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I MIEI QUADERNI:(LA REPRESSIONE è L'ANTICAMERA DELLA DEPRESSIONE)

Post n°87 pubblicato il 03 Maggio 2006 da kayfakayfa

Approfittando del giorno di festa, l'altro ieri, rimettendo un po' d'ordine tra i miei scritti, (impresa praticamente impossibile, essendo il mio motto, "nel mio disordine è il mio ordine"), cercando di archiviare in maniera razionale fogli, scritti, agende datate zeppe di appunti, quaderni sparsi un po’ dappertutto nei vari mobili di casa, ho ritrovato una serie di quaderni di computisteria, rigorosamente spillati l'uno all'altro per la copertina, con i capoversi delle pagine datati cronologicamente, in cui anni addietro annotavo quasi quotidianamente, in maniera simile a come oggi accade col blog, pensieri, considerazioni, amarezze, “semplici” cazzate che mi frullavano per la testa in rapporto a eventi della vita vissuta o cui assistevo. In quel modo, me ne rendo conto solo ora, mentre appagavo il mio innato bisogno di scrivere, davo vita a una vera e propria terapia psicologica che allontanava da me lo spettro della depressione, tuttora presente dietro alla porta del mio animo, (penso siano pochi coloro che scrivono che non sentono sul collo il fiato di questa angustiante presenza…). Parlando con più persone che amano scrivere in maniera quasi maniacale come me e più di me, ho scoperto che più d’una in passato ha sofferto di depressione, o quanto meno ha rischiato di “caderci”, ed è riuscita a guarire o a fronteggiarla, (almeno così dichiara…), proprio grazie alla passione per la scrittura. Scrivere non si risolveva in un "semplice" gesto di piacere e di comunicazione col mondo esterno, bensì assurgeva a un vero e proprio dialogo con il proprio mondo interiore; a una vera e propria scoperta di se stessi; a una vera e propria autoanalisi di se stessi. Scrivendo, inconsapevolmente riaffioravano dagli abissi dell’anima le cause che alimentavano le ansietà, le paure, le angosce che scuotevano l’individuo, conducendolo lentamente e inconsapevolmente verso il baratro della depressione. Allorché le ascoltavo parlare, scoprivo che, spesso, a dare vita a quel MOSTRO c’era la repressione dei propri istinti; della propria volontà di fare qualcosa che andasse contro gli schemi imposti dall’educazione familiare o dal ruolo che si occupava in ambito sociale o professionale. Tante di quelle persone ammettevano che le cause delle proprie insoddisfazioni, delle proprie insicurezze esistenziali derivavano dall’aver vissuto un’infanzia condizionata dalla presenza pressante di un padre, di una madre o di entrambi genitori che, riflettendo se stessi nei propri figli, pretendevano di pianificarne a monte la vita, affinché un dì realizzassero quanto loro stessi avrebbero voluto realizzare da ragazzi ma non gli era stato possibile per tanti motivi, tra cui, forse, l'altrettanta imponente, pressante presenza di un genitore, o di entrambi che non tenevano in considerazione il fatto che ogni essere umano ha una propria vita da vivere; i propri sogni da realizzare; una propria personalità da affermare, da appagare e non certo da soffocare. Insomma non tenevano conto che ogni essere umano, finanche un figlio, è una realtà dotata di una personalità distinta che non può, e non deve essere soffocata, anzi repressa in quanto la REPRESSIONE dei propri istinti, delle proprie ambizioni, fantasie, dei propri sogni è l’anticamera della DEPRESSIONE! Spersonalizzare un individuo, anche se in buona fede al fine di garantirgli un ottimo futuro materiale, spesso significa affidarlo direttamente alle mani del boia!
So che tra i blogger che mi leggono con continuità vi è una psicologa, per cui non vado oltre né per rubarle il mestiere, né per corerre il rischio di incrinare una simpatica amicizia virtuale con queste mie considerazioni in campo a me del tutto avulso. Pertanto sospendo qui queste mie considerazioni di natura psicologica, con la consapevolezza e la speranza di ritrovare un suo commento a margine allorché avrà letto questo post.
       
