Creato da scricciolo68lbr il 17/02/2007

Pensieri e parole...

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È LA FINE DI UN’EPOCA?

Post n°1619 pubblicato il 27 Settembre 2023 da scricciolo68lbr
 

La biografia dell’ormai defunto (aveva 98 anni) Giorgio Napolitano potrebbe essere riassunta con una parola: servilismo! Infatti dedicò la sua vita alla causa di coloro che volevano speculare sulla millenaria storia e civiltà dell’Italia, sulle sue ricchezze, culturali e perché no anche materiali, da tempo nemesi degli ambienti massonici e liberali. La sua carriera politica probabilmente molti lo ignorano, non iniziò però sotto la bandiera rossa del comunismo, quanto invece sotto quella bandiera nera nel periodo in cui l’ancora giovane “Re Giorgio” era iscritto ai “gruppi universitari fascisti”,  muovendo i suoi primi passi da attore di spettacoli teatrali messi in scena per i citati GUF nei primi anni 40. Nato a Napoli il 29 giugno 1925 da una ricca famiglia liberale – mosse infatti i primi passi nei Gruppi universitari fascisti partenopei, collaborando con il settimanale IX maggio, dove teneva per restare in tema, una rubrica di critica teatrale. Recitò come attore in un paio di piccole parti nella compagnia del Guf, al Teatro degli Illusi presso Palazzo Nobili. Anni dopo ricorderà quelle esperienze avallando la discussa interpretazione di Zangrandi sui Guf come palestre di antifascismo mascherate, tesi che oggi gli storici tendono a vedere in chiave alibistica. Nel 1944, quando le cose per il fascismo volgono al peggio e in Campania già ci sono gli americani, Re Giorgio entra in contatto con un gruppo di comunisti napoletani e a poco a poco il giovane studente partenopeo decide di spostarsi verso altri lidi politici, quelli della causa marxista-leninista e lo fece ufficialmente solo dopo il 1943, durante il crollo del fascismo, in seguito alla decisione di Vittorio Emanuele III di fare arrestare Benito Mussolini.

Quell’arresto diede vita alla sequela di eventi che portò l’Italia a macchiarsi dello sporco affare dell’armistizio di Cassibile.  Napolitano divenne comunista come molti altri ex fascisti che intuirono che in quel passaggio storico per poter fare carriera e salire di rango in futuro era molto più conveniente spostarsi su altre posizioni. Non quelle del partito fascista, e della Repubblica Sociale ma quelle del PCI. Il politico partenopeo divenne così uno dei più spietati e feroci difensori della ortodossia comunista.

Quando gli operai ungheresi scendevano in strada nel 1956 per poter respirare quella libertà che il blocco sovietico loro negava, l’ex capo dello Stato li apostrofava con sommo disprezzo come “sporchi” e traditori della causa della rivoluzione sovietica.

Qualcosa di simile avvenne dodici anni più tardi, quando una nuova rivoluzione scoppiò a Praga nel 1968 e quando i cecoslovacchi provarono a spezzare le catene che li legava a Mosca. Anche in quella circostanza, Re Giorgio rimase fedele alla dottrina dello stato sovietico. Solamente molti anni dopo l’ex presidente mostrò un rimpianto e un ripensamento per le sue posizioni ma non in pochi notarono che quelle di Napolitano erano lacrime di coccodrillo versate per mostrare un pentimento che probabilmente non era né spontaneo né sincero. Se il pentimento fosse stato davvero veritiero esso avrebbe dovuto esserci non negli anni in cui ormai l’uomo era salito ai vertici dell’establishment politico, ma ben prima, quando ancora la sua carriera non lo portò sulle vette della Repubblica.

Negli anni 70 inizia quella transizione dal Napolitano comunista di stampo stalinista, a quello post-comunista di impronta progressista e democratica, quest’ultima nel senso più “deteriore” del termine.

Questo passaggio significò la dismissione dei panni della vecchia ortodossia marxista-leninista per indossare quelli della sinistra liberal-progressista che diventerà poi il perno del potere finanziario degli anni 70. È importante comprendere che non esisteva una vera e reale contrapposizione tra un blocco, quello atlantico, e un altro, quello sovietico. Affermare che quello del secolo scorso è stato un conflitto controllato, all’interno del quale si fronteggiavano due blocchi gestiti dagli “stessi poteri”, non è affatto avventato se si guarda alla genesi del comunismo e alle forze che lo hanno governato, sin dai suoi primi passi. La storia del comunismo rivoluzionario non è stata mai una storia di una filosofia che aspirava a prendere il potere per consegnarlo nelle mani degli operai. Il fumoso e indefinito concetto di “dittatura del proletariato” è una invenzione di Karl Marx, già iscritto alla massoneria come rivelato dal teologo francese Henry Delassus, che serviva solo a creare una opposizione di comodo alla deriva liberal-capitalistica che stava trattando al rango di schiavi i lavoratori europei schiacciati dalla seconda rivoluzione industriale.

