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Gasparo Visconti 4 sonetti

Post n°1925 pubblicato il 15 Agosto 2015 da valerio.sampieri
 

Sonetti di Gasparo Visconti, tratti da: Parnaso Italiano, Volume 11, Lirici, Venezia, Giuseppe Antonelli Editore, 1846.

II.

Quando il sol tira fuor de le salse onde
Suoi lampeggianti raggi e scaccia aurora,
Le stelle oscuran sua chiarezza allora,
Perché 'l lume maggior il meno asconde.

Così colei che nel mio petto infonde
Foco, pel qual convien che a forza io mora,
Ogni altro aspetto vince e discolora
Al giunger de le luci sue gioconde.

Allor il pensier dice con la mente:
Questo è l'onor del primo ben celeste,
Involto, io diva spoglia umanamente.

Che le bellezze e le maniere oneste,
Non son congiunte ne l'età presente,
In altra ch'abbia la terrena veste.


III.

Solea l' antico popolo ignorante
Adorare un vitello, un capro, un toro,
O statua di rame, argentea o d'oro.
Chi luna, o sol, chi mar, chi sassi o piante.

Un idol vivo con sue luci sante
È quel, quale io pregando sempre adoro,
Questo volando dal superno coro
Drizza a virtute il mio cammino errante.

Ho fatto in su lo altar di questo offerta
Del spirto, de l'ingegno e de miei sensi,
Ed arsi lì per vittima il mio core.

Di questo odo la voce viva aperta
Che m'empie nel pensier di gaudii immensi.
Di sommo ben, di dolce e sacro orrore.


IV.

Dolce nemica de la mia salute
Che cosi presso a morte m' hai condutto,
Vedi che per amarti io son destrutto
Se non mi aiuta l'alta tua virtute.

Le doglie mie da te mal conosciute,
Ormai m' han già consunto in tristo lutto
Qual speri aver de la mia morte frutto,
La qual m'è addosso, se 'l voler non mute?

Rivolgi alquanto la tua mente altera
A la mia tanta devozione e fede,
O rara, o dolce, o pura mia colomba.

Che ti sarà perpetua gloria vera
A scampar un fedel per tua mercede,
Che quasi era sepolto entro la tomba.


V.

Scritto si trova ne le antiche carte.
Che la coda d'un serpe assai si dolse
Del capo che regesse il corpo e volse
Governare a vicenda la sua parte.

Cosi la stolta, mal facendo l'arte.
Che per più ben Natura già li tolse,
Al fin sol penitenza ne raccolse.
Nel corpo avendo mille piaghe sparte.

Perchè cieca facendo via ritrosa,
Percoteva sé stessa e l' altro busto
In ogni acuto sterpo e duro sasso.

Laonde fatta del suo error dogliosa
Lassò l' ufficio al capo che più giusto
Sapeva mensurare ogni suo passo.

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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