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Tomaso Castellani

VII
Di M. Tomaso Castellani

1

O sacro ramo, che con verdi fronde
Sì lieto nunzio fosti a quel gran padre,
Che nel sommerger de l’antica madre
Salvò il commesso seme sopra l’onde,

S’al puro canto il vero oggi risponde
De’ pargoletti ebrei, con sì leggiadre
Opre vien tal che le tartaree squadre,
Pietoso al nostro mal, rompe e confonde.

Io lietamente, o santa e schietta Oliva,
T’accetto e ’nchino or che salute e pace
Prometti al grave e travagliato spirto,

Ma con speme vie più secura e viva
Di quella che ’l mio cor pronto e vivace
Mosse a seguir già vanamente il mirto.

2

Fiera novella con spedito volo
Giunga a l’orgoglio de l’eterna morte,
Che mansueto agnello altiero e forte
Oggi l’affrena col suo sangue solo.

L’aspra sentenza de l’ingiusto duolo
Con chiare note al crudo regno apporte,
Che da ferito e sacro piè le porte
Fien rotte al carcer del beato stuolo.

Per la pietà del suo Fattor cangiarsi
Già veggio il cielo, e de l’error la salma
Per tanto redentor felice farsi.

Sento la fioca voce, afflitta ed alma,
Cortese a chi l’offende ancor mostrarsi,
E ceder morte oggi al morir la palma.

3

Il più bel germe de’ sacrati allori
Sì dolcemente col suo raggio santo
Nodrisce il sol, ch’omai si toglie il vanto
A quel che per lui sparse i primi odori.

La nuova pianta del terreno fuori
S’inalza al ciel con sì leggiadro manto,
Ch’a l’ombra sua tosto vedrassi quanto
Ponno de gli alti ingegni i bei lavori.

Cresca il lauro gentil, e Febo l’ami
Tanto ch’a rozze tempie la sua fronde
Mai non consenta, né vil man la coglia,

Né sia minor di quei ben culti rami
Per cui di Sorga son sì chiare l’onde
Che l’Arno con ragion par se ne doglia.

4

Felice stella, che tre Regi guidi
Dal lido oriental sì fedelmente
Al Re supremo e al bel vero Oriente,
Oggi riposto fra negletti nidi,

I chiari raggi tuoi benigni e fidi
Scorgano ancor la mia sviata mente,
Ch’aperti i suoi tesori or largamente
A quel gli doni e ’n lui sol si confidi.

Onde in vece di mirra, oro ed incenso,
Speranza, fede e caritate accesa
Offera al casto parto di Maria;

Poi l’alma scorta dal tuo lume immenso
De l’aversario suo fugga l’offesa,
Né più ritorni per l’usata via.

5

Sciogliti omai da le noiose braccia,
Candida Aurora, del tuo sposo antico,
E tu Sol, de le tenebre nemico,
La fosca madre de le Furie scaccia.

Mostra al bel lauro la tua lieta faccia,
Che lo nudrisce con calor amico,
E a me quel vivo lume, ond’io nutrico
L’occhio e ’l pensier, e ’l cor m’arde ed agghiaccia.

Tu pur t’ascondi, e ’l ciel la notte imbruna,
Perché paventi non ricever scorno
Da due luci terrene alme e superbe;

Ma se ciò temi, tu Sol reggi il giorno,
Madonna entri nel seggio de la Luna
E ’l loco a me d’Endimion si serbe.

6

ANTONIO mio, s’a le pregiate carte
Vostre vien tarda la risposta alquanto,
È perch’io veggio quelle alzarsi tanto
Che da seguirle non ho penna od arte.

Sì largamente Apollo non comparte
A l’asciutto mio stile il suo umor santo,
Che degno sia de l’onorato vanto
Di cui gli fate così ricca parte.

Il non poter non fe’ mai l’uomo ingrato,
Ma il non voler di tal error l’accusa,
Che l’un sol vien dal ciel, l’altro da l’alma.

Se tarda fu la man, mai ritardato
A voi non fu il mio amor; onde mi scusa
L’aver posto al mio stil troppo gran salma.

7

Non è nel giardin vostro erba né legno
Che frutti mai produca aspri ed amari,
Anzi soavi e dolci e senza pari,
Come ben culto e d’umor sacro pregno.

Onde s’a quel con gran diletto vegno,
Il faccio sol perché la man impari
Del mio sveller i sterpi, e si prepari
A tal lavor, che ’l sol non l’abbia a sdegno.

Sì largo fonte bagna i germi vostri
Ch’i lauri s’alzan sopra i faggi e i pini
Per ornarvi di fronde alta e superba.

Ma inutil piante i miei mal culti chiostri
Adombran sì che ’l ciel par che destini
Sempre al suo parto una stagion acerba.

8

Le caste Muse con le sante leggi
Or v’accompagnan per sì bella strada,
Che mai non fia che ’l vostro ingegno cada
Del ver onor, né alcun che vi pareggi.

Non ben contento de’ terreni seggi
Il vostro stile al ciel par che sen vada,
Né mai vedrassi che la giusta spada,
A’ rei nemica, in vostra man vaneggi.

DOMENICHI gentil, quante corone
Aspetta non indarno il vostro crine,
Se ’l ciel di sua mercede il valor empie.

Non basta a voi che Febo il lauro done,
Ma quella che di noi tien le divine
Parti convien ch’ancor v’orni le tempie.

9

Se dal tuo fonte qualche umor non viene
Che lavi, o Re del ciel, questo mio petto,
In troppo immondo e mal purgato tetto
Or entri con mio scorno e gravi pene.

Ma le dolc’onde di tue sante vene
Sparse in lavar nostro comun diffetto
Mi dan tanta baldanza ch’io t’accetto,
Fatto secur da mia verace spene.

S’albergo ove sia fé mai non ti spiacque,
Come conobbe Marta e la sorella
A cui la tua pietade il fratel rese,

Per quella fé che ’n me mai sempre giacque
Ne l’alma mia, fatta di morte ancella,
Tu che sei vita entra, Signor cortese.

[* ma cfr. scheda biografica]

10

Se ’l sesto in mezzo d’alcun spazio un piede
Tien fermo e l’altro gira, un sì perfetto
Cerchio gli fa che nel pensato effetto
Non s’inganna la man ch’a l’arte crede;

Ma se del centro, ove già posto siede,
Si muove il primo piè, con tal diffetto
Si forma indi la rota, che ’l concetto
Del fabro tosto del suo error s’avede.

Così chi sta in Colui che in ogni parte
Regna, de l’opre sue se stesso guida
A fin perfetto col girar de gli anni;

Ma se col passo errante si diparte
Del centro, in cui stabil virtù s’annida,
Il vero lascia per seguir gl’inganni.

Tomaso Castellani
Da: Rime diverse di molti Eccellentissimi Autori (a cura di Lodovico Domenichi - Giolito 1545)

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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