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Post N° 120

Post n°120 pubblicato il 25 Maggio 2006 da sciu_sciu

Il cioccolato? Che passione!

ATTO DI NASCITA: Theobroma Cacao (detto Cioccolato). Nato nella Terra degli Olmechi (bassipiani del Sud del Messico, zona di Veracrus meridionale al confine con lo stato del Tabasco) nel 1500 a.C. ( data riconosciuta convenzionalmente).


DEBUTTO IN SOCIETÀ: nel 1502 (circa). Cristoforo Colombo, nel corso del suo quarto viaggio, importa le sue prime fave di cacao che non furono però considerate come alimenti.
Ci volle Cortès, nel 1521, ad avviare l'importazione, nel vecchio continente, della pasta di cacao che poteva essere sciolta nell'acqua e consumata quindi come bevanda.
Ci vorranno ancora molti anni perché la stessa venga manipolata ed elaborata fino ai prodotti oggi conosciuti. Il cioccolato era diventato ormai famoso e ricercato.


PROPRIETA' CHIMICO FISICHE: Le proprietà chimico fisiche sono legate al burro di cacao (componente grasso principale).
Il burro di cacao è un grasso di colore giallo, composto principalmente da tre trigliceridi monoinsaturi: POP (n 20%), POS (n 40%) e SOS (n 25%), con una piccola quantità di altri trigliceridi contenenti acido linolenico ed archidonico.
( Davis T.H. e Dimick PS, J. Amer. Oil Chem. Soc.- 1989 ).
Il burro di cacao mostra friabilità al di sotto dei 20°C, diventa morbido fra i 30-32°C e fonde ad una temperatura appena al di sotto di quella corporea.


