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« QUANDO IL DENARO ARRIVA ...PREGHIERA PER LA PACE! »

UN BUROCRATE PASSACARTE DI CUI NON SI SENTE LA MANCANZA!

Post n°1532 pubblicato il 10 Giugno 2023 da scricciolo68lbr

«Per gli Stati Uniti, l’Europa e i loro alleati, non c’è alternativa che assicurare che l’Ucraina vinca questa guerra», accogliendo poi Kyjiv nella Ue e nella Nato. Nel suo primo viaggio negli Stati Uniti dopo la fine del suo governo, l’ex premier Mario Draghi ha tenuto un discorso al Mit, il Massachusetts Institute of Technology, dove ha ricevuto il premio Miriam Pozen. Un altro,ml'ennesimo, per aver fatto poi caso? Questo ce lo dovrebbero spiegare.

Al Mit, Draghi arrivò nell’agosto del 1972. «Mentre ero studente, c’erano la guerra dello Yom Kippur, shock petroliferi, inflazione fuori controllo, crisi del sistema monetario internazionale e naturalmente la Guerra fredda», ha ricordato. «Siamo stati capaci di superare quelle sfide, così come confido che saremo capaci di fare lo stesso in futuro».

La «brutale invasione dell’Ucraina» per Draghi non è «un imprevedibile atto di follia», ma un nuovo passo «premeditato» della «strategia delirante» di Putin per restaurare il passato imperiale della Russia. «Pace, libertà e rispetto della sovranità democratica sono i nostri valori comuni, per questo non ci sono alternative per Stati Uniti, Europa e i loro alleati che assicurarsi che l’Ucraina vinca la guerra. Accettare una vittoria russa significherebbe mettere a rischio altri confini e mandare il messaggio ad altri autocrati che l’Ue è pronta a compromessi, in altre parole assesterebbe un colpo fatale all’Ue e minerebbe tutta l’alleanza occidentale». Draghi ritiene però che la Ue debba «accogliere al suo interno l’Ucraina e i Paesi balcanici» e che si debba essere «pronti a iniziare un viaggio con l’Ucraina che porti alla sua adesione alla Nato». Come possiamo ben notare la parola PACE è scomparso dal vocabolario di questo burocrate finanziere cresciuto nella culla di Goldman Sachs. Ormai per lui, gli americani e i burocrati europei o vittoria o morte sembrano,e parole d'ordine. E dire invece che oltre Il 56 per cento degli italiani è contrario all'invio delle armi in Ucraina. Alla faccia delle volontà popolare!!!

La guerra in Ucraina e il ritorno dell’inflazione, assieme alle tensioni con la Cina, hanno determinato un «cambio di paradigma» che ha «spostato silenziosamente la geopolitica globale dalla competizione al conflitto», con conseguenze durature che potrebbero manifestarsi in un «più basso tasso di crescita potenziale, che richiederà politiche che portino a disavanzi di bilancio e tassi di interesse più alti», avverte ancora Draghi.

Sfide straordinarie richiedono risposte straordinarie. L’ex capo della BCE (mai rimpianto, neppure come Presidente del consiglio) lo sa bene. La globalizzazione, che si pensava «inarrestabile», è in crisi. «Mentre eravamo impegnati a celebrare la fine della storia, la storia preparava il suo ritorno». Eppure, secondo Draghi, i segnali che arrivavano dalla Russia erano chiari e da molto tempo, prima in Cecenia, poi in Georgia e in Crimea. Il tutto mentre nel mondo occidentale l’elezione di Donald Trump e la Brexit mostravano la «disaffezione» dei comuni cittadini verso un modello economico e sociale percepito come «iniquo e privo di tutele». Pandemia e guerra hanno accelerato questi trend, riportando in primo piano il ruolo del governo nell’economia.

