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Capitolo contro il portar toga 2

Post n°2002 pubblicato il 09 Settembre 2015 da valerio.sampieri
 

Capitolo contro il portar toga

(seguito)

I' sto a veder se 'l mondo è spiritato,
Se egli è uscito del cervello affatto,
E s'egli è desto, o pure addormentato; 156

E s'egli è vero ch'un che non sia matto
Non arrossisca che gli sia veduto
Un abito sì sconcio e contraffatto. 159

In quant'a me mi son ben risoluto,
Ch'io non ne voglio intender più sonata:
Mi contento del mal ch'io n' ho già auto; 162

E perchè non paresse alla brigata,
Ch'io mi movessi senz'occasione,
Come fan quegli ch'han poca levata, 165

Io son contento dir la mia ragione,
E che tu stesso la sentenza dia:
So che tu hai giudizio e discrizione. 168

La prima penitenza che ci sia
(Guarda se per la prima ti par nulla),
È ch'io non posso fare i fatti mia, 171

Come sarebbe andar alla fanciulla;
Ma mi tocca a restar fuor della porta,
Mentre ch'un altro in casa si trastulla. 174

Dicon ch'è grave errore, e troppo importa,
Ch'un dottor vadia a casa le puttane:
La togal gravità non lo comporta. 177

E 'l veder queste cose così strane
Mi fa poi far qualch'altro peccataccio,
E bene spesso adoperar le mane: 180

Onde costor, che si pigliano impaccio
Della mia salvazione e del mio bene,
Bravano e gridan ch'io non ne fo straccio. 183

A un che vada in toga non conviene
Il portar un vestito che sia frusto,
A voler che la cosa vadia bene; 186

Perchè, mostrando tutto quanto il fusto
E la persona giù lunga e distesa,
Egli è forza ch'ei faccia il bellombusto: 189

E così viene a raddoppiar la spesa;
E questa a chi non ha molti quattrini
È una dura e faticosa impresa. 192

Non ci vuol tanti rasi ed ermisini,
Quando tu puoi portare il ferraiuolo:
Basta aver buone scarpe e buon calzini; 195

Il resto, quando sia di romagnuolo,
Non vuol dir nulla, se ben par che questa
Sia una sottigliezza da Spagnuolo: 198

E non importa che tu ti rivesta,
Mutand'abiti e foggie a tutte l'ore,
Se è dì di lavoro o dì di festa. 201

Se per disgrazia un povero dottore
Va per la strada in toga scompagnato,
Par quasi ch'e' ci metta dell'onore; 204

E se non è da venti accompagnato,
Mi par sempre sentir dir le brigate:
"Colui è un ignorante e smemorato":
207

Tal che sarebbe meglio a farsi frate;
Ch'al manco vanno a coppie, e non a serque,
Come van gli spinaci e le granate. 210

Però chi dice lor: Beati terque,
Non dice ancor quanto si converrebbe,
E sarie poco a dir terque quaterque; 213

Dove ch'a un dottor bisognerebbe
Dargli la mala Pasqua col mal anno,
A voler far quel ch'ei meriterebbe. 216

Non so com'ei non crepi dell'affanno,
Quand'egli ha intorn'a sè diciott'o venti,
Che, per udirlo, a bocca aperta stanno. 219

A me non par egli essere altrimenti,
Che sia tra i pettirossi la civetta,
O la Misericordia tra' Nocenti; 222

E n'ho aut'a' miei dì più d'una stretta:
E però, toga, va' pur in buon'ora,
Vatten'in pace, che sie benedetta. 225

Ma quand'anche un dottore andasse fuora,
E ch'andar solo pur gli bisognassi,
Come si vede che gli avvien talora, 228

Tu non lo vedi andar se non pe' chiassi,
Per la vergogna, o ver lungo le mura,
E 'n simil altri luoghi da papassi: 231

E par ch'e' fugga la mala ventura;
Volgesi or da man manca or da man destra,
Com'un che del bargello abbia paura: 234

Par una gatta in una via maestra,
Che sbalordita fugga le persone,
Quand'è cascata giù dalla finestra, 237

Che se ne corre via carpon carpone,
Tanto ch'ella s'imbuchi in qualche volta,
Perchè gli spiace la conversazione. 240

* * * * *

Se tu vai fuor per far qualche faccenda,
Se tu l'hai a far innanzi desinare,
Tu non la fai che gli è or di merenda, 243

Perchè la toga non ti lascia andare,
Ti s'attraversa, t'impaccia e t'intrica,
Ch'è uno stento a poter camminare. 246

E però non par ch'ella si disdica
A quei che fanno le lor cose adagio
E non han troppo a grado la fatica, 249

Anzi han per boto lo star sempre in agio,
Come dir frati o qualche prete grasso,
Nimici capital d'ogni disagio, 252

Che non vanno mai fuor se non a spasso,
Come diremmo noi, a cercar funghi,
E se la piglian così passo passo. 255

A questi stanno bene i panni lunghi,
E non a un mie par, che bene spesso
Ho a correr perch'un birro non mi giunghi; 258

E ho sempre paur di qualche messo,
O che 'l Provveditor non mi condanni,
Ch'a dire il vero è un vituperio espresso. 261

Però, prima ch'usar più questi panni,
Vo' rinunziar la cattedra a Ser Piero,
E se non la vuol lui, a Ser Giovanni. 264

Io vo' che noi facciamo a dir il vero:
Che crediam noi però però ch'importi
Aver la toga di velluto nero, 267

E un che dreto il ferraiuol ti porti,
E che la notte poi ti vadia avanti
Con una torcia, come si fa a' morti? 270

Sappi che questi tratti tutti quanti
Furon trovati da qualcuno astuto,
Per dar canzone e pasto agl'ignoranti, 273

Che tengon più valente e più saputo
Questo di quel, secondo ch'egli arà
Una toga di rascia o di velluto. 276

Dio sa poi lui come la cosa sta!
Ma s'io avessi a dire il mio parere,
Questo discorso un tratto non mi va. 279

Ch'importa aver le vesti rotte o intere,
Che gli uomini sien Turchi o Bergamaschi,
Che se gli dia del Tu o del Messere? 282

La non istà ne' rasi o ne' dommaschi;
Anzi vo' dirti una mia fantasia,
Che gli uomini son fatti com'i fiaschi. 285

Quando tu vai la state all'osteria,
Alle Bertuccie, al Porco, a Sant'Andrea,
Al Chiassolino o alla Malvagia, 288

Guarda que' fiaschi, innanzi che tu bea
Quel che v'è drento; io dico quel vin rosso,
Che fa vergogna al greco e alla verdea: 291

Tu gli vedrai che non han tanto in dosso,
Che 'l ferravecchio ne dessi un quattrino;
Mostran la carne nuda in sino all'osso: 294

E poi son pien di sì eccellente vino,
Che miracol non è se le brigate
Gli dan del glorioso e del divino. 297

Gli altri, ch'han quelle veste delicate,
Se tu gli tasti, o son pieni di vento,
O di belletti o d'acque profumate, 300

O son fiascacci da pisciarvi drento.

Galileo Galilei

 
 
 
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Data di creazione: 26/04/2008
 

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