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Il Malmantile racquistato 04-2

Post n°1747 pubblicato il 14 Giugno 2015 da valerio.sampieri
 

QUARTO CANTARE

28
Il Fendesi a scappare anch'ei fu lesto,
Con gli altri tre correndo a rompicollo;
Volendo risicar prima un capresto,
E morir collo stomaco satollo,
Che restar quivi a menarsi l'agresto (481),
Ed allungare a quella foggia il collo.
Il danno certo è sempre da fuggire;
S'egli avvien peggio poi, non c'è che dire.

29
Lasciam costoro, e vadan pure avanti
Cercando il vitto lì per quel contorno;
Che se fame gli caccia, e' son poi fanti
Da battersi ben ben seco in un forno;
Perchè d'un gran guerrier convien ch'io canti,
Mezzo impaniato, perch'egli ha d'intorno
Una donna straniera in veste bruna,
Che s'affligge e si duol della fortuna.

30
Calagrillo è il guerriero, e via pian piano
Cavalcando ne va con festa e gioia,
Ognor tenendo il chitarrino in mano,
Perchè il viaggio non gli venga a noia.
È bravo sì, ma poi buon pastricciano (482);
E' farebbe servizio infino al boia:
Venga chi vuol, a tutti dà orecchio,
Sebben e' fosse il Bratti Ferravecchio (483).

31
Poichè bella è colei che si dispera
Sempre piangendo senz'alcun ritegno,
E vanne, come io dissi, in cioppa (484) nera
Per dimostrar di sua mestizia il segno,
Perciò con viso arcigno e brutta cera
Par un Ebreo ch'abbia perduto il pegno;
E di quanto l'affligge e la travaglia,
Calagrillo il campion quivi ragguaglia.

32
Signore, incominciò, devi sapere,
Ch'io ebbi un bel marito; ma perch'io
Dissi chi egli era contro al suo volere,
Già per sett'anni n'ho pagato il fio;
Perch'egli allor, per farmela vedere,
Stizzato meco se n'andò con Dio
In luogo, che a volerlo ritrovare
La carta vi volea da navicare.

33
E quando poi io l'ho bell'e trovato,
Martinazza, ch'è sempre lo scompiglia,
Fa sì, che pur di nuovo m'è scappato,
Ed in mia vece all'amor suo s'appiglia.
Tal ch'io rimango cacciator sgraziato:
Scuopro la lepre, e un altro poi la piglia.
Ti dico questo, perchè avrei voluto
Che tu mi dessi a raccattarlo aiuto.

34
Ei le promette e giura che 'l marito
Le renderà; però non si sgomenti:
E se non basterà quel c'ha smarrito,
Quattro e sei, bisognando, e dieci e venti.
Ed ella lo ringrazia, e del seguito
Di tante sue fatiche e patimenti
(Fatta più lieta per le sue promesse)
Così da capo a raccontar si messe:

35
Cupido è la mia cara compagnia,
Ricco garzon, sebben la carne ha ignuda;
Anzi non è: t'ho detto una bugia;
Perch'ei non mi vuol più cotta nè cruda.
Ma senti pure, e nota in cortesia:
Quando la madre sua, ch'era la druda
Del fiero Marte, idest la Dea d'Amore,
Gravida fu di questo traditore,

36
Perch'una trippa avea, che conveniva
Che dalle cigne omai le fosse retta,
Cagion, che in Cipro mai di casa usciva,
Se non con due braccieri ed in seggetta;
Pur sempre con gran gente e comitiva,
Com'a Regina, com'ell'è, s'aspetta;
I paggi addietro e gli staffier dinanzi,
E dagl'inlati due filar di Lanzi (485);

37
Essendo così fuori una mattina
Per suoi negozi e pubbliche faccende,
Urtò per caso una vacca trentina (486),
E tocca appena, in terra la distende;
Ond'ella, dopo un'alta rammanzina,
Perch'una lingua ell'ha che taglia e fende:
Va', che tu faccia, quando ne sia otta,
Un figliuol, dice, in forma d'una botta.

