Creato da enca4 il 15/02/2010
PENSIERI E PAROLE
 

W. Allen

NON E' CHE HO PAURA DI MORIRE.

E' CHE NON VORREI ESSERE LI'

QUANDO QUESTO SUCCEDE.

W. Allen

 

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CANZONE

Che giorno è

E' tutti i giorni

Amica mia

E' tutta la vita

Amore mio

Noi ci amiamo noi viviamo

noi viviamo noi ci amiamo

E non sappiamo cosa sia la vita

Cosa sia il giorno

E non sappiamo cosa sia l'amore

Jacques Prévert

 

I ragazzi che si amano si baciano

In piedi contro le porte della notte

I passanti che passano se li segnano a dito

Ma i ragazzi che si amano

Non ci sono per nessuno

E se qualcosa trema nella notte

Non sono loro ma la loro ombra

Per far rabbia ai passanti

Per far rabbia disprezzo invidia riso

I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno

Sono altrove lontano più lontano della notte

Più in alto del giorno

Nella luce accecante del loro primo amore.

Jacques Prèvert

 

DALLA - CANZONE

 

N. de Chamfort

CHE COSA DIVENTA UN PRESUNTUOSO

PRIVO DELLA SUA PRESUNZIONE?

PROVATE A LEVAR LE ALI AD UNA FARFALLA:

NON RESTA CHE UN VERME.

N. de Chamfort

 

GLI APOSTOLI DIVENTANO RARI,

TUTTI SONO PADRETERNI

A. Karr

 

 

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CARO IL MIO DIARIO 11

Post n°165 pubblicato il 15 Luglio 2010 da enca4

Caro il mio Diario,

                        sappiamo benissimo tutti e due, tu ed io, che quando era il periodo in cui avrei, forse, dovuto tenere un mio diario sul quale annotare tutte le cose, più o meno importanti, della mia vita, non l’ho fatto. La pigrizia, la supponenza, la presunzione di essere per forza diverso dagli altri, mi hanno condizionato negativamente in tal senso.

                        Adesso, però, guardando la pagina bianca sulla quale sto iniziando a scrivere qualche cosa che ancora non so bene cosa sia, mi rendo conto che è come se, in realtà, ti avessi avuto sempre tra i miei amici migliori e più fidati.

                        Si, perché come un vero amico, tu non tradisci. Sei un cronista imparziale di un periodo che non c’è più, ma che c’è stato ed ha lasciato un segno dentro di me.

                        In questo momento non mi stai ricordando, leggendoti, qualche cosa di particolare, è impossibile visto che non ti ho mai utilizzato, ma mi stai dicendo: “Quarant’anni fa avresti potuto scrivere questo o quest’altro”.

                        Quaranta anni fa. Ne avevo 25. Avevo appena conosciuto quella che poi, cinque anni dopo, sarebbe diventata mia moglie.

                        Avevo fatto militanza politica fin dall’età di 15 anni. I miei ideali esistevano solo perché avevo la fortuna di vederli ancora in vita, anche se erano per me irraggiungibili. Ma il mio vero ed unico ideale ero io stesso. Ma  non perché mi amassi talmente tanto da auto-venerarmi, ma solamente perché nel mio piccolo mondo non c’era spazio per le disuguaglianze sociali, per il razzismo, per le differenze religiose o politiche tra esseri umani, e, ancor di più, non c’è stata mai una differenzazione tra uomini e donne.

                        A 25 anni, lasciato disgustato il partito al quale avevo regalato dieci anni della mia vita, forse i migliori, decisi che era ora di cambiare. No, non dovevo cambiare idee, non l’ho mai fatto, ne dovevo cambiare miti od ideali (quelli che avevo scelto, non mi hanno mai tradito), dovevo semplicemente correggere alcune cose di me che non mi avevano dato alcun risultato concreto, e fissare dei termini entro i quali avrei dovuto fare qualche cosa di importante per me e non solo per me.

                        Rimuovere dalla mia mente e dal mio carattere modi di fare e di pensare che avevo radicati dentro di me, non fu facile. Iniziai a frequentare persone con le quali mai avrei potuto pensare di avere un qualsiasi rapporto, anche se di sola conoscenza. Fu difficile farmi accettare da loro. Fino a ieri ero il loro censore, colui che giudicava l’operato degli altri avendo la boria di non voler essere giudicato.  Mi accorsi che esistevano persone simpatiche, allegre, colte, disponibili, anche se avevano idee diverse dalle mie, obiettivi diversi, una vita diversa.

                        Mi accorsi, in definitiva, che anche se affermavo il contrario, io ero stato per tutti i miei primi 25 anni di vita, il peggiore dei razzisti.

                        Con il tempo e con l’esperienze che accumulai in seguito, questo mio modo di vivere, questo castello circondato da tre fossati e da alte mura nel quale mi ero rinchiuso e dentro il quale credevo di essere al sicuro da ogni ingerenza esterna e da ogni condizionamento, crollò. Le porte si aprirono. La gente, tutta, iniziò ad entrare,a visitare il mio cuore, a scoprire di me cose che mai avrei voluto sapessero.

                        Mi accorsi che il colore politico che divideva allora noi giovani era solo un colore, niente più. Non aveva sostanza, non aveva concretezza. Potevamo essere tra noi in disaccordo su come affrontare certe situazioni; potevamo scazzottarci per una battuta poco felice, ma tutti, dico tutti, volevamo una cosa sola. Volevamo essere liberi di gestire noi stessi, di crescere, di sbagliare, di allevare i nostri figli.

                        Destra, sinistra, bianchi, rossi, neri, sono stati solo dei motivi per creare ad arte rivalità che hanno rallentato la nostra crescita interiore e culturale.

                        Amico mio, da allora il mondo non è che sia cambiato poi tanto. Si adoperano gli stessi mezzucci da comari per screditare quel poco di buono che si vorrebbe fare, o che, forse si è fatto. In più i media hanno una parte importante nella vita di ognuno di noi. Direi, senza ombra di smentita alcuna, che sono loro, e solo loro che decidono per noi.

                        Il problema è che le giuste decisioni dovremmo essere noi a prenderle, non dovremmo farcele imporre.

                        Non credi che sia così?

                        A domani.

                        Enrico

                       

                       

 
 
 
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