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Canzoniere petrarchesco 10

Post n°1732 pubblicato il 10 Giugno 2015 da valerio.sampieri
 

61

Benedetto sia 'l giorno, et 'l mese, et l'anno,
et la stagione, e 'l tempo, et l'ora, e 'l punto,
e 'l bel paese, e 'l loco ov'io fui giunto
da'duo begli occhi che legato m'ànno;

et benedetto il primo dolce affanno
ch'i' ebbi ad esser con Amor congiunto,
et l'arco, et le saette ond'i' fui punto,
et le piaghe che 'nfin al cor mi vanno.

Benedette le voci tante ch'io
chiamando il nome de mia donna ò sparte,
e i sospiri, et le lagrime, e 'l desio;

et benedette sian tutte le carte
ov'io fama l'acquisto, e 'l pensier mio,
ch'è sol di lei, sí ch'altra non v'à parte.


62

Padre del ciel, dopo i perduti giorni,
dopo le notti vaneggiando spese,
con quel fero desio ch'al cor s'accese,
mirando gli atti per mio mal sí adorni,

piacciati omai col Tuo lume ch'io torni
ad altra vita et a piú belle imprese,
sí ch'avendo le reti indarno tese,
il mio duro adversario se ne scorni.

Or volge, Signor mio, l'undecimo anno
ch'i' fui sommesso al dispietato giogo
che sopra i piú soggetti è piú feroce.

Miserere del mio non degno affanno;
reduci i pensier' vaghi a miglior luogo;
ramenta lor come oggi fusti in croce.


63

Volgendo gli occhi al mio novo colore
che fa di morte rimembrar la gente,
pietà vi mosse; onde, benignamente
salutando, teneste in vita il core.

La fraile vita, ch'ancor meco alberga,
fu de' begli occhi vostri aperto dono,
et de la voce angelica soave.
Da lor conosco l'esser ov'io sono:

ché, come suol pigro animal per verga,
cosí destaro in me l'anima grave.
Del mio cor, donna, l'una et l'altra chiave

avete in mano; et di ciò son contento,
presto di navigare a ciascun vento,
ch'ogni cosa da voi m'è dolce honore.


64

Se voi poteste per turbati segni,
per chinar gli occhi, o per piegar la testa,
o per esser piú d'altra al fuggir presta,
torcendo 'l viso a' preghi honesti et degni,

uscir già mai, over per altri ingegni,
del petto ove dal primo lauro innesta
Amor piú rami, i' direi ben che questa
fosse giusta cagione a' vostri sdegni:

ché gentil pianta in arido terreno
par che si disconvenga, et però lieta
naturalmente quindi si diparte;

ma poi vostro destino a voi pur vieta
l'esser altrove, provedete almeno
di non star sempre in odïosa parte.


65

Lasso, che mal accorto fui da prima
nel giorno ch'a ferir mi venne Amore,
ch'a passo a passo è poi fatto signore
de la mia vita, et posto in su la cima.

Io non credea per forza di sua lima
che punto di fermezza o di valore
mancasse mai ne l'indurato core;
ma cosí va, chi sopra 'l ver s'estima.

Da ora inanzi ogni difesa è tarda,
altra che di provar s'assai o poco
questi preghi mortali Amore sguarda.

Non prego già, né puote aver piú loco,
che mesuratamente il mio cor arda,
ma che sua parte abbia costei del foco.


66

L'aere gravato, et l'importuna nebbia
compressa intorno da rabbiosi vènti
tosto conven che si converta in pioggia;
et già son quasi di cristallo i fiumi,
e 'n vece de l'erbetta per le valli
non se ved'altro che pruine et ghiaccio.

Et io nel cor via piú freddo che ghiaccio
ò di gravi pensier' tal una nebbia,
qual si leva talor di queste valli,
serrate incontra agli amorosi vènti,
et circundate di stagnanti fiumi,
quando cade dal ciel piú lenta pioggia.

In picciol tempo passa ogni gran pioggia,
e 'l caldo fa sparir le nevi e 'l ghiaccio,
di che vanno superbi in vista i fiumi;
né mai nascose il ciel sí folta nebbia
che sopragiunta dal furor d'i vènti
non fugisse dai poggi et da le valli.

Ma, lasso, a me non val fiorir de valli,
anzi piango al sereno et a la pioggia
et a' gelati et a' soavi vènti:
ch'allor fia un dí madonna senza 'l ghiaccio
dentro, et di for senza l'usata nebbia,
ch'i' vedrò secco il mare, e' laghi, e i fiumi.

Mentre ch'al mar descenderanno i fiumi
et le fiere ameranno ombrose valli,
fia dinanzi a' begli occhi quella nebbia
che fa nascer d'i miei continua pioggia,
et nel bel petto l'indurato ghiaccio
che trâ del mio sí dolorosi vènti.