ASPETTI ANTROPOLOGI E PSICOLOGICI: Il cioccolato si è insinuato nelle abitudini e nelle stratificazioni sociali secondo una logica ben precisa.
Le abitudini alimentari di un gruppo ne delineano le sue caratteristiche sociali, tanto che lo stile alimentare di una società, i suoi cibi abituali, i nutrimenti dotati di potere e significato simbolico, hanno la capacità di illustrare il percorso storico di una popolazione nel suo significato più ampio. Infatti, in ogni scelta alimentare, dunque anche in quella del cioccolato, si intrecciano, in un sistema osmotico, fattori strutturali, economici, sociali e biologici oltre che concezioni religiose e valenze simboliche.
Non è sicuramente trascurabile il legame mente-alimentazione con tutto ciò che concerne ed implica il rituale del dolce, del salato, dell'inebriante.
Come è noto, alimentarsi rappresenta uno dei primi "riti" dell'uomo attraverso le varie fasi dello sviluppo. Ed è proprio per mezzo di questo meccanismo che percepiamo la differenza fra l'uno e l'altro da sé e ciò al fine ultimo di costruire un'autonomia dell' io.
L'alimentazione, infine, attraverso il passaggio dalla fase orale, (stimolazione del piacere provocato in bocca ) costituisce uno dei fondamenti della nostra identità.
Il cibo, o il digiuno da esso, assume così una valenza simbolica in tutto l'arco della vita di un uomo anche se in maniera differente a seconda delle aree geografiche, dei sistemi culturali, sociali, familiari e religiosi.
In ogni cultura viene dato un grosso valore "all'atto del cibarsi" ( valore che va al di là delle necessità fisiologiche). Basta riflettere sull'usanza di ogni cultura di banchettare come momento conviviale, socializzante oltre che di pura ospitalità.
Sono chiaramente diverse le abitudini o i cosiddetti rituali alimentari che rappresentano uno dei mezzi attraverso il quale è possibile esprimere ed affermare la propria unicità ed identità. Cibo come manifestazione del nostro esistere psicologico sia come equilibrata espressione di una identità, sia come espressione patologica (bulimia ed anoressia).
Tornando al cioccolato, è fondamentale sapere che esso ha nobili origini. Infatti era usato solo dai re Aztechi, gli alti funzionari dell'impero e dai sacerdoti. Si ritiene che il divieto imposto alla popolazione non nobile di utilizzare tale bevanda, fosse dovuto al ricco contenuto di grassi e proteine, costituenti alimentari preziosi per quei popoli la cui dieta era prevalentemente basata sul mais con poche proteine animali e pochi grassi.
Ciò era indubbiamente funzionale al nutrimento delle dinamiche organizzative del gruppo sociale. Non a caso le classi dirigenti si assicuravano la bevanda per garantirsi gli apporti nutrizionali ed il benessere psicofisico.
Inoltre, grazie al cacao, gli Aztechi riuscivano ad innalzare il livello di seratonina con il conseguente elevato tono dell'umore. Ciò consentiva lo svolgimento delle mansioni istituzionali con maggiore vigore.
Carlo V confermava che il cacao fosse una "bevanda divina, che dà resistenza e che combatte la fatica". Non a caso il cioccolato viene comunemente definito il "cibo degli dei", la cui paternità del nome viene attribuita, da alcuni storiografi, ad un anonimo messicano nel 1400, da altri a Linneo nel 1700.
Un dato è certo. Questo cibo, dalle mille sfaccettature, padre dell'estasi e del tormento, arma di seduzione con un fascino ammaliante, ha un nome originario che la dice lunga sulla sua essenza e dunque sulla equivalente influenza sociale.
Il cioccolato, all'anagrafe THEOBROMA, significa, per l'appunto, ( Theo = Dio + Broma = Cibo ), "cibo degli dei".
Da qui si può affermare, senza la paura di essere smentiti, che il rapporto tra il cioccolato e l'uomo è sin dalla sua origine "prezioso, esclusivo e ricercato". Non a caso fu usato come moneta per gli scambi commerciali delle popolazioni amerinde dell'America centrale.
Il cioccolato di sicuro non piace a tutti e non a tutti allo stesso modo. Ma chi ne rimane irretito vive un'esperienza totalizzante a livello fisico e psichico.
Da nutrimento di pochi eletti, le classi nobili ed il clero, a nutrimento prelibato e di tutti con conseguente abbattimento delle barriere sociali e dei divieti imposti dalla classe eletta divenendo, come sosteneva Voltaire, "il superfluo che è cosa assolutamente necessaria". Inoltre una riflessione è doverosa visto che il cioccolato è un complemento, in passato non sempre a tutti accessibile anche per il suo costo, ma indispensabile all'alimentazione. Infatti faceva parte integrante delle famose razioni D ( razione di emergenza in caso di rischio di fame in cui il cioccolato è presente in una barretta da 125g ), usate dall'esercito americano durante il secondo conflitto mondiale.
Di strada il cioccolato ne ha fatta tanta, passando dal suo ruolo sacro ad un ruolo profano, e ciò rispecchia fedelmente l'evoluzione sociale, nei diversi contesti di appartenenza culturale e geografica non trascendendo però quei presupposti precedentemente analizzati per cui la modalità di alimentazione di un individuo ne delimita anche il suo profilo psicologico.
Ora il problema sicuramente più grande della nostra società del III millennio è quello dell'opulenza, della sovrabbondanza, dell'abuso incondizionato di ogni cosa. Un alimento definito anche la "dolce droga" ( quotidiano "La Repubblica" del 21/01/01 ) diventa sospettabile di danno e malessere.
Ippocrate sosteneva che fosse "preferibile un cibo un po' nocivo ma gradevole ad un cibo indiscutibilmente sano ma sgradevole" e poi aggiungeva " è la quantità che fa il veleno".
La nocività eventuale del cioccolato non è da rinvenirsi tanto nella sostanza in sé, bensì nell'atteggiamento psichico di chi ne fa uso. L'uomo moderno della società opulenta è un soggetto tendenzialmente e socialmente portato a fare abuso; ciò provoca malattia che, a sua volta, genera altre malattie. L'uomo moderno, con la sua adolescenza prolungata, con il suo correre per stare sempre "al passo", con il suo continuo "non avere tempo", con la sua insoddisfazione cronica, con la paura costante di non essere all'altezza…questo uomo così potente e così solo è sempre più incapace di conoscere e di gustare il preliminare. E' sempre più incapace di soffermarsi a gustare…Teso verso un immediato, se pur effimero appagamento.
Ogni desiderio va istantaneamente soddisfatto. Da cui emerge una società al limite in cui esistono sempre più soggetti bipolari che alternano la loro melanconia cronica a fugaci momenti di esaltazione. E' evidente che l'uomo moderno ha interrotto quel feeling esistente con la natura circostante e il mondo economico "si è adeguato" confezionando una "risposta adeguata".
Da cui il cioccolato che per l'uomo amerindo era rito, sacralità e segno di distinzione di casta; per i conquistatori spagnoli dolce, ritemperante riposo dalle fatiche guerresche; per i re ed i nobili europei piacere, ma anche squisita medicina oltre che segno di riconoscimento di gruppi sociali che facevano della lentezza della degustazione segno di distinzione. Oggi, invece, per noi, diventa qualcosa che deve essere di facile reperibilità, alla portata di tutti e rapido da consumarsi. Non più degustazione, ma nutrizione. Tutto viene divorato in fretta. Anche il cioccolato! Lo stesso che un tempo richiedeva tempo, pazienza, abilità e dedizione per essere preparato.
Sta all'uomo moderno riconsegnare al cioccolato il peso che gli spetta in un contesto di ritrovato equilibrio sociale.
Questo alimento che un tempo ha diviso la società in diverse caste, oggi può diventare una porta verso la natura e la reale natura dell'uomo. In cui l'individuo possa riscoprire sé stesso, l'altro da sé, il suo ambiente, riconoscendosi anche nello scorrere delle sue fasi evolutive.
In questa società in cui molte ragazze urlano la loro esistenza per mezzo dell'anoressia ( sicuramente una delle piaghe più dolorose della società del III millennio ), il cioccolato, che non è il nemico della linea, ma è un amico della vita, deve poter far sorridere.
Il cioccolato è amico delle notti insonni e della solitudine, della gioia e della tristezza, dei bambini e degli adulti. Cosa si cerca con il cioccolato? Appagamento, tranquillità, serenità, euforia, forza o tutto insieme. Non a tutti piace, ma forse dovrebbe piacere a tutti. Di sicuro renderebbe più allegri.


 
 
 
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