Nel "nuovo mondo bisognerà convivere anche con una certa dose di inflazione, avverte l’ex presidente della Bce: «La guerra ha contribuito all’aumento delle pressioni inflazionistiche a breve termine, ma è anche probabile che inneschi cambiamenti duraturi che preannunciano un aumento dell’inflazione in futuro». Draghi ammette che le banche centrali «avrebbero dovuto diagnosticare in anticipo il ritorno dell’inflazione persistente», ma «hanno in gran parte recuperato il tempo perduto».

L’inflazione, però, «si sta dimostrando più resiliente di quanto inizialmente ipotizzato». E quindi la lotta contro il continuo aumento dei prezzi «richiederà probabilmente una cauta prosecuzione della stretta monetaria, sia attraverso tassi d’interesse ancora più elevati sia allungando i tempi prima che il loro corso possa essere invertito».

In Europa, spiega Draghi, «stiamo assistendo a una lotta tra aziende e lavoratori su chi dovrebbe sopportare» il costo dell’inflazione. Le imprese, per ora, lo hanno messo sulle spalle dei consumatori, «mantenendo o addirittura aumentando i loro profitti». Di conseguenza i salari reali hanno perso potere d’acquisto e, alla fine del 2022, «erano ancora inferiori di circa il 4% rispetto ai livelli pre-pandemia».

Draghi è convinto che, «alla fine, le banche centrali riusciranno a riportare il tasso di inflazione ai loro obiettivi», tuttavia «l’economia avrà un aspetto molto diverso da quello a cui siamo abituati». Le tensioni internazionali continueranno a pesare sul tasso di crescita e il processo di «reshoring» per riportare in patria produzioni strategiche e riallocare le forniture presso Paesi affidabili potrebbe comportare un livello di inflazione più alto che in passato.

«Le sfide che dobbiamo affrontare – dalla crisi climatica, alla necessità di sostenere le nostre catene di approvvigionamento critiche, alla difesa, soprattutto nell’Ue – richiederanno investimenti pubblici sostanziali che non possono essere finanziati solo attraverso aumenti delle tasse». Questi livelli più elevati di spesa pubblica, spiega l’ex numero uno della Bce, «eserciteranno un’ulteriore pressione sull’inflazione, oltre ad altri possibili shock dal lato dell’offerta derivanti dall’energia e da altri beni». Per questa ragione, ha ricordato Draghi, nel lungo periodo «è probabile che i tassi di interesse si manterranno più alti di quanto non fossero nell’ultimo decennio».

Allo stesso tempo, le banche centrali «non saranno la soluzione». Devono «essere molto consapevoli del loro impatto sulla crescita, in modo da evitare qualsiasi dolore inutile. Ma il compito ricadrà principalmente sui governi per ridisegnare le politiche fiscali in questo nuovo ambiente». I governi dovranno imparare «a vivere di nuovo in un mondo in cui lo spazio fiscale non è infinito, come sembrava essere il caso quando i tassi di crescita hanno sostanzialmente superato gli oneri finanziari». In tal senso, sarà molto più importante prestare attenzione alla composizione della politica fiscale. Che dovrà essere prudente e progettata per «aumentare la crescita potenziale, proteggendo e includendo allo stesso tempo coloro che hanno più bisogno di aiuto».

Eppure Draghi non sa che un altro mondo è agli albori e non è quello che ha in mente lui, ne quello degli americani e neppure dei burocrati dinosauri antitetici (ed antipatici) burocrati europei. È nell'evoluzione del Pianeta Terra e quindi non si può fermare. E loro temono questo cambiamento, perché significa per loro, estinzione! Ed allora prepariamoci, godiamoci lo spettacolo della fine di questo vecchio sistema economico, nelle mani di pochi cialtroni delle élite globaliste finanziarie. 

Si è conclusa infatti, a Città del Capo, in Sud Africa, il 5 giugno scorso, la riunione dei paesi aderenti ai BRICS, Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, e sarà ricordata come il momento in cui la dedollarizzazione è diventata adulta!

Infatti la tendenza è quella di abbandonare progressivamente l’uso del dollaro statunitense nelle transazioni commerciali internazionali e passare all’uso delle proprie monete nei commerci bilaterali.