Quando poi il comunismo salì al potere nel 1917 nel corso della rivoluzione bolscevica lautamente finanziata dalle banche di Wall Street, si potè vedere quale era la vera anima del comunismo. È una spietata figura senz’anima, votata non alla libertà, bensì all’oppressione, che non ha mai migliorato le condizioni dei ceti più poveri, ma li ha mantenuti ghettizzati, perché non utili alla causa rivoluzionaria. Il comunismo dunque per quanto ad alcuni possa sembrare paradossale, non è altro che l’altra faccia della medaglia del liberalismo. Esso si proponeva di mettere fine allo Stato e alle sue istituzioni quali la famiglia naturale e la religione cattolica esattamente come vuole fare il liberismo, anche se in maniera differente, giocando sull’indifferenza. Queste due ideologie partono dunque apparentemente da punti di partenza diversi per mirare poi verso gli stessi obiettivi. La transizione dal comunismo marxista-leninista alla sinistra liberal-progressista fu il naturale proseguimento della strategia dei poteri finanziari, visto che ormai non avevano più bisogno di una sinistra così radicale, divenuta ormai un ingombrante relitto ai fini dell’avanzamento dei piani del mondialismo. Quando Giorgio Napolitano viene invitato a Washington nel 1978 è perché i poteri che da sempre rappresentano il Deep State (il governo segreto degli Stati Uniti) avevano individuato proprio in lui l’uomo ideale per poter attuare questa transizione in Italia. Mentre l’allora politico comunista, meglio post-comunista, faceva il giro delle istituzioni e dei circoli intellettuali e politici più influenti d’America, quali Harvard e Aspen, in Italia negli stessi giorni Aldo Moro si trovava sequestrato e prigioniero delle Brigate Rosse. Le carriere di Napolitano e Moro sono come due rette divergenti che spiegano perfettamente sia la folgorante carriera politica del primo, sia la morte del secondo, sia la declinante parabola che l’Italia prese dal 1978 in poi.

 

Quando due anni prima del suo rapimento, Moro veniva esplicitamente minacciato da Henry Kissinger, ex segretario di Stato USA e uomo di spicco del gruppo Bilderberg, era perché l’ex presidente della DC aveva una visione tale del Paese che lo rendeva una minaccia intollerabile per l’anglosfera. Aldo Moro aspirava a vedere un’Italia sovrana e non più legata alle catene dell’anglosfera che dal 1943 ha indirizzato e scritto la storia di questo Paese. Una storia di sangue, ruberie e stragi senza le quali l’Italia sarebbe inevitabilmente sfuggita alla morsa atlantica. Così venne decisa la morte di Moro (ricordo le parole dello statista, allorché critico la linea del governo di allora che decise di non trattare mai coi brigatisti, riflettendo sul fatto di come l’Italia avesse sempre vissuto sul compromesso, mentre adesso votava la linea della fermezza) che periva esclusivamente per la sua aspirazione a restituire la sovranità perduta all’Italia. Così spiccava il volo Re Giorgio che invece veniva definito proprio dall’uomo che minacciò Moro, Kissinger, come il suo “comunista preferito”.

 

Gli anni 80 diventano non a caso dopo questo passaggio il cantiere politico nel quale nasce il futuro PDS. A Mosca, l’URSS di un tempo già non esisteva più perché un altro uomo molto amato dall’Occidente liberale, Mikhail Gorbachev, stava accompagnando verso la sua dismissione il vecchio blocco sovietico.

 

Altre ombre giacciono da sempre sulla storia politica dell’ex presidente, ricordiamo in molti ciò che successe in quel lontano 1986, quando la procura di Palermo indagava sulla trattativa tra lo Stato e la Mafia. Dopo la sua rielezione al Quirinale, Giorgio Napolitano vide la chiusura della vicenda attinente alle intercettazioni del Colle con l’ex ministro Nicola Mancinoregistrate nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia. Tutte le conversazioni furono distrutte dal gip di Palermo, Riccardo Ricciardi.

