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“MEDICE CURA TE IPSUM!”

Post n°1128 pubblicato il 27 Giugno 2009 da vocedimegaride
 

 di Agnesina Pozzi

 

Se qualcuno mi chiedesse una sola parola sul caso Contrada, senza esitazione risponderei: “VERGOGNA”. Sono una delle tantissime persone che avevano appreso le solite stringate notizie dalla solita stampa cialtrona e pressappochista. Non avevo dato tanta importanza alla vicenda, ero presa da altri miei problemi personali. Che m’importava di un Generale, ex Prefetto, ex numero due del SISDE, ex Poliziotto, implicato in connivenze mafiose? Esattamente nulla. Era l’ennesima delusione sulle istituzioni nelle quali ho sempre creduto fermamente e non avevo alcuna intenzione di approfondire l’argomento che, d’impatto, mi deprimeva ed indignava. Colpa della mia superficialità di giudizio. Poi avvenne qualcosa di strano. Forse un angelo passò per caso sul mio zuzzerellare in rete e disse “Amen”. Nel cercare con Google il nome di un posto nel Parco del Pollino e nell’aggiungervi “contrada”, il motore di ricerca mi portò dritta sul blog di Bruno Contrada. Mi sembrò un segno del destino l’essere capitata proprio lì ed aver incrociato l’argomento riguardante le sue condizioni di malattia e la battaglia legale per la concessione degli arresti domiciliari, richiesti e negati vergognosamente per circa venti volte. Incuriosita cominciai a cercare e leggere gli articoli che lo riguardavano, insieme alle testimonianze a favore. Entrai nel sito la Voce di Megaride ed acquisii altre notizie. La mia indignazione cresceva. Più andavo avanti più mi rendevo conto che non si può far finta di niente e mettere la testa sotto la sabbia; specialmente quando è chiamata in causa la nostra intelligenza, la coscienza e perfino il mestiere che svolgiamo. Basta leggere gli atti processuali per capire cosa hanno costruito contro Bruno Contrada. Perfino un imbecille di scarsa intelligenza potrebbe arrivare alle stesse conclusioni cui giunsi io: “quest’uomo è una vittima non solo della mafia ma anche e soprattutto dello Stato che per anni ha servito fedelmente, ricevendo oltre cento alti encomi tra cui quelli di Falcone ed Imposimato”. Non avevo letto molto, la mole di documenti era e resta enorme, ma era abbastanza per farmi decidere a lasciare un messaggio sul suo blog. Ero indignata non solo come cittadina italiana, ma soprattutto come medico, per il trattamento assurdo e persecutorio che si riservava ad un uomo anziano e gravemente malato; “vergogna” fu la parola che formulai in quel primo messaggio e che resta indelebilmente impressa nella mia coscienza di donna e di medico. 
All’inizio davvero non m’importava che Bruno fosse colpevole o innocente, era del tutto irrilevante. Era un detenuto molto malato che stavano letteralmente torturando in uno Stato sedicente civile e di Diritto, in una Repubblica sedicente democratica. 
Forse fu la veemenza del mio messaggio a colpire i legali che mi contattarono di lì a pochi giorni. Mi chiesero se, da medico, avrei potuto prendere visione della documentazione sanitaria. Sorpresa da questa proposta feci presente che non ero né medico legale né specialista. Mi fu risposto che a loro non interessavano titoli e curricoli ma decisione e coraggio delle proprie azioni. Di certo non sono un luminare della medicina, ma quelle “doti” che cercavano i legali in me rasentavano la temerarietà. Accettai di buon grado, piuttosto lusingata, quella proposta; dopo qualche giorno ricevetti i documenti. 
Così come accadde per i fatti di Cogne (man mano che studiavo l’abominio della perizia del Prof. Viglino per contestarla e fare rilievi sulle incongruenze, omissioni e sulla dinamica fratturativa) il mio sgomento cresceva di pari passo con l’indignazione e la rabbia. Com’era possibile che un vecchio così malato e a rischio di vita fosse lasciato in un carcere militare dotato di una semplice medicheria? Non mi limitai a guardare i documenti ma stilai, con la generosità e lo slancio che mi hanno sempre caratterizzata, una relazione sugli Atti. Troverete tutti i documenti da me prodotti in rete. Marina Salvadore, storica, giornalista (una delle pochissime e vere che conosco) fautrice del Comitato pro Bruno Contrada, li ha puntualmente pubblicati ed archiviati. Forse i legali non si aspettavano che invece di uno scambio informale di opinioni mediche io formulassi, con tanto di firma ed assunzione di responsabilità, il mio parere professionale. Forse a Bruno Contrada arrivò una sferzata di energia ed anche lui restò sorpreso dalla mia relazione scritta, al punto da ordinare ai legali di