Sono già numerosi i paesi che stanno iniziando ad usare le proprie monete nei commerci bilaterali e che stanno uscendo dal monopolio del dollaro. Vediamo alcuni esempi:
Cina e Brasile regolano gli scambi in Yuan e Real, la Francia ha concluso alcune transazioni in Yuan, India e Malesia aumentano l’uso della Rupia nel commercio bilaterale. 

Pechino e Mosca commerciano stabilmente in Yuan e Rubli da tempo per eludere le sanzioni applicate alla Russia dopo l’inizio della guerra in Ucraina, mentre i 10 Paesi dell’ASEAN spingono per il commercio regionale e investimenti in valute locali, non in dollari.
L’Indonesia, la più grande economia dell’ASEAN, sta lavorando con la Corea del Sud per aumentare le transazioni in Rupie e Won. Il Pakistan sta cercando di iniziare a pagare la Russia in Yuan per le importazioni di petrolio e gli Emirati Arabi Uniti stanno parlando con l’India per fare più commercio non-oil in Rupie.

La dedollarizzazione persisterà e crescerà; non è più una questione di se, ma di quando. 

Come in molti ben sanno, anche se Tv e stampa mainstream non ne parla, ad oggi la maggior parte degli scambi internazionali, come quelli in materie prime per esempio, avvengono in Dollari, anche se lo scambio in questione è totalmente svincolato dalla presenza degli Stati Uniti. Se l’Italia compra un barile di petrolio dall’Arabia Saudita per esempio, ad oggi non paga né in Euro, la valuta europea, né in Riyal, la moneta saudita, ma bensì in Dollari.

Questo rende la moneta statunitense molto forte, e fa sì che venga considerata come bene rifugio: non mancano infatti gli esempi in cui in una nazione, a causa della spirale inflattiva, vengano rifiutati i pagamenti nella valuta locale in favore di quelli in Dollari, che favorisce una stabilità maggiore. Pensiamo agli esempi di Venezuela e Argentina.

Ma la forza del dollaro americano non si deve solo ed esclusivamente alla forza dell’economia americana, ma anche a patti ed accordi storici stabiliti tra le potenze mondiali, con lo scopo di istituire una politica monetaria comune.

Nel 1944 con gli accordi di Bretton Woods 44 nazioni stabilirono il Dollaro come la moneta di riserva globale. Le 44 potenze si accordarono per un sistema monetario ancorato al valore del Dollaro. Le monete dei vari stati avrebbero rispettato un cambio fisso con la moneta statunitense, che a sua volta era ancorata al valore dell’oro. La convertibilità del Dollaro in oro era stabilita ad un prezzo di 35$ l’oncia. In pratica avere un dollaro in tasca era come possedere una piccola quantità d’oro, poco meno di un grammo.

In realtà l’accordo era valido solo tra le banche centrali e non tra privati, ma il paragone è utile per dare un riferimento sull’ammontare totale dell’oro sul quale si reggeva questo sistema. Inoltre la convertibilità impediva agli Stati Uniti e ad ogni paese di creare moneta a proprio piacimento. Per farlo infatti dovevano possedere oro in proporzione alla nuova moneta emessa.

Il sistema entrò in crisi nel 1970 a seguito della grande spesa pubblica adoperata dal governo USA, causata dalla guerra del Vietnam e dal programma di welfare chiamato “Grande Società”. Il governo USA emise una grande quantità di moneta che, unita al crescente indebitamento della nazione, fecero aumentare le richieste di conversione di dollari in oro.

Le riserve in oro del Tesoro si stavano svuotando a ritmi vertiginosi, e ad agosto 1971 il presidente degli Stati Uniti annunciò lo stop alla convertibilità in oro, mettendo di fatto fine al vecchio sistema. Ma anche dopo quella data, la caratteristica del Dollaro come moneta rifugio nei mercati internazionali non è cambiata: nei momenti d’incertezza infatti gli investitori acquistano Dollari, e il valore del Dollaro sale.