38
E così fu; chè in vece d'un bel figlio,
Di suo gusto e di tutt'i terrazzani,
Un rospo fece come un pan di miglio,
Che avrebbe fatto stomacare i cani;
Che poi, cresciuto, fecesi consiglio
Di dargli un po' di moglie; ma i mezzani
Non trovaron mai donna nè fanciulla,
Che saper ne volesse o sentir nulla.

39
Se non che i miei maggiori finalmente,
Mio padre che 'l bisogno ne lo scanna,
Con un mio zio ch'andava pezïente (487),
E un mio fratello anch'ei povero in canna (488),
Sperando tutti e tre d'ungere il dente
E dire: o corpo mio, fátti capanna (489),
E riparare ad ogni lor disastro,
Me gli offeriro, e fecesi l'impiastro.

40
Fu volentier la scritta stabilita;
Io dico sol da lor, che fan pensiero
Di non aver a dimenar le dita (490),
Ma ben di diventar lupo cerviero.
E perchè e' son bugiardi per la vita,
Dimostrano a me poi 'l bianco pel nero;
Dicendomi, che m'hanno fatta sposa
D'un giovanetto, ch'è sì bella cosa.

41
Soggiunsero di lui mill'altre bozze;
Ma quando da me poi lo veddi in faccia
Con quella forma e membra così sozze,
Pensate voi se mi cascò le braccia:
Anzi nel giorno proprio delle nozze,
Che a darmi ognun venia il buon pro vi faccia,
Ogni volta, con mio maggior dolore,
Sentivo darmi una stoccata al cuore.

42
Non lo volevo; pur mi v'arrecai,
Veduto avendo ogni partito vinto (491);
Ma perchè non è il diavol sempre mai
Cotanto brutto com'egli è dipinto,
Quand'io più credo a gola esser ne' guai,
Ecco al mio cuore ogni travaglio estinto;
Vedendo ch'ei lasciò, sendo a quattr'occhi,
La forma delle botte e de' ranocchi.

43
E molto ben divenne un bel garzone,
Che m'accolse con molta cortesia;
Ma subito mi fa commissïone,
Ch'io non ne parli mai a chicchessia,
Perch'io sarò, parlandone, cagione
Ch'ei si lavi le man de' fatti mia,
E per nemmen(492) sentirmi nominare
Si vada vivo vivo a sotterrare.

44
E perchè quivi ancora avrà paura
Ch'io non vada a sturbargli il suo riposo,
Avrà sopr'ad un monte sepoltura
Che mai si vedde il più precipitoso,
Ed alto poi così fuor di misura,
Che non v'andrebbe il Bartoli (493) ingegnoso;
Oltrechè innanzi ch'io vi possa giugnere,
Ci vuol del buono, e ci sarà da ugnere.

45
Poichè una strada troverò nel piano,
Che veder non si può giammai la peggio;
Poi, giunta a piè del monte alpestre e strano,
Con due uncini arrampicar mi deggio,
Menando all'erta or l'una or l'altra mano
Come colui che nuota di spasseggio;
Ed anche andar con flemma e con giudizio
S'io non me ne vogl'ire in precipizio.

46
Scosceso è il monte, in somma, e dirupato;
E 'l viaggio lunghissimo e diserto.
Così disse Cupido smascherato,
Dopo cioè ch'ei mi si fu scoperto;
Ond'io promessi di non dir mai fiato,
E che prima la morte avria sofferto,
Che trasgredir d'un punto in fatti o in detti
I suoi gusti, i suoi cenni, i suoi precetti.

47
Nè tal cosa a persona avrei scoperta;
Ma perchè tuttavia la gente sciocca
Ridea del rospo e davami la berta,
Ed io che quand'ella mi viene in cocca
Non so tenere un cocomero all'erta,
Mi lasciai finalmente uscir di bocca
Che quel non era un rospo, ma in effetto
Un grazïoso e vago giovanetto.

48
E che, se lo vedesson poi la notte
Quando in camera meco s'è serrato
E getta via la scorza delle botte,
Ch'un Sole proprio par pretto sputato,
Le male lingue forse starian chiotte
Che sì de' fatti altrui si danno piato;
Perocchè non si può tirare un peto,
Che il comento non voglian fargli dreto.

