convincere i miei a lasciami da solo a casa per tutto il mese mentre loro erano al mare, e penso di non essere mai andato a dormire prima delle tre di mattina, spesso addirittura all'alba, ed era tutta roba nuova per me.
Nel frattempo, in questa sorta di lunghissimo spring break, erano pure iniziati gli allenamenti della nascente under 20.

Fu come vivere in una versione italiana ed anni 80 di Happy Days.
Di giorno (e di notte) stavamo in giro o di fronte al bar a sparare cazzate, e poi, 3-4 pomeriggi a settimana, buona parte del gruppo di Piazzetta Corelli si spostava al Motovelodromo, dove avrebbe costituito l'ossatura principale della squadra dei Duchi, ma sempre continuando a ridere ed a sparar cazzate.

E mentre quell'estate indimenticabile, sulle note di I like ChopinTropicana, scivolava dolcemente verso l'autunno (del mio ultimo e meraviglioso anno di liceo, peraltro), noi continuavamo bellamente a pestarci a vicenda sul campo, ad orchestrare scherzi pesantissimi negli spogliatoi, per poi andare a sbronzarci di birra e panini con la salsa di funghi da qualche parte.
Eccetto per il fatto che eravamo vivi - e parecchio, direi - il tutto somigliava molto ad un incruento (beh, quasi) Valhalla per diciottenni.

Finchè, in ottobre, venne il giorno della prima partita.  
Redskins Verona, in casa, al Velodromo. 
Ricordo che, poche ore prima del primo vero kickoff della mia vita, eravamo sul campo con Goro, il coach della difesa, che scriveva su un cartello la lista dei titolari.
Sotto la posizione di OLB sinistro fu segnato il mio cognome, cosa di cui fino ad allora non ero affatto certo, e mi sembrò di salire un gradino verso il Paradiso. 

Della partita ricordo poco o niente, in realtà, se non la meraviglia di scoprire che, oltre a sputarci a vicenda nei caschi, un pò sapevamo anche giocare.
E addirittura a vincere, e chi se l'aspettava?

Seconda partita: Rams a Milano e in notturna, o perlomeno la ricordo nel buio.
Era una squadra famosa per il gioco duro, le risse e gli insulti, e ce l'avevano in particolare con noi perchè, un paio d'anni prima, una partita tra le rispettive squadre maggiori era addirittura stata sospesa e poi annullata per una scazzottata totale, roba alla Bud Spencer.
Il copione infatti venne rispettato, più che football fu mud wrestling, ma alla fine vincemmo per 8 a 6, e feci pure il primo intercetto della carriera.

Il ritorno della prima trasferta ufficiale dei Duchi, in pullman, per i nostri dirigenti ed accompagnatori adulti dev'essere stato un film del terrore.
Uno di quelli che fanno paura davvero.
E penso lo sia stato anche per i poveri dipendenti e clienti di un paio di Autogrill.
Là dietro, nelle ultime file di sedili, facevamo girare di tutto, e se qualche rookie veniva convocato presso il nostro cosidetto "tribunale", le condanne non erano mai troppo lievi, diciamo così. 

Del prosieguo del campionato mi resta in mente poco, qualche altra partita su campi fangosi o duri  e abrasivi come il cemento, con gioco aereo quasi inesistente e tante mischie gigantesche, pochissima erba e il gesso delle linee gettato a manate sulla terra nuda.

Forse l'unico ricordo nitido è nella partita di ritorno con i Rams, a Ferrara: un tight end magrissimo che a gioco fermo mi scarica sulle braccia una raffica di pugnetti, solo per poi venire reso inoffensivo con un harai goshi da manuale, e pure penalizzato di 15 yards dall'arbitro.

Quel che conta, comunque, è che quel nostro mucchio selvaggio di allegri coglioncelli continuava a vincere sempre, e nel giro di un paio di mesi, in una fredda domenica di inizio inverno, venne il momento di giocarsi la finale, e, cazzo, eravamo proprio imbattuti.

Si giocò nel nostro Motovelodromo, contro i Cobra di Torino.
Sugli spalti c'erano i nostri genitori, le morose, i giocatori di prima squadra, i compagni di scuola, gli amici e gli amici degli amici, e siccome noi eravamo quasi cinquanta, era davvero un sacco di gente.
Venimmo presentati al pubblico uno per uno, e fu solo allora, forse, che ci rendemmo conto che non era solo un altro dei nostri scherzi, che eravamo davvero una squadra di football e, finalmente, ci emozionammo un pò.

Esiste una registrazione video di quella partita, sia pure di qualità pessima, di cui molti di noi hanno una copia.
Ebbene, sono sicuro di non essere l'unico a provare sensazioni ancora non del tutto sepolte, rivedendo la presentazione dei giocatori in quel vecchio VHS.

L'inizio della partita fu difficile.
I Cobra erano una selezione dei migliori under 20 di tutte le squadre di Torino, una grande città dove era possibile scegliere tra molti ragazzi fisicamente prestanti, e infatti erano tutti monumentali. 
Una differenza di kg e cm che nel video, per quanto rovinato dal tempo e ripreso da lontano, si vede chiaramente.

Come ho detto, per la prima volta ci eravamo emozionati, e nel loro primo drive offensivo, tutto basato su corse di potenza, i piemontesi sembravano inarrestabili.
Dopo aver percorso lentamente ma inesorabilmente tutto il campo, come un rullo compressore, segnarono.
Per qualche minuto sembrava che la favola fosse finita.

Ma invece, quando fu il turno del nostro attacco, i giganti dei Cobra non si dimostrarono così indistruttibili, e dopo un pò toccò a loro subire un touchdown.
Eravamo ancora in corsa, la partita non era persa, e iniziammo anche in difesa a tirar fuori i maroni sul serio. 

Nella mia testa bacata, a questo punto, mi immagino di aver vissuto una scena come quella di Remember the Titans, in cui il coach della difesa - in questo caso ovviamente con la faccia di Goro - chiama un timeout e ci fa il discorsetto (rigorosamente in inglese): "Okay, I don't want them to gain another yard! You blitz ALL night! If they cross the line of scrimmage I will take you all out! MAKE SURE THEY'LL REMEMBER FOREVER THE NIGHT THEY PLAYED THE TITANS! (vabbè, i Duchi)".
Ok, sarò un idiota, ma sono così, prendere o lasciare. 

Comunque sia andata, porca troia, questo è proprio quello che poi è successo: di recente sono tornato in contatto tramite con alcuni ex dei Cobra, e posso assicurare che il giorno in cui incontrarono i Duchi se lo ricordano ancora molto bene, eccome.

Il famoso video nel secondo tempo diventa scuro e opaco, perchè sul campo calarono il buio e la tipica nebbia ferrarese, e francamente anche i miei ricordi di gioco diventano sfocati, solo un mucchio di botte, di fango e di fatica.
Una battaglia di fanteria, una di quelle dove vince chi più vuole vincere, non chi è più forte.

E quando l'arbitro fischiò la fine, i Cobra li avevamo privati del veleno e rimessi buoni buoni nel loro cesto a dormire.
20 a 13, e quello fu vero old-style-playing-for-pizza football, se capisci cosa intendo. 

In fondo loro erano sì grandi e grossi, e pure bravi, ma era solo una selezione di giocatori presi da squadre diverse, dove (forse) sotto sotto si celavano rivalità, piccole invidie, qualche ruggine. 
E questo fece la differenza.
Perchè noi, invece, eravamo una squadra vera. 

Cazzo, lo siamo ancora oggi che son passati quasi 30 anni.
I ragazzi sanno di cosa parlo.

 
 
 
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