Creato da Superfragilistic il 30/07/2008

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LIBRIAMOCI: LIBRI NARRATI A VOCE ALTA

Era suppergiù intorno alla metà degli anni Novanta ed anche quell'anno la nostra famiglia aveva tolto le tende da Salerno per andare, come ormai ogni anno, nel Campeggio Municipale di Roccapina, in Corsica. I ragazzi cominciavano a crescere ed era veramente difficile avere dei momenti in cui tutti potessimo essere uniti dato che a loro  non mancavano occasioni per stare con gli amici.
Avevo portato con me un libro, come sempre facevo, per ottimizzare tutto il mio tempo libero nel tentativo di riprendermi quegli spazi negati dalla vita convulsa di ogni giorno: alzarsi, fare a botte per andare in bagno ( rimane un mistero il perché per tanti anni mio marito non abbia voluto che facessi mettere a posto il secondo bagno......), far colazione e preoccuparsi che la facessero anche i figli, uscire di corsa per andare al lavoro, tornare, preparare, accompagnare i ragazzi alle varie attività, seguire i compiti.........vabbè lo sappiamo quante cose sia chiesto ad una donna di fare contemporaneamente e noi lo facciamo al meglio, perché siamo esseri infinitamente superiori....
Dunque mi ero portata un libro; si trattava di Terra, di Stefano Benni. Iniziai a leggerlo una mattina sulla spiaggia e nel pomeriggio, in quell'ora che precedeva la cena, vedendo che tutti erano davanti alla tenda, mi sedetti anch'io tra loro ed esordii così: 'dai, volete che vi legga un libro?'  forse, non ricordo, l'entusiasmo non era alle stelle, anche se i miei figli sono sempre stati curiosi del mondo che li circondava, ed erano quindi abbastanza abituati a leggere, chi più e chi meno. Iniziò così quell'avventura che, da quel giorno in poi, divenne un appuntamento fisso pomeridiano che raccoglieva tutti, padre compreso, intorno al tavolino mentre io andavo avanti nella lettura delle incredibili storie narrate da Benni. Lo divorammo quel libro e per me è rimasto un ricordo meraviglioso il pensare a quei pomeriggi in Corsica in compagnia di una buona lettura e della mia famiglia al completo in religioso silenzio. L'esperienza la condussi di nuovo, e con tantissimo successo, nella vacanza con la mia amica Bruna, suo figlio Giacomo, il suo amico Alessandro e Stefano, mio figlio. Quella volta sulla spiaggia di Sabaudia i ragazzi, allora appena adolescenti, si incantarono nella lettura che feci loro di un libro di Wilmur Smith di una tale forza espressiva e così ben scritto da sembrare una scenografia di un film sul tema della scoperta archelogica. Se non ricordo male si trattava del Settimo papiro. La lettura collettiva a voce alta è un' esperienza veramente speciale perché coloro che ascoltano sono tutti coinvolti in un'unica esperienza che però ognuno  elabora in base alle proprie esperienze ed al proprio sentire; dunque si esaltano le differenze ma ci si accomuna in un'azione che diventa quasi un rituale e che, per catturare l'attenzione dei ragazzi, è veramente molto efficace. 
Per questo ho vouto postare, qui sotto, l'articolo uscito oggi sul Corriere della Sera, in cui si parla proprio di questo e di come questa tecnica di coinvolgimento alla lettura fosse anche un 'ottima risorsa quando, negli anni '60 classi di oltre 40 alunni dovevano essere tenute e governate, Ma c'è una cosa fondamentale ed è questa: perché l'incantesimo avvenga si deve trattare di un bel libro perché, come dice Emanuele Trevi nell'articolo, 'tra il leggere un brutto libro e non leggere affatto' è sicuramente  la seconda opzione quella migliore. Dunque leggere, ma bei libri, che ci diano qualcosa e che siano ben scritti. E leggere, se potete, quando volete, per condividere ancora qualcosa con chi vi circonda.
Questo l'articolo:
Libriamoci Scrittori e artisti affronteranno dal 26 al 31 ottobre il più imprevedibile dei pubblici: una classe scolastica. Per ripetere un sortilegio simile a quello creato da una insegnante che otteneva il silenzio e l’attenzione degli allievi con «Il barone rampante» di Italo Calvino leggere ad alta voce è buona pedagogia


