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NAPOLI: CULTURA VS SUBCULTURA

Post n°182 pubblicato il 02 Dicembre 2006 da kayfakayfa

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Già scossa dalla inarrestabile spirale di violenza criminale che le è valsa il triste primato di città tra le più violente al mondo, in queste ultime settimane, precisamente da quando è morto Mario Merola, Napoli è al centro di un ulteriore dibattito mediatico che si innesta perfettamente con quello inerente la violenza criminale che ne sta dilaniando come un tumore l’anima sociale. Stiamo parlando dell'antitetico binomio cultura/subcultura da sempre esistente in questa città unitamente a Stato/antistato con cui si identifica la convivente contrapposizione tra legalità e illegalità, spesso amaramente interconnesse in modo inestricabile l’una all’altra, che fanno della città partenopea un caso unico al mondo, interessante materia da studio per antropologi, sociologi e filosofi proveniente da ogni angolo del pianeta. 

L’assassinio di giovedì 30 novembre a Giugliano, un comune dell’interland partenopeo, di un cliente ucciso da un colpo di pistola sparato durante la rapina alla tabaccheria in cui era entrato per comprare i cioccolatini ai nipoti, è l’ennesimo evento luttuoso che sancisce quanto poco siano tutelati i cittadini onesti dalla ferocia criminale che ormai non ha più limiti, malgrado gli infiniti sforzi delle forze dell’ordine per arginare un’infinita mattanza. Sempre di più sono le persone oneste che, se potessero, non ci penserebbero su due volte ad andare via dalla città. Purtroppo non è facile, soprattutto per chi ha un’età o famiglia, fare armi e bagagli e andare incontro all’ignoto lasciandosi alle spalle l’inferno. Non è solo mancanza di coraggio ma tragico realismo elevato all’ennesima potenza. Quanti per un momento si lasciano tentare da questo pensiero, affranti da una situazione che degenera quotidianamente, nonostante le belle, incoraggianti parole del Capo dello Stato e le buone intenzioni delle autorità cittadine, lo archiviano quasi subito, consapevoli che non è per niente facile per chi da tempo ha superato gli "anta", ha un lavoro fisso o legami affettivi stabili mollare tutto per lanciarsi in una avventura esistenziale con i rischi concreti che ne derivano. Viceversa un gesto simile si conviene a un giovane che giustamente cerca di costruirsi in maniera dignitosa il proprio domani o al massimo a chi, pur avendo la chioma ingrigita dal passare del tempo, svincolato da legami di cuore, decide di mettersi comunque in gioco tanto, se gli va male, a rimetterci è solo lui. Purtroppo l’andare via, anzi il fuirsene (fuggire) da Napoli come intimò Eduardo De Filippo, se da un lato per un giovane potrebbe rappresentare una probabilità concreta per costruirsi una vita dignitosa in un ambiente sereno, dove i diritti dei cittadini sono adeguatamente tutelati; dove sia possibile intraprendere un’impresa commerciale senza mettere nel conto spese l’aggravio economico derivante dai tartassanti, continui taglieggiamenti della criminalità organizzata cui devono sottostare i commercianti e gli imprenditori meridionali se vogliono svolgere in pace la loro attività. Dall’altro significherebbe privare la città di quel seme vitale capace di salvarla, sempre che fosse messo nelle condizioni ottimali di germogliare e fiorire in tutto il proprio fulgore. Come un contadino che una volta seminato il campo, lo veglia e lo cura con attenzione affinché fruttifichi rigogliosamente, garantendo in tal modo il pane a sé e alla sua famiglia, allo stesso modo occorrerebbe davvero che le istituzioni investissero concretamente sui giovani, tutelandoli dal crimine, in maniera da formare una classe dirigente adeguata e spigliata, capace di far fronte alle esigenze sempre più impellenti di una società che è ormai mestamente alla deriva. È in questa fase del discorso che entra in gioco l’antitetico binomio cultura/subcultura. Come giustamente scrisse il giornalista Franco Di Mare in una lettera pubblicata dal Corriere del Mezzogiorno venerdì 17 novembre a proposito di Merola e della sceneggiata, di cui il cantante/attore era magistrale interprete, senza nulla togliere al valore umano, morale e artistico di Mario Merola, la sceneggiata napoletana non è affatto un aspetto culturale di cui Napoli deve glorificarsi in quanto i protagonisti e gli eroi che la caratterizzano, dispiace dirlo, appartengono a quella società dove la Cultura e chi fa Cultura sono visti con ghigno beffardo quasi fossero dei pazzi o degli alieni giunti da chissà quale pianeta. Dove l’illegalità è anteposta alla legalità perché chi la pratica non conosce altri modi di vivere se non quello di delinquere, giustificandosi con lo stereotipato, strabusato alibi della necessità di dover comunque sfamare la famiglia pur non avendo un lavoro fisso. Quando si comunicano alla gente modelli di vita quali quelli proposti dalla sceneggiata napoletana, da cui traspare che per quanti vivono nei vicoli e nei quartieri periferici della città la difesa dell’onore non è affidata alle vie legali ma alle punte dei coltelli o agli spari delle pistole; la tutela di un proprio diritto non sancisce l'intervento dello Stato ma quello molto più rapido e incisivo del boss di quartiere; quando si evidenzia l’esistenza di una scissione di poteri in ambito sociale tra legalità e illegalità, dove senza sbiadite metafore si afferma che a quest’ultima è delegato l'esclusivo compito di affermare l’ordine in quei luoghi e ambienti che sono soggetti delle sceneggiate interpretate da Merola, non ci si deve stupire se nella nostra città esistono due contraddistinte città, dove vigono rispettivamente cultura e subcultura. Il particolare che ad affermarsi sia sempre la subcultura, con le drammatiche conseguenze che conosciamo, non significa però che essa sia superiore alla cultura. 

