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L’AVIDITÀ È L’ORIGINE DI MOLTI MALI…

Post n°1623 pubblicato il 30 Settembre 2023 da scricciolo68lbr
 

Il problema non sono i migranti, non è Washington, non è la guerra, non è i, cambiamento climatico, non è la destra, non è la sinistra, non sono i governi italiani, non è il WEF, l’agenda 2030, l’inflazione, lo spread, la BCE. IL VERO PROBLEMA È L’AVIDITÀ. Quel desiderio incontrollato che sembra non placarsi mai neppure se soddisfatto. Avidità di cibo, di guadagno, di ricchezze, di piaceri, di preda, di accaparrare beni, di conquista, di sangue, di vendetta. Più raramente si parla, pur esistendo, di avidità in senso positivo: di gloria, di sapere, di conoscenza. È l'avidità, caratterizzata da una distorsione del normale desiderio di possedimenti, che diventa eccessivo e incontrollato. All'avidità e all'avarizia ha dedicato una ricerca gruppi di psicologi sociali olandesi e russi; i risultati dello studio sono stati pubblicati sul British Journal of Psychology. Definita come “forte desiderio di più ricchezze, possedimenti, potere, eccetera, rispetto ai bisogni di un individuo”, sull’avidità si sono interrogati psicologi, scrittori e religiosi, dandone interpretazioni negative, perché è considerata la fonte dell’avarizia, della frode, della corruzione e perfino la vera causa scatenante delle guerre. L’Avidità è un motore potente.

«L’avidità si riferisce a un’inarrestabile desiderio non solo per il denaro, ma anche per altri beni e risorse — spiegano gli autori della ricerca, guidati dalla dottoressa Terri Seuntjens, del Department of Social Psychology dell’Università olandese di Tilburg —. A seconda dell’oggetto di interesse l’avidità si può manifestare sotto forma di avarizia, cupidigia, ambizione sfrenata, lussuria o ingordigia». Tutte le religioni ne danno un giudizio pessimo: per i cristiani l’avarizia è uno dei sette peccati capitali e San Paolo affermava che l’amore per il denaro è la radice di tutto il male; per il buddismo è uno dei tre veleni che creano il cattivo karma. Eppure, ci sono scuole psicologiche che ritengono l’avarizia uno degli insopprimibili elementi costituenti della natura umana, così che più o meno tutti, fino a un certo punto, saremmo avidi. «Alcuni autori hanno affermato che essere avidi è vitale per il benessere dell’uomo e che l’avidità è un importante tratto evolutivo, che promuove l’auto-conservazione — spiegano ancora la dottoressa Seuntjens e i suoi collaboratori —. Le persone più predisposte verso il guadagno e l’accumulo di quante più risorse possibili, potrebbero essere in teoria quelle che se la passano meglio e che quindi hanno un vantaggio evolutivo». Avidità il «male» dei banchieri. L’avido raramente è felice, proprio a causa della sua insaziabilità, che tende a renderlo perennemente insoddisfatto. «Per chi è avido, “abbastanza” non è mai “abbastanza” — dicono gli autori della ricerca —. Si aspetta di essere più felice con più denaro a disposizione, ma appena lo acquisisce, adatta  e muta i suoi desideri e le aspettative, e così ne desidera subito dell’altro, sempre di più. Per chi è avido l’obiettivo si sposta continuamente». Così, l’avidità diventa la causa dei debiti finanziari, per l’impazienza che l’avido ha nei confronti dei propri desideri. Secondo alcuni ricercatori, autori di uno studio sull’argomento pubblicato qualche anno fa sul Journal of Travel Research, è stata l’avidità cieca a far sì che alcuni banchieri si siano comportati in maniera così rischiosa da scatenare la crisi finanziaria. Un’altra caratteristica psicologica dell’avidità è infatti l’irrazionalità. A guidare la persona avida non è il tentativo di raggiungere il massimo dei beni che si presentano alla sua portata. Il motore dell’avidità sta all’interno dell’individuo, è incastonato nel suo desiderio senza fine che non potrà mai essere soddisfatto, e proprio questo fa sì che la vera avidità sia irrazionale. L’eccesso è il problema. La psicoanalisi ha affrontato spesso il tema. «È difficile che qualcuno si rivolga a uno psicoanalista perché si sente avaro — dice il dottor Walter Bruno, della Società Italiana di Psicoanalisi—. È invece facile che, nel corso di un trattamento richiesto per altre ragioni, emergano tratti di carattere, o meglio, comportamenti che, dagli altri, vengono etichettati come avidità o avarizia. È difficile, cioè, che Re Mida, o Arpagone, si rivolgano ad uno psicoterapeuta, dal momento che questo assetto del carattere è da loro vissuto come un magico talismano, un irrinunciabile salvagente, con il quale far fronte a un mondo senza scrupoli. Dunque, il problema non è tanto se l’avidità (un’insaziabile tendenza ad accumulare), o l’avarizia (un’infaticabile tendenza a trattenere e a non donare), siano i sintomi di una malattia psichiatrica, o configurino un peccato capitale, quanto chiedersi perché in certe persone questi tratti di carattere si esprimano in modo esasperato. E anche perché in altre vi sia invece l’incapacità di avvertire il pericolo, così da prendersi cura di sé come se fossero sprovviste di quella valenza dell’avarizia che comporta il proteggere ciò che si ha». L’optimum sarebbe un giusto equilibrio tra avidità e avarizia. «Il fatto è che in ognuno di noi ci vorrebbe un po’ di Re Mida, la fantasia magica di trasformare in oro ciò che si tocca, una certa fiducia, cioè, nella propria capacità di realizzare i sogni, e ci vorrebbe però anche un pò di Arpagone, cioè la capacità di risparmiare, di ben amministrare e difendere non solo ciò che si ha, ma anche ciò che si è, in altri termini, una certa dose di sana parsimonia. Il problema sta nella misura: è la dose che fa di una stessa sostanza un medicinale o un veleno. La sfida da vincere consiste, quindi, nel prendere la decisione corretta ed equilibrata». «Avidità e avarizia, ci sono sempre state, espressione non solo della natura umana, ma anche di circostanze storiche e sociali — conclude lo psicoanalista —. Ad esempio, oggi c’è da chiedersi in che misura bulimia e anoressia, malattie tipiche della nostra società, possano essere viste come modalità attraverso cui si esprimono la tendenza ad accumulare, senza peraltro essere mai soddisfatti o, al contrario, quella di fare a meno di ogni apporto esterno, creando così una patologia». Il denaro può «attivare» il cervello come una droga. Sebbene l’avidità possa mirare a molti oggetti differenti, il denaro, assieme al cibo e al sesso, è tra quelli più unanimemente riconosciuti. Al denaro viene attribuito il potere di dare libertà e sicurezza, di trasformare vite, di manifestare il successo di un individuo e così via. Non c’è da meravigliarsi che per alcuni individui il denaro possa diventare una droga. Denaro come “droga cognitiva” è l’interpretazione data da due ricercatori della School of Psychology dell’University of Exter, nel Regno Unito, Stephen Lea e Paul Webley. «Il denaro può “mimare” altri incentivi naturali a livello cognitivo — dicono i due ricercatori — e il suo potere motivazionale si genera almeno in parte da questa caratteristica». Processi cognitivi sostenuti da precisi processi cerebrali. «Ricerche provenienti dall’ambito in rapida espansione della neuroeconomia hanno già messo in evidenza, attraverso studi realizzati con tecniche di visualizzazione cerebrale, che in presenza del denaro vengono attivati specifici centri del cervello, come il cosiddetto “corpo striato”.