Promuovere un generico amore per «i libri» o per «la lettura» non è mai stata un’idea pedagogica buona, tantomeno efficace. Sono convinto che tra leggere un brutto libro e non leggere affatto la seconda opzione rimanga la migliore, in tutte le età della vita. Proprio per questo motivo, è da lodare chi ha inventato un’iniziativa come «Libriamoci», basata su quell’infallibile prova del nove del valore di un singolo libro che è la lettura ad alta voce. Dal 26 al 31 ottobre, gli scrittori e gli artisti coinvolti affronteranno il più difficile e imprevedibile dei pubblici: una classe scolastica. Non sarà affatto necessario, per loro, cercare di essere «bravi» come in un teatro. Semmai, risvegliando i fantasmi che sonnecchiano nel libro che hanno scelto, avranno la possibilità di creare una suggestione, un contagio. La voce umana, come dice un personaggio di Thomas Pynchon, è un «miracolo». 
Personalmente, devo a qualcosa di molto simile nientemeno che la scoperta del potere dell’immaginazione letteraria. Quando ero in prima media, all’inizio degli anni Settanta, erano i singoli insegnanti a inventarsi, per così dire, il loro «Libriamoci» quotidiano. I professori di oggi fanno fatica anche solo a immaginare cosa voleva dire governare delle classi che potevano arrivare a quaranta ragazzini, conseguenza diretta del più grande boom demografico della storia d’Italia. Credo che la cosa più bella della scuola di quell’epoca fosse l’assenza di quel gergo pseudo-scientifico che in seguito ha ammorbato i programmi e le strategie della Pubblica Istruzione. I professori non ragionavano in termini di «competenze linguistiche», per fare un esempio tra mille, perché i sani imperativi del leggere, scrivere e far di conto non avevano bisogno di parafrasi velleitarie e altisonanti scopiazzate dai manuali di linguistica. 
È in questa cornice di beato empirismo che colloco il sortilegio della nostra professoressa di italiano. Questa donna intelligente (faceva Toro di cognome, come un famoso liquore alle erbe), quando voleva ottenere una classe totalmente assorta e silenziosa, tirava fuori dalla borsa un libro, e cominciava a leggerlo dal punto in cui si era interrotta la volta precedente. E Il barone rampante funzionava, accidenti se funzionava. Ho detto che era una donna intelligente: mai si sarebbe sognata di usare quel capolavoro come pretesto di assurdi esercizi semiologici e narratologici, che hanno il solo scopo di trasformare a vita un adolescente in un nemico giurato dei libri e delle librerie. Probabilmente, non perdeva nemmeno tempo a ripeterci ogni volta il nome di Italo Calvino. Cosa ce ne poteva importare dell’autore delle avventure di Cosimo Piovasco di Rondò, che un bel giorno decise di andare a vivere sugli alberi e non mise mai più i piedi sulla terra? L’essenziale era ben altro. Bastava una frase, e la magia ricominciava. Entravamo tutti insieme in un mondo poetico. Un mondo, vale a dire, dove si realizza una coincidenza perfetta della libertà e del destino, o se si preferisce del mondo e della capacità di ognuno di immaginarlo. 
L’impressione prodotta di quell’avventura mentale è stata così indelebile che ho ancora davanti agli occhi il colore rosso del libro (doveva trattarsi di un vecchio «Struzzo» Einaudi senza la sovraccoperta). Sono passati quarant’anni, ma non credo di esagerare affermando che tutto, per me, è iniziato da lì. Ricordo addirittura che alcune pagine la professoressa Toro non ce le volle leggere. Perché a un certo punto della sua vita, come si sa, Cosimo fa anche l’amore, senza per questo abbandonare i suoi alberi. «Lo leggerete da grandi», ci spiegò la professoressa. E forse fu questo il suo trucco più sublime, una maniera di suggerirci una felicità ulteriore, che sarebbe durata ben oltre il suono della campanella dell’una e trenta. 
Solo i metodi semplici hanno valore ed efficacia in queste delicate imprese educative. Davvero basta un bel libro e la voglia di leggerlo ad alta voce: il resto è ipocrisia e provincialismo.
CORRIERE DELLA SERA
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