La distruzione dei file audio avvenne nel carcere Ucciardone, dove si trovava il server in cui i file erano conservati. Alle operazioni partecipò anche il tecnico della Rcs, la società che gestisce gli impianti di intercettazioni per conto della Procura di Palermo. “Le registrazioni hanno costituito un vulnus costituzionalmente rilevante” e per questo devono essere distrutte “con procedura camerale”, senza contraddittorio tra le parti, si potè leggere nelle motivazioni della sentenza della Cassazione, che aveva dato il via libera al macero, respingendo il ricorso di Massimo Ciancimino

Quella delle intercettazioni tra il Colle e Mancino è una vicenda lunga, che ha visto numerose tappe. Le telefonate risalivano infatti a fine 2011, ma la storia è divenuta pubblica solo nel giugno 2913. Da quel momento dapprima il conflitto di attribuzione sollevato dal Quirinale nei confronti della Procura di Palermo, poi il pronunciamento della Corte costituzionale a dicembre e infine la richiesta dei pm di Palermo al gip di distruggere le telefonate. Ecco però poi arrivare il ricorso di Massimo Ciancimino, che in quanto parte in causa chiese, in virtù del diritto i difesa, di poter ascoltare le conversazioni. Richiesta ritenuta “inammissibile” dalla Corte di Cassazione, che diede quindi il via libera alla distruzione. 

Il telefono sotto controllo su mandato degli inquirenti era quello di Mancino, in quella fase indagato e oggi imputato di falsa testimonianza: secondo i pm, l’ex ministro, insediatosi al Viminale il primo luglio 1992, sapeva della trattativa e avrebbe mentito sui rapporti tra pezzi dello Stato e pezzi di Cosa Nostra intercorsi nei primi anni ’90. Per lui e per altri undici indagati i pm hanno chiesto il rinvio a giudizio il 24 luglio scorso e l’udienza preliminare è in corso. Mancino, preoccupato per l’inchiesta che lo riguardava, ha compiuto diverse diverse telefonate contattando anche lo stesso Napolitano. Il Capo dello Stato ha ritenuto lese le proprie prerogative e la Consulta gli ha dato ragione. 

 

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Il golpe di Mani Pulite: l’inarrestabile ascesa di Napolitano

Gli anni 90 e quelli successivi sono gli anni della definitiva consacrazione politica di Re Giorgio. La Seconda Repubblica nasce per esplicita volontà di quegli stessi ambienti che avevano deciso che era il momento di disfarsi dell’URSS. La classe politica della Prima Repubblica non serviva più all’impero americano. Essa costituiva anzi una potenziale minaccia perché nel suo grembo c’erano politici quali Giulio Andreotti e Bettino Craxi che erano alquanto riluttanti a tenere ancora l’Italia nell’orbita del Patto Atlantico, soprattutto alla luce della liquidazione dell’URSS che rappresentava la fine della apparente ragion d’essere della NATO.

Cosi nasce “Mani Pulite” con il preciso scopo di attuare un colpo di Stato chirurgico e rimuovere, in un colpo solo, la politica attraverso “la magistratura”, vero e proprio cavallo di Troia delle oligarchie nazionali e internazionali. Tutti vengono seppelliti da arresti a avvisi di garanzia, tranne il PCI ormai già divenuto PDS e pronto ad assumere il ruolo di nuovo garante dello stato profondo di Washington e dei vari circoli sovranazionali della Trilaterale e del Bilderberg. Craxi intuì immediatamente la manovra in atto e provò a denunciare nell’aula giudiziaria del tribunale di Milano, come fosse impossibile che Napolitano non si fosse accorto della enorme mole di fondi neri che transitava dalle casse del PCUS, partito comunista dell’Unione Sovietica, al PCI.

Si parla di somme astronomiche pari a 989 miliardi di vecchie lire. Un fiume di denaro sporco sul quale la magistratura non indagò mai e che invece costò la vita a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che compresero perfettamente che quella pista avrebbe portato alla probabile incriminazione dei maggiorenti del nuovo PDS. Allo stesso modo, la magistratura chiuse gli occhi anche sulla telefonata tra Napolitano e l’ex ministro dell’Interno, Mancino, avvenuta nel 1992 e nel quale si parlava presumibilmente della trattativa tra Stato e mafia. Una trattativa che apparentemente avrebbe visto lo Stato promettere alla mafia vari benefici in cambio della esecuzione del disegno stragista del biennio 1992-1993.