In realtà anche qui la storia parte da lontano. I primi accordi tra Russia e Cina per bypassare il Dollaro nei loro scambi commerciali risalgono addirittura al 2014. Ma è solo dal 2022 che si è verificato il vero cambio di passo: dall’inizio del conflitto in Ucraina infatti la Russia ha ridotto sensibilmente gli scambi in Dollari, mentre la quantità di scambi tra Rubli e Yuan è esplosa. Il tema è tornato poi di attualità a fine marzo, quando in occasione della visita del presidente cinese Xi Jinping a Mosca, Vladimir Putin avrebbe deciso di utilizzare lo Yuan come riserva di valuta primaria per la Russia al posto del Dollaro, secondo il Wall Street Journal.

Nel 2022 comunque la quantità di scambi commerciali effettuati in Euro e Dollari è diminuita sensibilmente per la Russia, a favore dell’utilizzo del Rublo e dello Yuan secondo dati pubblicati dalla stessa Banca Centrale Russa. Ma non finisce qui. La scorsa settimana infatti ha fatto scalpore la notizia del primo acquisto di Gas Naturale nella storia da parte della Francia avvenuto in Yuan. Si tratta di un carico da 65.000 tonnellate di Gas Naturale Liquefatto, quello che viene importato tramite navi, che la Francia avrebbe acquistato dagli Emirati Arabi Uniti passando attraverso lo Shanghai Petroleum and Natural Gas Exchange.

La scorsa settimana inoltre l’Arabia Saudita ha annunciato un accordo commerciale siglato con la Cina per costruire una raffineria di petrolio dal costo di 83,7 miliardi di Yuan, l'equivalente di circa 12 miliardi di dollari.

La settimana prima proprio l’Arabia Saudita aveva annunciato che stava valutando di usare lo yuan cinese per i suoi commerci di petrolio, dopo che i rapporti con gli Stati Uniti si sono deteriorati con la presidenza Biden. Attualmente l’Arabia Saudita esporta circa 6 milioni di barili di petrolio al giorno.

Pochi giorni dopo è toccato anche al Brasile, che ha annunciato di aver trovato un accordo con la Cina per scambiare beni nelle loro rispettive monete, bypassando quindi il Dollaro.

La Cina inoltre domina da diversi anni il mercato africano. In Africa infatti la Cina ha intrapreso una politica di pesanti investimenti in infrastrutture da anni ormai, e sicuramente gode di un buon potere d’influenza nel continente.

Non a caso proprio il presidente del Kenya William Ruto ha recentemente consigliato alla popolazione di disfarsi dei dollari in loro possesso, perché secondo la sua opinione il mercato valutario avrebbe subito un forte terremoto nel giro di qualche settimana.

Molti analisti si sono detti critici sulla de-dollarizzazione, sostenendo come da anni queste notizie appaiono ciclicamente sui media. Nonostante questi allarmismi, il Dollaro non ha perso ancora la sua egemonia.

Ma secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale questo trend esiste e come, con il Dollaro che è passato da ricoprire il 72% delle riserve mondiali di valuta nel 1999 al 59% nel 2022, con la categoria “altre valute”, in cui è compreso lo Yuan, passata dal 6 al 10%

Il Dollaro verrà soppiantato dallo Yuan? Il trend è innegabile secondo queste fonti ufficiali, ma è comunque molto lento. Inoltre in un certo senso la perdita di forza del Dollaro è naturale vista la crescita della forza della Cina come potenza mondiale.

Ma se mai il Dollaro verrà sostituito, di sicuro questo non avverrà domani. Questi processi impiegano anni per produrre degli effetti tangibili, e lo scarto che deve recuperare lo Yuan è sicuramente importante. Quindi oltre a della volatilità, queste news non potranno comunque affossare il Dollaro, almeno nel breve termine.

 

 

 

 

 
 
 
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