49
Le ciglia inarca e tien la bocca stretta
Chiunque da me tal maraviglia ascolta;
Ma quel che importa, a sordo non fu detta;
Chè Vener che ogni cosa avea ricolta,
Per veder s'ella è vera o barzelletta,
Poichè a dormire ognun se l'era colta,
Entra in camera e vien pian piano al letto,
E trova il tutto appunto come ho detto.

50
E nel vedere in terra quella spoglia
Che per celarsi al mondo il giorno adopra,
Di levargliela via le venne voglia,
Acciò con essa più non si ricuopra;
Così la prende, e poi fuor della soglia
Fa un gran fuoco e ve la getta sopra:
Nè mai di lì si volle partir Venere,
Insinchè non la vedde fatta cenere.

51
Fu questa la cagion d'ogni mio male;
Perchè quando Cupido poi si desta,
Si stropiccia un po' gli occhi e dal guanciale
Per levarsi dal letto alza la testa,
E va per rivestirsi da animale,
Nè trovando la solita sua vesta,
Si volta verso me, si morde il dito,
E nello stesso tempo fu sparito.

52
Non ti vo' dir com'io restassi allora,
Che mi sovvenne subito di quando
Il primo dì mi si svelò, che ancora
Mi fece l'espressissimo comando
Che in alcun tempo io non la dessi fuora;
Ed io son ita, sciocca, a fare un bando:
E poi mi pare strano e mi scontorco,
S'egli è in valigia (494) ed ha comprato il porco (495).

53
Sospesa per un pezzo me ne stetti,
Ch'io aspettava pur ch'ei ritornasse;
A cercarne per casa poi mi detti,
Per le stanze di sopra e per le basse.
Guardo su pel cammin, giro in su i tetti,
Apro gli armari e fo scostar le casse;
Nè trovandolo mai, al fin mi muovo
Per non fermarmi finch'io non lo trovo.

54
Scappo di casa, e via vo sola sola;
Nè son lontana ancora una giornata,
Ch'io sento dire: aspettami figliuola.
Mi volto, e dietro veggomi una Fata;
E perch'ella mi diede una nocciuòla,
Quest'è meglio, diss'io, d'una sassata.
Di ciò ridendo, un'altra sua compagna
Mi pose in mano anch'ella una castagna.

55
Ed io, che allora avrei mangiato i sassi,
M'accomodai per darvi su di morso;
Ma fummi detto ch'io non la stiacciassi,
Se un gran bisogno non mi fosse occorso.
Vergognata di ciò, con gli occhi bassi
Il termine aspettai del lor discorso;
Poi, fatte le mie scuse e rese ad ambe
Mille grazie, le lascio, e dolla a gambe.

Note:
(481) MENAR L' AGRESTO. È modo basso per dire, perdere il tempo.
(482) PASTRICCIANO. Uomo di buona pasta.
(483) BRATTI ecc. Più che un nome proprio, questo pare che sia un nome comune, corrotto da, Baratta ferri vecchi.
(484) CIOPPA. Sorta di gonnella.
(485) LANZI. Fanti di lancia, altrimenti detti Trabanti. (Salvini.)
(486) VACCA TRENTINA. Così chiamiamo certe donnicciuole poco oneste. (Minucci.)
(487) PEZIENTE, ora pezzente.
(488) IN CANNA, cioè Quanto una canna, che è priva e vota d'ogni sostanza, non tanto fuori, che dentro. (Biscioni)
(489) FÀTTI CAPANNA. Diventa capacissimo, sì che si possa insaccar sempre.
(490) DIMENAR LE DITA ecc. Lavorare, per mangiar come lupi.
(491) PARTITO VINTO. Determinazione presa irrevocabilmente.
(492) PER NEMMEN. Anche solo a sentir me che lo nomini.
(493) IL BARTOLI, Cosimo, fu un reputato ingegnere.
(494) S'EGLI È IN VALIGIA. Se è in collera.
(495) COMPRARE IL PORCO. Andarsene senza dire addio, come fa chi, nel comprare, inganna il venditore; che se ne va subito, per paura di essere richiamato a rivedere i conti.

Lorenzo Lippi
Da: "Il Malmantile racquistato" di Lorenzo Lippi (alias Perlone Zipoli), con gli argomenti di Antonio Malatesti; Firenze, G. Barbèra, editore, 1861)

(segue)

 
 
 
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