 

Eppure pochi individui sono capaci di esprimere l’avidità come un male. A mio parere l’avidità rappresenta il vero problema della attuale società. Sui giornali non si fa altro che leggere di società e banche che ottengono trimestrali e fatturati da capogiro, e così il lettore potrebbe convincersi che questo è sinonimo di una società sana che funziona, Eppure cosi non è. Perchè i lavoratori hanno paghe sempre più basse. Vi siete mai domandati da dove origina il tema dell’immigrazione? Dall’avidità degli imprenditori, non è una colpa dei politici, loro obbediscono al proprio elettorato e siccome oramai destra e sinistra rispondono entrambe al grande capitale, senza ci sia più nessuno che si occupa della sorte dei lavoratori, neppure i sindacati, l’immigrazione serve ai grandi imprenditori per abbassare il tenore di vita e le loro istanze, delle classi lavoratrici. Vi siete mai domandati perché in Italia i salari sono i più bassi rispetto ad altri paesi dell’area euro? È perchè sono fermi da oltre trent’anni? Gli stipendi in Italia sono praticamente fermi a trent’anni fa: da un’analisi dei dati Ocse, risulta che tra il 1990 e oggi nel nostro Paese l’aumento medio delle buste paga è stato di appena lo 0,3%: “29.694 euro contro i 29.588 del 1991”. "In questi giorni, i partiti politici italiani, evidentemente consci di questo, si stanno azzuffando per promettere incrementi stipendiali mirabolanti, ad iniziare da quelli del personale scolastico: sono a piena conoscenza del fatto che docenti e Ata, con il contratto scaduto da quasi quattro anni, vengono pagati a fine mese meno degli impiegati italiani e la metà di tanti colleghi europei", ha denunciato in una nota di Anief. L'associazione ha citato anche la proposta degli economisti Tito Boeri e Roberto Perotti risalente ad agosto del 2022, che indica "di non fermarsi ai meri finanziamenti dello Stato, chiedendo che a pagare di più siano i datori di lavoro, grazie al salario minimo salariale legale e approvando una nuova legge sulla rappresentanza dei lavoratori che velocizzi il rinnovo di contratti scaduti da anni". Anief ritiene questa seconda parte della proposta particolarmente interessante: “Bisogna recuperare subito almeno una parte dell'inflazione accumulata nel corso degli ultimi anni, ben il 14% tra il 2008 e il 2018 – dice Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – andando a sottoscrivere in fretta il contratto collettivo nazionale del pubblico impiego degli anni 2019, 2020 e 2021. Diamo al personale della scuola, oltre un milione e 100mila lavoratori i soldi che sono già loro: parliamo di cifre che vanno da 103 lordi fino a 123 euro per i docenti, da 88 euro fino a 97 per gli Ata. E anche tra i 2mila e i 3mila euro di arretrati. Subito dopo, è chiaro che occorrerà cambiare registro, cambiando la normativa che danneggia i lavoratori tra un contratto e l’altro, per poi portare risorse fresche, ingenti, con le nuove leggi di Bilancio, a cominciare dal quella del 2023”. “Impoverire sempre più chi lavora per lo Stato è uno degli errori più gravi che chi governerà nei prossimi cinque anni non dovrà commettere. Per questo motivo Pacifico decise di dare voce a tutti i partiti politici impegnati nella campagna elettorale che avrebbe portato gli italiani alle urne il 25 settembre 2022.

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