Un patto scellerato e infame che ha consentito a Matteo Messina Denaro, scomparso nello stesso periodo di Napolitano, di restare impunito e latitante per 30 anni grazie alle indispensabili protezioni della massoneria. Le stragi del 1992 e del 1993, come tutte quelle della storia d’Italia dal 1943, in poi erano state concepite ad un livello superiore che quello nazionale. Esse servivano nell’ottica del patto Euro-Atlantico a destabilizzare l’Italia e produrre quella catena di eventi sovversivi che avrebbero portato l’Italia a firmare Maastricht con la rinuncia alla propria “sovranità monetaria”, seguita dalla dismissione dell’intero patrimonio industriale decisa ed eseguita da Mario Draghi a bordo del Britannia, da Giuliano Amato a palazzo Chigi, e da Romano Prodi. Napolitano in quel frangente storico così come nei decenni successivi sedeva dalla parte dei “vincitori” e nel 2006 arrivò la tanto agognata ricompensa: il Quirinale. Nel 2010 l’ex presidente della Repubblica dimostrò ancora una volta tutta la sua antica e immutata devozione alla causa di quei poteri che già negli anni 70 lo avevano scelto come uno dei loro principali referenti. A palazzo Chigi sedeva allora Silvio Berlusconi, un uomo entrato in politica per tutelare i propri interessi e che tuttavia, in alcune circostanze provò incidentalmente a fare anche quelli del Paese, fino a quando l’insanabile conflitto non fu risolto ovviamente a favore dei primi. Nonostante questo, a Londra, la City dominata dalla famiglia dei banchieri Rothschild aveva deciso che il cavaliere era d’intralcio per l’avanzamento dei piani dell’establishment globalista.

C’era un disegno preciso per l’Italia ed era quello del club di Roma fondato dai Rockefeller. L’Italia doveva morire così come Aldo Moro nel 1978. Al Quirinale viene tessuta quella tela eversiva che portò al rovesciamento di Berlusconi. Napolitano irretì l’ambizioso e da tempo prono alla finanza anglosassone, Gianfranco Fini, e lo convinse a fare una fronda politica nei confronti del suo stesso governo. Anche se Fini negò sempre, mai portò prove per smentire chi parlò di questa sua macchinazione. La macchina era stata messa in moto e Berlusconi venne letteralmente crivellato dai colpi della speculazione finanziaria in borsa, che fecero perdere decine e decine di milioni di euro al patron di Fininvest. Una volta vistosi mettere a repentaglio il suo patrimonio, Berlusconi abdicò e nel novembre del 2011 consegnò lo scettro a Mario Monti, uomo della Trilaterale e del Bilderberg, già scelto nei mesi prima da Goldman Sachs e con il quale Napolitano era in contatto da tempo.

Il golpe ebbe successo perché l’ex presidente della Repubblica rivestì il decisivo ruolo di cavallo di Troia che tramò contro il suo Paese e contro tutto il popolo italiano. Oggi (per chi scrive 27 settembre 2023) il quotidiano La Verità, riporta una intervista a Marco Reguzzoni, 52 anni, che ha ricoperto l’incarico di presidente della Provincia di Varese e poi, dal 2010 al 2012, capogruppo alla Camera dei deputati per la Lega. Reguzzoni conferma le manovre di Gianfranco Fini, la caduta di Silvio Berlusconi, l’arrivo a palazzo Chigi di Mario Monti. Dietro le quinte, anzi sopra, manovrava Re Giorgio Napolitano. Reguzzoni ha raccontato a La Verità i suoi incontri con l’ex capo dello Stato, uno che quando c’era da convincere un politico a fare quello che diceva lui si spingeva anche a PRONUNCIARE FRASI ASSAI SIBILLINE, ACCOMPAGNATE DA COMPLIMENTI AFFETTUOSI. Reguzzoni racconta di avere frequentato molto il capo dello Stato, in quanto era all’epoca, uno dei due capigruppo di maggioranza del governo Berlusconi. Il rapporto con Napolitano ERA ABBASTANZA TESO, in quel periodo. Ad aprile 2010 Fini ruppe con Berlusconi, uscì dal Pdl e formò un gruppo autonomo, Futuro e Libertà, e con Italo Bocchino capogruppo, dichiarò che avrebbe continuato a sostenere il governo. E qui entrò in scena Re Giorgio, che chiamò Reguzzoni al Quirinale e gli disse: “Guarda, adesso il governo non ha più i numeri”. Naturalmente Reguzzoni gli rispose che i numeri erano rimasti invariati, la maggioranza c’era ancora. Nonostante questo Napolitano tentò di convincere Reguzzoni che la maggioranza non c’era più e bisognava cambiare premier, li invitava infatti a proporre un altro nome. Reguzzoni non volle sentire altro dal Presidente della Repubblica. Bossi fu informato dell’accaduto, idem Berlusconi. Pii accadde l’insospettabile: Fini tolse la fiducia al Governo. Eppure il Giverno continuò a mantenere la maggioranza, grazie a Scilipoti e i famosi “responsabili”.  A quel punto Reguzzoni tornò da Napolitano e gli disse che la posizione del gruppo era quello di sciogliere le Camere. Il Governo aveva una maggioranza risicata e per non finire nel pantano, volevano andare a votare. Fini, Casini e Berlusconi non erano dello stesso parere. Napolitano a quel punto disse: “ No, le Camere non le scioglierò mai”. Dopo un lungo discorso a Reguzzoni su tutti i casi precedenti simili a quello, in cui era il Presidente della Repubblica che doveva decidere se sciogliere o meno le Camere, prende sotto braccio Reguzzoni e gli fa: “Ma perchè ti comporti così, sei giovane, sei un ragazzo sveglio, perchè ti metti contro di noi, non metterti contro di noi”. Reguzzoni dice di non avere compreso chi fossero quei “noi” a cui si riferì Napolitano con quelle parole. Solo Berlusconi seppe di questo colloquio. Berlusconi però rimase contento, lui a votare non ci voleva tornare.  Poi però nell’autunno del 2011 arriva Mario Monti al posto di Berlusconi e la Lega assieme a Di Pietro, non gli votano la fiducia. 

