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Il Sole di Stagno - Romanzo

 

Il Sole di Stagno - Vincenzo Aiello - con-fine ed. - Bologna, 2006

C'è qualcosa che accomuna questo racconto di Aiello al grandioso romanzo di Walter Siti, Troppi paradisi. Così lontani e tra di loro diversi, entrambi si sono proposti di tematizzare il tempo, fissandolo alla svolta del secolo e del millennio. Per narrare come storia la contemporaneità e la propria stessa esperienza, senza consegnarsi all'autobiografia, bisogna scegliere una lingua e giova inoltre (secondo me) una cornice esplicita di referenti cronologici. Che annunci subito il carattere del testo, di selettiva ricostruzione. Distante dal testo soggettivo della semplice memoria. È il problema che Aiello, nella sua prova d'esordio, ha in parte eluso, affidandosi ai soli dati interni. Quanto alla lingua invece, o meglio alla voce di scrittore, ha usato felicemente, la sua, che nella nuova generazione è una delle più personali.

Lidia De Federicis (L'Indice dei Libri) 

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"Non sono, con me stesso, ancora solo (Giorgio Caproni)"

Post n°1020 pubblicato il 06 Giugno 2012 da VincenzoAiello68
 
Foto di VincenzoAiello68

Ritorna dopo  il suo esordio letterario del 2009 , “Racconti di qui (pagg. 133, euro 10, Pironti)” , che narrava di Terra di Lavoro, l’architetto Davide Vargas. Il nuovo lavoro si chiama “Racconti di architettura (pagg. 128, euro 12; Pironti)” e troviamo l’umanista alle prese con dei girovagari che descrivono sue scorribande presso luoghi simbolo della nuova architettura che cerca di allontanarsi dalla tradizione trasferendo segni e voci nuove nella solitudine accogliente di quinte funzionali. Che si parli della Chiesa di Baranzate dove si realizza nel grigio la scarnificazione delle cose a puro nome, o del Campo Santo di Pisa centro di tutto, quello che stupisce di Vargas è la sua capacità di interrogarsi su un tipo di architettura che è al servizio dell’uomo e del suo posto giusto nel mondo. Così un perimetro di mattoni rossi che fanno da margini ad un cimitero di Carmassi crea relazione e non segregazione. Nel disvelamento della sua concezione di architettura che trae dalla visita delle fabbriche trova pezze d’appoggio nella spiegazione ai terzi lettori, nei versi dei poeti: non bisogna ripetersi, come dice anche Hikmet in un suo distico, “perché il rinnovamento è il non ripetersi del ripetersi”. La parola non riesce a dire tutto e neanche l’immagine: allora bisogna disegnare come faceva Zanzotto quando innervava le parole con disegni quando le sue – di parole – diventavano ruvide come i frammenti delle rocce delle sue colline. Ricordate quella poesia di Giorgio Caproni – “Parole (dopo l’esodo) dell’ultimo della Moglia” – che parlava di un fiero resistente ad abbandonare una delle zone montuose dell’Alta Val Trebbia? Ebbene, Vargas, in questo libro, aspetta ed ascolta e si sente perso nel tempo, “ma qui vedo. Parlo. Qui dialogo. Io qui mi rispondo ed ho il mio interlocutore. Non voglio murarlo nel silenzio sordo d’un frastuono senz’ombra d’anima. Di parole senza più anima”.

Vincenzo Aiello

 
 
 
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