nominarmi suo medico personale. Ma questa fu una sorpresa che mi fu riservata in seguito. Il giudice del Carcere di Sorveglianza dr.ssa Dalla Pietra, invece di considerare che la mia era una relazione sugli Atti (documenti inoppugnabili) e come tale andava considerata e comunque ANDAVA CONSIDERATA, ne contestò formalmente la validità, non avendo io mai visitato il detenuto…come se i documenti medici fossero aria fritta senza alcuna validità giuridica. I legali mi chiesero allora se ero disposta a recarmi a Santa Maria Capua Vetere a visitare il Generale. Ormai ero in ballo e dovevo ballare; nonostante le enormi difficoltà agli spostamenti, oppostimi da una grave situazione famigliare, mi recai al carcere. Durante l’espletamento delle formalità in guardiola, appresi che ero stata nominata medico personale di Bruno Contrada. Non sapevo a quel punto se essere contenta o preoccuparmi dell’enorme responsabilità che mi ero assunta...ma in quel “guaio” mi ci ero cacciata con i miei piedi e sarei dovuta andare fino in fondo e con tutta la forza che avevo. 
Una tristezza enorme e indescrivibile mi assalì nel varcare le soglie ferrate, una dopo l’altra;   nel sentire il rumore dei chiavistelli e dei passi delle sentinelle il mio cuore ogni volta aveva un sobbalzo. Che vita avrei potuto fare io in un carcere? La luce filtrava a stento dalle alte finestre a sbarre. Odore di chiuso, di sudore, di sofferenza. I detenuti mi guardavano. le sentinelle mi guardavano. Forse non avevo un aspetto tanto rassicurante. Un medico? Bah! Decisamente anomalo e senza tailleur, con un paio di jeans sdruciti, i capelli rasati quasi a zero, una camicia stropicciata di lino bianco. Un maschiaccio con le tette, che strana! 
Aspettai diversi minuti nella sala dei colloqui, il Generale si stava preparando e stava arrivando molto, molto lentamente in parlatorio. Da lontano vidi una figura evanescente che scivolava lentamente sul pavimento lucido, quasi come un fantasma. Nulla in lui rassomigliava a quel Bruno Contrada che la stampa cialtrona mostrava nei suoi brevi flash. Stavo per incontrare il fantasma di Bruno Contrada, perché  quell’omone robusto dalla faccia severa, il passo sicuro, vestito elegantemente, e più o meno  antipatico,  non c’era più. Al suo posto c’era uno scheletrino curvo dai capelli bianchi, dal passo incerto e vacillante che veniva verso di me con la testa inclinata da un lato. Una larva umana si avvicinava sempre di più e tutto intorno c’era un solenne riguardo per questo vecchio austero. I detenuti e le sentinelle lo salutavano ora con deferenza, ora con cordialità e lui rispondeva con un rapido cenno della mano, quasi schernendosi per questa considerazione. Finalmente varcò la soglia della sala d’attesa e credo anche lui restò sorpreso dalla mia apparenza. Fatto sta che quando i nostri sguardi s’incrociarono prima della stretta di mano io ebbi la consapevolezza della grandezza di quest’uomo. Nel suo sguardo lessi la fierezza, la dignità ed una volontà indomita. Ebbi l’impulso irrefrenabile di abbracciarlo, ma con la forza che mi ritrovavo avrei potuto forse fratturargli le costole. Quindi gli dissi: “Eccellenza, voglio baciarle le mani, ma non come si fa con un padrino; bensì come se fosse mio padre”. Così feci con rapidità ed una certa commozione. E lui rimase sorpreso, forse si commosse più di me, certamente tentò di sottrarsi. Altrettanto certo è che rimasi sconcertata dalla fierezza e dalla severità del suo sguardo. Un leone ferito e debole nel fisico ma non nella volontà; “frangar non flectar” è la frase che il suo più recente avvocato ripeteva spesso nelle arringhe e che avrei senz’altro fatto mia, perché si attagliava perfettamente a Bruno. 
Il vederlo così magro e con la voce flebile mi sconcertò. Appresi che era dimagrito di decine di chili in pochi mesi e lo Stato bastardo voleva far crepare in carcere quello che era stato un suo onorato combattente contro la mafia; per lui coniò ex novo un reato CHE NON ESISTE nel nostro codice penale: “concorso esterno in associazione mafiosa”. Per lui, malato, decise un carcere che non era un ospedale militare, dotato di una semplice e sguarnita medicheria senza alcun presidio di emergenza; per lui, al vertice della gerarchia militare, l’offesa di essere piantonato dai carabinieri in ospedale nonostante l’icuts, peggio che i peggiori ed incalliti criminali. 
