Creato da nina.monamour il 11/06/2010
 

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Dal letame nascono i fiori..

Post n°8637 pubblicato il 22 Febbraio 2019 da nina.monamour



È stato uno dei più grandi poeti italiani del ‘900, e le sue canzoni sono state studiate in ogni aspetto, tranne uno, le parolacce. Ma non sono state marginali nella sua opera, anzi, sono state così rilevanti da aver contribuito al suo successo. Come ricorda Ivano Fossati, al liceo ascoltavano i dischi di Fabrizio De Andrè, quello che piaceva delle sue canzoni è che c'erano le parolacce.

Eppure, le volgarità di De Andrè non sono mai state studiate in dettaglio, come se fossero un incidente, o un aspetto trascurabile rispetto al lessico, indubbiamente raffinato, dei suoi testi. Ma la scelta di usare il linguaggio basso non è stata un caso, perché De Andrè metteva una cura maniacale nella scelta di ogni singolo termine, come ricorda Fossati, "Lui sapeva benissimo che dietro ogni parola c’era una responsabilità, bisognava dire le cose che si condividono realmente. E allora la scelta di un termine, di un sostantivo, di un aggettivo, poteva prendere anche tre giorni".

Dunque, se il cantautore genovese ha inserito termini volgari nei suoi testi, l’ha fatto con una scelta mirata e meditata.

D’altra parte, per una persona che amava senza snobismo la cultura popolare, la schiettezza e il realismo, le parolacce hanno rappresentato uno strumento molto efficace, persino in testi raffinati e complessi come i suoi. Insomma, è uno dei pochi artisti che è riuscito a fare poesia alta anche usando il linguaggio basso. Del resto, come egli stesso diceva, "dal letame nascono i fior".

De Andrè si definiva "un ragazzo incazzato, che parla sporco e tormentato", e fin da giovane, scriveva canzoni, è sempre stato un inguaribile romantico e insieme un gran polemico, ce l’aveva sempre con le ingiustizie della società, con l’ipocrisia; e siccome aveva bisogno di sfogarsi, scriveva delle storielle che poi metteva in musica e accompagnava con la chitarra, togliendogli la gran soddisfazione di dire ciò che pensava veramente.

Per De Andrè, insomma, le canzoni erano un modo di far polemica, di contestare le ingiustizie della società (non a caso, studiò legge all’università). E le parolacce sono proprio il linguaggio della protesta e della polemica, come ci ha mostrato la politica degli ultimi 30 anni in Italia.

Un altro indizio importante è che De Andrè odiava l’ipocrisia, e, da sempre, il turpiloquio è il linguaggio della spontaneità, un modo rude di chiamare le cose per quello che sono


 
 
 
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