Ben debbo io perdonare a tutti vènti,
per amor d'un che 'n mezzo di duo fiumi
mi chiuse tra 'l bel verde e 'l dolce ghiaccio,
tal ch'i' depinsi poi per mille valli
l'ombra ov'io fui, ché né calor né pioggia
né suon curava di spezzata nebbia.

Ma non fuggío già mai nebbia per vènti,
come quel dí, né mai fiumi per pioggia,
né ghiaccio quando 'l sole apre le valli.


67

Del mar Tirreno a la sinistra riva,
dove rotte dal vento piangon l'onde,
súbito vidi quella altera fronde
di cui conven che 'n tante carte scriva.

Amor, che dentro a l'anima bolliva,
per rimembranza de le treccie bionde
mi spinse, onde in un rio che l'erba asconde
caddi, non già come persona viva.

Solo ov'io era tra boschetti et colli
vergogna ebbi di me, ch'al cor gentile
basta ben tanto, et altro spron non volli.

Piacemi almen d'aver cangiato stile
da gli occhi a' pie', se del lor esser molli
gli altri asciugasse un piú cortese aprile.


68

L'aspetto sacro de la terra vostra
mi fa del mal passato tragger guai,
gridando: Sta' su, misero, che fai?;
et la via de salir al ciel mi mostra.

Ma con questo pensier un altro giostra,
et dice a me: Perché fuggendo vai?
se ti rimembra, il tempo passa omai
di tornar a veder la donna nostra.

I' che 'l suo ragionar intendo, allora
m'agghiaccio dentro, in guisa d'uom ch'ascolta
novella che di súbito l'accora.

Poi torna il primo, et questo dà la volta:
qual vincerà, non so; ma 'nfino ad ora
combattuto ànno, et non pur una volta.


69

Ben sapeva io che natural consiglio,
Amor, contra di te già mai non valse,
tanti lacciuol', tante impromesse false,
tanto provato avea 'l tuo fiero artiglio.

Ma novamente, ond'io mi meraviglio
(diròl, come persona a cui ne calse,
e che 'l notai là sopra l'acque salse,
tra la riva toscana et l'Elba et Giglio),

i' fuggia le tue mani, et per camino,
agitandom'i vènti e 'l ciel et l'onde,
m'andava sconosciuto et pellegrino:

quando ecco i tuoi ministri, i' non so donde,
per darmi a diveder ch'al suo destino
mal chi contrasta, et mal chi si nasconde.


70

Lasso me, ch'i' non so in qual parte pieghi
la speme, ch'è tradita omai più volte:
che se non è chi con pietà m'ascolte,
perché sparger al ciel sí spessi preghi?
Ma s'egli aven ch'anchor non mi si nieghi
finir anzi 'l mio fine
queste voci meschine,
non gravi al mio signor perch'io il ripreghi
di dir libero un dí tra l'erba e i fiori:
Drez et rayson es qu'ieu ciant e 'm demori.

Ragione è ben ch'alcuna volta io canti,
però ch'ò sospirato sí gran tempo
che mai non incomincio assai per tempo
per adequar col riso i dolor' tanti.
Et s'io potesse far ch'agli occhi santi
porgesse alcun dilecto
qualche dolce mio detto,
o me beato sopra gli altri amanti!
Ma piú quand'io dirò senza mentire:
Donna mi priegha, per ch'io voglio dire.

Vaghi pensier' che cosí passo passo
scorto m'avete a ragionar tant'alto,
vedete che madonna à 'l cor di smalto,
sí forte ch'io per me dentro nol passo.
Ella non degna di mirar sí basso
che di nostre parole
curi, ché 'l ciel non vòle,
al qual pur contrastando i' son già lasso:
onde, come nel cor m'induro e n'aspro,
così nel mio parlar voglio esser aspro.

Che parlo? o dove sono? e chi m'inganna,
altri ch'io stesso e 'l desïar soverchio?
Già s'i'trascorro il ciel di cerchio in cerchio,
nessun pianeta a pianger mi condanna.
Se mortal velo il mio veder appanna,
che colpa è de le stelle,
o de le cose belle?
Meco si sta chi dí et notte m'affanna,
poi che del suo piacer mi fe' gir grave
la dolce vista e 'l bel guardo soave.

Tutte le cose, di che 'l mondo è adorno
uscïr buone de man del mastro eterno;
ma me, che cosí adentro non discerno,
abbaglia il bel che mi si mostra intorno;
et s'al vero splendor già mai ritorno,
l'occhio non po' star fermo,
cosí l'à fatto infermo
pur la sua propria colpa, et non quel giorno
ch'i' volsi inver' l'angelica beltade
nel dolce tempo de la prima etade.

Francesco Petrarca

 
 
 
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Data di creazione: 26/04/2008
 

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