Ritornando ai miei quadernoni, rileggendone con curiosità alcune pagine, mi sono reso conto che molte delle cose che in passato vi avevo scritto sono tuttora di attualità tanto che, se rivedute e corrette da un attento editing, potrebbero essere tranquillamente trasposte in questo diario virtuale. Certo non quelle intimiste, ma sicuramente quelle inerenti i commenti alle letture che allora facevo.  Cosa che per inciso faccio ancora oggi quando debbo recensire un libro per una delle riviste con cui collaboro, anche se in questo caso però debbo tenere a freno le mie opinioni, limitandomi a un linguaggio squisitamente tecnico e essenziale sia per ovvi motivi "politici" sia di spazio.

 

Commenti al Post:
odio_via_col_vento
odio_via_col_vento il 03/05/06 alle 22:42 via WEB
non posso dire di scrivere in maniera maniacale. anzi. sono lo spauracchio dei miei editori, perché non consegno mai i miei testi. ma forse è diverso, perché si tratta di testi "tecnici", di ricerca e di studio, voglio dire. ma questa idea (peraltro diffusissima) della scrittura come terapia, o comunque come figlia di una depressione di confine, credo che sia frutto della sensibilità moderna (post-romantica). dai Dolori del Giovane Werther, in poi, forse, per risalire ancora un po' indietro. e qui una domanda: esisteva la depressione (non come malattia, ma come stato esistenziale - lo spleen, per intenderci - nelle società più antiche? non so. commento lunghissimo: scusa. ma sono domande e argomenti di cui mi piacerebbe discutere con te. ciao.
 
 
kayfakayfa
kayfakayfa il 04/05/06 alle 05:35 via WEB
Penso che scrivere per lavoro è certamente diverso dallo scrivere per il semplice gusto di farlo, di comunicare col mondo, di dare voce al proporio io. Del resto il fatto che tu stessa abbia allestito un tuo blog per dialogare col mondo racconto di te, del tuo mondo potrebbe essere, (il condizionale è d'obbligo) frutto di un bisogno inconscio di uscire dagli schemi professionali, rendendo finalmente la scrittura non solo un veicolo da lavoro ma uno strumento di dialogo sincero con gli altri. Dirò un'eresia ma Gothe non è il mio forte, provai aleggere LE AFFINITà ELETTIVA ma non mi riuscì di andare avanti. Ma ora che so che il testo da te citato ha attinenze con tema affronatato nel mio post, mi impongo di leggerlo e poi ti risponderò. Anche a me farebbe piacere approfondire con te l'argomento in maniera più estesa. Ciao
 