 

La visione di Napolitano a questo punto, risulta chiara: non è mai stata quella di onorare e servire la propria patria. Napolitano non aveva una patria se non quella della repubblica universale, di cui vagheggiano tutte le massonerie.

 

Quando l’ex presidente nel 2012 e con Mario Monti già insediato stabilmente a palazzo Chigi affermò chiaramente che era indispensabile marciare verso un “Nuovo Ordine Mondiale” non fece altro che disvelare la sua vera identità politica. La stessa identità politica che caratterizzava personaggi quali Henry Kissinger, Winston Churchill, David Rockefeller, George H. Bush, Nicolas Sarkozy, Angela Merkel e Barack Obama. L’identità di chi ha deciso di essere devoto a quel gruppo di poteri che vuole annichilire la sovranità delle nazioni, per sostituirla con un impero totalitario globale, nel quale la religione cristiana viene messa al bando, così come i suoi praticanti. È lo stesso spirito satanico che ha governato la defunta farsa pandemica. Questi sono i poteri che Re Giorgio ha servito con riverenza e assoluto ossequio per la sua intera vita. E questi sono i poteri che oggi lo celebrano, con le loro insopportabili e false orazioni funebri. Quando lo stato profondo ha provato a imporre un minuto di silenzio negli stadi di calcio la reazione è stata quella di un rigetto di massa, da Nord a Sud.

Il popolo dei tifosi, ha fischiato quel minuto perché non si riconosce e non si identifica con qualcuno che ha preso la sovranità del Paese e l’ha sacrificata sull’altare del mondialismo e del capitalismo finanziario. Il popolo non si riconosce più da tempo, nella farsa delle istituzioni liberal-democratiche. Si chiude con la morte dell’ex presidente, la stagione dei tradimenti. Si chiude la stagione che dal 1992 ha portato al potere una classe politica di comprimari e di saltimbanchi, pronti a tutto pur di compiacere i propri padroni delle élite finanziarie. La storia non ha virato verso il Nuovo Ordine Mondiale tanto atteso da Napolitano e dai suoi sodali. Ha virato verso sentieri opposti dove la sovranità nazionale torna di nuovo al centro dei processi politici e non più ai margini. Quella attuale è una fase terminale dei vecchi equilibri del 1992. 

Forse la storia, con la dipartita di Napolitano, sembra per ironia del destino, voler scandire che quel tempo e quella stagione sono definitivamente volti al termine. Adesso c’è la fase della definitivo sgretolamento degli zombie che rappresentano questa vecchia classe politica. Le autocelebrazioni di un sistema che ha inflitto così tante ferite all’Italia e al suo popolo, sono state scoperte. Il popolo lo ha compreso e ovunque può, grida a gran voce il suo disprezzo  verso questa classe politica marcia e corrotta. 

 

 

 

 
 
 
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