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Ludovico Ariosto Madrigali

Post n°2224 pubblicato il 07 Novembre 2015 da valerio.sampieri
 

Ludovico Ariosto (1474-1533)

1
Se mai cortese fusti,
Piangi, Amor, piangi meco i bei crin d'oro,
Ch'altri pianti sì iusti unqua non fòro.
Come vivace fronde
Tòl da robusti rami aspra tempesta,
Così le chiome bionde,
Di che più volte hai la tua rete intesta,
Tolt'ha necessità rigida e dura
Da la più bella testa
Che mai facessi o possa far Natura.
 

2
Quando bellezza, cortesia e valore
Vostri o con gli occhi o col pensier contemplo,
Madonna, io cerco e non vi trovo essemplo.
Io sento allor mirabilmente Amore
Levarsi a volo e, senza di me uscire,
Seco trar così in alto il mio desire,
Che non l'osa seguire
La speme, che le par che quella sia
Per lei troppo erta e troppo lunga via.
 

3
Amor, io non potrei
Aver da te se non ricca mercede,
Poi che quant'amo lei Madonna vede.
Deh! fa' ch'ella sappia anco
Quel che forse non crede, quanto io sia
Già presso a venir manco,
Se più nascosta l'è la pena mia.
Ch'ella lo sappia, fia
Tanto solevamento a' dolor miei
Ch'io ne vivrò, dove or me ne morrei.
 

4
Per gran vento che spire,
Non si estingue, anzi più cresce un gran foco,
E spegne e fa sparire ogn'aura il poco.
Quanto ha guerra maggiore
Intorno in ogni loco e in su le porte,
Tanto più un grande amore
Si ripara nel core, e fa più forte.
D'umile e bassa sorte,
Madonna, il vostro si potria ben dire,
Se le minacce l'han fatto fuggire.
 

5
Oh se, quanto è l'ardore,
Tanto, Madonna, in me fusse l'ardire,
Forse il mal ch'ho nel core osarei dire.
A voi devrei contarlo,
Ma per timor, oimé! d'un sdegno, resto,
Che faccia, s'io ne parlo,
Crescerli il duol sì che l'uccida presto;
Pur io vi vuo' dir questo:
Che da voi tutto nasce il mio martìre,
E se 'l ne more, il fate voi morire.
 

6
Se voi così mirasse alla mia fede
Com'io miro a vostr'occhi e a vostre chiome,
Ecceder l'altre la vedreste, come
Vostra bellezza ogni bellezza eccede.
E come io veggio ben che l'una è degna,
Per cui né lunga servitù né dura
Noiosa mai debbia parermi o grave,
Così vedreste voi che vostra cura
Dev'esser che quest'altra si ritegna
Sotto più lieve giogo e più soave,
E con maggior speranza che non ave
D'esser premiata, e se non ora a pieno
Come devriasi, almeno
Con un dolce principio di mercede.
 

7
A che più strali, Amor, s'io mi ti rendo?
Lasciami viva, e in tua prigion mi serra.
A che pur farmi guerra,
S'io ti do l'arme e più non mi difendo?
Perché assalirmi ancor, se già son vinta?
Non posso più; questo è quel fiero colpo
Che la forza, l'ardir, che 'l cor mi tolle;
L'usato orgoglio ben danno ed incolpo.
Or non recuso, di catena cinta,
Che mi meni captiva al sacro colle;
Lasciarmi viva, e molle
Carcere puoi sicuramente darmi;
Ché mai più, signor, armi,
Per esser contra a' tuoi disii, non prendo.
 

8
La bella donna mia d'un sì bel fuoco,
E di sì bella neve ha il viso adorno,
Ch'Amor, mirando intorno
Qual di lor sia più bel, si prende giuoco.
Tal è proprio a veder quell'amorosa
Fiamma che nel bel viso
Si sparge, ond'ella con soave riso
Si va di sue bellezze inamorando;
Qual è a veder, qualor vermiglia rosa
Scuopra il bel paradiso
De le sue foglie, allor che 'l sol diviso
Da l'orïente sorge il giorno alzando.
E bianca è sì come n'appare, quando
Nel bel seren più limpido la luna
Sovra l'onda tranquilla
Coi bei tremanti suoi raggi scintilla.
Sì bella è la beltade che in quest'una
Mia donna hai posto, Amor, e in sì bel loco,
Che l'altro bel di tutto il mondo è poco.
 

9
Occhi, non v'accorgete,
Quando mirate fiso
Quel sì soave ed angelico viso,
Che come cera al foco,
Over qual neve ai raggi del sol sète?
In acqua diverrete,
Se non cangiate il loco
Di mirar quella altiera e vaga fronte:
Ché quelle luci belle, al sole uguali,
Pòn tant'in voi, che vi farann'un fonte.
Escon sempre da lor or foco or strali.
Fuggite tanti mali;
Se non, vi veggio alfin venir nïente,
Ed io cieco restar eternamente.
 

10
Fingon costor che parlan de la Morte
Un'effigie ad udirla troppo ria;
Ed io che so che di summa bellezza,
Per mia felice sorte,
A poco a poco nascerà la mia,
Colma d'ogni dolcezza,
Sì bella me la formo nel disio,
Che 'l pregio d'ogni vita è 'l morir mio.
 

11
Quel foco, ch'io pensai che fuss'estinto
Dal tempo, da gli affanni ed il star lunge,
Signor, pur arde, e cosa tal v'aggiunge
Ch'altro non sono ormai che fiamma ed ésca.
La vaga fera mia che pur m'infresca
Le care antiche piaghe,
Acciò mai non s'appaghe
L'alma del pianto che pur or comincio;
Errando lungo il Mincio
Più che mai bella e cruda oggi m'apparve,
Ed in un punto, ond'io ne muoia, sparve.
 

12
Quando ogni ben de la mia vita ride,
I dolci baci niega;
Se piange, allor al mio voler si piega;
Così suo mal mi giova e 'l ben m'accide.
Chi non sa come stia fra il dolce il fèle
Provi, come provo io,
Questo ardente disio,
Che mi fa lieto viver e scontento.
Così nasce per me di amaro il mèle,
Dolor del riso pio
Che 'l bel volto giulìo
Lieto m'apporta sol per mio tormento.
Miseri amanti, senza più contesa,
Temete insieme e sperate ogni impresa.

 
 
 
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Data di creazione: 26/04/2008
 

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