perlanaturale
perlanaturale il 03/05/06 alle 23:09 via WEB
Nella prima parte di ciò chei scritto, ho riscontrato parecchia sintonia con quello che è il mio pensiero. Sì, anche se in modo non del tutto consapevole la scrittura per me è appunto un dialogo con me stessa. Al di là del piacere di comunicare con altri i miei pensieri e di poter avere confronti col mio modo di pensare, credo che anche per me la scrittura sia stato da sempre il mio personalissimo strumento per cambattere qualcosa...dperessione...solitudine...confusione dell'animo...non so esattamente quale di queste cose, ma forse tutte insieme. Fin da piccola mi sono sentita trattata come un alieno, come una persona diversa, per alcuni versi complicata e fuori degli schemi abituali. Diversa nel modo di esporsi e di cercare contatto umano. Forse lo scrivere era la mia valvola di sfogo per dire al mondo "sono qui e sono così, con tutte le mie emozioni impossibili da tradurre in modo chiaro ed esplicito, così come esse sono dentro di me. nella seconda parte, del tuo post, non mi ci vedo tanto...ossia..le figure dei miei genitori, sono sempre state ben distinte da ciò che era la mia natura aperta e spontanea dalla loro un po' chiusa e costretta in schemi che all'epoca era naturali. Papà e mamma erano delle persone speciali e nutrivo per loroun'ammirazione grandissima e ora che mia madre è morta, sento ancora di più il legame che mi ha unito a loro, sempre. Certo, c'era da combattere con i condizionamenti che esistevano nella società in cui vivevo, anche oltre la loro volontà, ma essi stessi, avevano a loro volta tutto un modo particolare di vivere e di pensare. No, credo che non sia siano stati loro a condizionarmi e credo che seppur con difficoltà, hanno gstito la mia educazione con grande bravura. Ero io quella che era al di sopra delle righe, precorrevo forse e in parte quelle che sono state poi tappe del divenire di tante altre donne, vivendo un conflitto superiore alle mie forze; ero io che la mia vivacità rendeva ingestibile. Quindi se è vero quello che hai esposto così chiaramente, credo di dover guardare altrove per trovare il vero perchè del mio bisogno di scrivere..l'ho sempre fatto, anche ora debbo avere almeno mille appunti o promemoria anche per le cose più banali e insignificanti...è come un voler mettere i puntini... su qualsiasi cosa mi passa tra le mani. La depressione...ci sono stata vicina solo una volta, alla morte di mia madre..ma qua ci vorrebberrero altre otto schermate ...e allora scusandomi per aver invaso, come al mio solito, il giardino altrui, ti auguro la buonanotte e un caro saluto. perla
 
 
kayfakayfa
kayfakayfa il 04/05/06 alle 05:43 via WEB
Cara Perla, non devi per niente scusarti della logorroicità del tuo commento. Ci sono argomenti che per essere chiariti richiedono fiumi di parole, non certo si risolvono con poche righe. il tuo commento, per quanto prolisso possa sembrare è molto fluido e ricco di significati. L'idea di impostare un post su un tale argomento mi è venuta mentre scrivevo parlando dei miei quadernoni. L'ho fatto semplicemente perché mi sembra giusto. E' ovvio che non per tutti sia così, come è ovvio che non tutti coloro per i quali la scrittura rappresenta una sorta di terapia di analisi abbiano avuto durante la loro infanzia problemi con genitori a dir poco tiranni. Se ho scritto quanto è perché sentendo diverse campane, dai loro discorsi, alla fine, traendo le conclusioni, risultava quanto. Quando hai voglia di commentare un mio post liberando la "penna" come hai fatto ora, fallo liberamente, è un piacere ascoltare la tua VOCE!
 
bimbadepoca
bimbadepoca il 04/05/06 alle 00:19 via WEB
Che strano... anch'io in questi giorni mi sono ritrovata tra le mani i miei vecchi quaderni, appunti frettolosi, disegni, semplici pensieri. Scrivere per me non è una terapia, non lo è mai stato; scrivere per me è una cosa che non so spiegare, è così naturale che quasi non m'accorgo di farlo, è un dare concretezza ai pensieri scomposti, fisicità alle storie che m'invento. Ti sembrerà strano ma io raccontavo storie ancora prima d'aver imparato a scrivere, solo che le disegnavo come tanti fumetti primitivi :-)
 
 
kayfakayfa
kayfakayfa il 04/05/06 alle 05:48 via WEB
Le coincidenza della vita sono tante, anche se io, più che coincidenze, le chiamerei concordanze. E' ovvio che non per tutti è così, e, se pur lo fosse, non è detto che molti ne siano coscienti. anche per me scrivere è un piacere, ma in passato mi ha molto aiutato a scacciare la solitudine , e tuttora la scrittura si risolve in una fedele compagna. Sembra che più di un filosofo adottasse la scrittura non soloper dare ordine ai propri pensieri ma anche come se fosse una sorte di terapia, tra questi B. Croce.
 
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