Ci sono delle piccole grandi cose di lui che resteranno non solo nel mio cuore e nella mia memoria ma anche nei documenti che ho prodotto; a testimonianza della sua caparbia ed indomita volontà e della sua fierezza, nonostante le pessime condizioni di salute. Uno per tutti. All’udienza a Napoli c’era un caldo bestiale ed un tasso di umidità critico anche per me, bronchitica cronica che stentavo a respirare. Un maresciallo dei Carabinieri si era intanto collassato nell’astanteria dell’aula d’udienza accanto al “pericoloso” detenuto.. Bruno Contrada non aveva neppure fatto colazione e l’ipoglicemia lo aspettava al varco, in compagnia dei problemi cardiaci, respiratori e pressori. Insieme al collega di guardia, che lo aveva con me accompagnato in ambulanza, lo guardavamo trepidanti cercando di distoglierlo dal proposito di andare in udienza a deporre. Cercammo di farlo bere, farlo sdraiare, e di convincerlo a tornare in carcere con le buone prima e le cattive poi. Lui niente. Sudato e tremante si avviò, quando fu il momento, verso l’aula. Incrociai lo sguardo con un carabiniere che si rese conto, pure da incompetente, che Bruno Contrada poteva stramazzare a terra da un momento all’altro e gli offrì appoggio con un braccio. Il Generale lo guardò e con voce flebile, ma decisa gli disse: “grazie vado da solo”., scostandolo da sé. 
Lo seguii con lo sguardo, mentre si avviava, rispettoso com’è sempre stato delle istituzioni, in quell’aula dove invece nessun rispetto gli fu tributato. Neppure quello di ascoltare me, suo medico, sull’emergenza che metteva in pericolo la sua vita e sulle sue gravi condizioni che non erano e non sono compatibili con nessun regime carcerario. Nell’uscire dal carcere conobbi Ignazio D’Antone, collaboratore di Contrada, altra vittima dell’infamia mafiosa e dello Stato infame. Spero che la riabilitazione completa arrivi anche per lui e che Dio gli dia la forza che ha dato a Bruno per resistere. 
Troverete tutto scritto e firmato in un crescendo di coraggiosa difesa del suo diritto alla salute e alla dignità, con toni anche duri verso chi avrebbe dovuto giudicarlo e tenere conto delle sue malattie gravi ed invalidanti. Quelle stesse persone che hanno invece concesso privilegi a giovani adulti, SANI delinquenti incalliti, portandoli fuori dal carcere, magari nelle loro ville al mare, e a reiterare reati, con la motivazione di una semplice depressione “incompatibile” col regime carcerario. Bruno Contrada non ha una “semplice” depressione ma tutto un trattato di patologia medica e chirurgica e qualcuno dovrebbe sputarsi in faccia, guardandosi allo specchio la mattina, in nome di quella “giustizia” che ha millantato di esercitare indegnamente, in nome del popolo italiano. 
Sono l’unico medico citato in sentenza; forse perché senza paura ed anche a rischio di andarmene in galera a mia volta; l’unico determinato a tirarlo fuori da quell’inferno ad ogni costo; sono forse l’unico che ha agito senz’altro interesse che amore di giustizia e amore verso l’uomo Contrada. A ricompensa del mio impegno resta l’onore di aver potuto essere utile ad un degno rappresentante e servitore delle istituzioni. A ricompensa del mio impegno resta l’incommensurabile valore della sua amicizia. Coraggio amico mio, mai dedica su foto mi fu più cara: “ ad Agnesina Pozzi mia dottoressa del corpo e dello spirito…”. Sai Bruno, anch’io sono malata ed è forse per questo che i malati li capisco. Molti amici mi dicono: “medico cura te stesso” ed hanno ragione, dovrò decidermi prima o poi. Io però posso dire senz’altro a chi vi ha perseguitato, condannato e torturato: “ Oh Giudice, giudica te stesso” e prima o poi anche loro dovranno fare i conti con quella cosa che si chiama “coscienza”.

 
 
 
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PREMIO MASANIELLO 2009
Napoletani Protagonisti 
a Marina Salvadore

Motivazione: “Pregate Dio di trovarvi dove si vince, perché chi si trova dove si perde è imputato di infinite cose di cui è inculpabilissimo”… La storia nascosta, ignorata, adulterata, passata sotto silenzio. Quella storia, narrata con competenza, efficienza, la trovate su “La Voce di Megaride” di Marina Salvadore… Marina Salvadore: una voce contro, contro i deboli di pensiero, i mistificatori, i defecatori. Una voce contro l’assenza di valori, la decomposizione, la dissoluzione, la sudditanza, il servilismo. Una voce a favore della Napoli che vale.”…

 

PREMIO INARS CIOCIARIA 2006

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A www.vocedimegaride.it è stato conferito il prestigioso riconoscimento INARS 2006:
a) per la Comunicazione in tema di meridionalismo, a Marina Salvadore;
b) per il documentario "Napoli Capitale" , a Mauro Caiano
immagine                                                   www.inarsciociaria.it 

 

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