Un aspetto principale della cultura consta nell’educare l’individuo al rispetto delle leggi della società cui appartiene e dei soggetti che ne fanno parte, spesso anteponendo gli interessi societari ai propri; al dominio dell’istinto e della violenza; al comportarsi civilmente. Viceversa la subcultura è la cultura del tutto e subito ad ogni costo senza sforzi. I cui strumenti per affermarsi sono la prepotenza e la violenza gratuite. La persona di cultura è obbligata proprio dalla cultura a dover subire le sopraffazioni della subcultura, non perché sia inferiore ma perché educata a tenere a freno la propria natura inferiore, a rispettare le leggi, a considerare le esigenze degli altri, non solo le proprie. La persona di cultura è indotta al ragionamento e alla discussione per affermare un proprio diritto anziché ad avvalersi della violenza perché ciò avvenga. La persona di cultura difficilmente troverà terreno fertile per affermarsi lì dove regna sovrana la subcultura. Affinché ciò diventi un giorno possibile prima di tutto occorre “arare” ripetutamente il campo per dissodarlo dai liquami infetti e infettanti della subcultura. Solo quando si sarà prodotto tale "bonifica ambientale" si potrà interrare nel campo il seme della cultura con la certezza che nel tempo, se salvaguardato e curato come si conviene, darà i frutti sperati. Investire sui giovani come auspicano il Presidente della Repubblica e le autorità cittadine per il rilancio di Napoli potrà avvenire se contemporaneamente all’affermazione della cultura si combatterà con convinzione il radicamento della subcultura nella società civile. Fino a quando mediaticamente verranno proposti modelli di vita in cui si esalta, anche se per nobili fini, la subcultura e tutto il suo campionario di estrazione e finalizzazione, difficilmente avremo una società in cui finalmente la cultura e la legalità saranno alla base dell'ordinamento sociale, pianificando il terreno fertile per un roseo futuro dei nostri figli. Così come è vero che il primo modello di vita è la famiglia, è altresì vero che quando esiste una contrapposizione di modelli a prevalere è quasi sempre, se non addirittura sempre, quello che richiede minor applicazione e impegno piscofisico per affermarsi. Ecco perché la subcultura sovverte la cultura. A tutti, soprattutto ai giovani fa gola avere il massimo col minimo sforzo. Se non ci sarà un impegno serio da parte di tutti, istituzioni in primis, difficilmente Napoli riuscirà a scrollarsi da dosso i veleni che da tempo la infestano. Se ciò non accadrà, non dobbiamo biasimare quanti a malincuore decidono di emigrare in altre città per garantirsi uno spazio di vita a dimensione d’uomo. Vivere in maniera dignitosa è un diritto naturale dell'uomo ed è dovere della società offrire tutte le opportunità e i mezzi perché ciò si realizzi. Laddove ciò è impossibile testimonia che è instaurato un regime sociale dove la Cultura è sottomessa alla subcultura. Solo quando la Cultura prevarrà sulla subcultura allora si saranno poste le condizione necessarie  perché una società possa dirsi davvero tale!

 

 
 
 
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