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La Secchia Rapita note 10-12

Post n°1360 pubblicato il 13 Marzo 2015 da valerio.sampieri
 

La Secchia Rapita
di Alessandro Tassoni

DICHIARAZIONI DI GASPARE SALVIANI ALLA SECCHIA RAPITA

[dall'edizione del 1630, attribuite ad A. Tassoni]

CANTO DECIMO

S. 7a, v. 1.
In quel tempo s'usava questa lingua, come si può vedere dalle storie e dai versi de' litterati che fiorivano allora, assai rozzi. Ma qui il poeta picca coloro che oggidí chiamano questa 1a lingua del buon secolo, e la vorrebbero rimettere in uso; mostrando loro come riuscirebbe alla prova. Le cose cadute dall'uso è vanità il volerle sostentare. Il sale della satira è il condimento della comedia. Ma il poeta sfuggí di chiamare questa sua invenzione nuova di poetare eroisatiricomica, sapendo quanto il nome di satira sia odioso in questi tempi e sospetto .a quelli particolarmente che dominano.

S. 10a, v. 8.
Chiama gran re dell'oceano il re Cattolico per lo vasto dominio ch'egli ha nell'oceano, che è dominato da lui dalle colonne d'Ercole fin sotto il polo antartico: onde a riguardo del mare il sole nasce e tramonta ne' regni suoi.

S. 23a, v. 1.
Chiama Venere moro Libecchio, perché nasce in Mauritania il chiama cane, perché quivi i popoli vivono senza politica, e il chiama senza fede, perché gli africani hanno sempre avuto per uso il mancar di fede.

S. 24a, v. 3.
Della prigionia di Corradino di Svevia seguita ad Astura per tradimento del signore di quella terra leggi il Villani: e veramente quella terra oggidi è distrutta e tutto il territorio è diserto, che pare appunto vendetta celeste.

S. 26a, v. 8.
Chiama dea del mare Venere, perché nacque dal mare, e reina del mare la città di Napoli perché domina tutto quel mare.

S. 27a, v. 3.
Manfredi principe di Taranto e poi re di Napoli fu veramente innamorato della contessa di Caserta sua sorella. Veggansi l'istorie di Napoli e le lettere di Paulo Manuzio ove porta uno squarcio di questa istoria.
Qui alcuni hanno richiesto perché il poeta non séguiti a narrare quel che facesse Manfredi per liberare il fratello dalle mani de' Bolognesi. E non s'avveggono che il poeta finisce la favola della Secchia alla quale è obbligato, e che questa è un'altra istoria, e che seguíta la pace, il lettore dee imaginarsi o che Manfredi non facesse altro o che cominciasse un'altra guerra da sé. Neanco il Tasso descrive ciò che avvenisse d'Armida e d'Erminia dopo la presa di Gerusalemme, perché erano cose fuora della favola proposta da lui.

S. 36a, v. 2.
Napoletanamente.

S. 42a, v. 7.
Versi romaneschi.

S. 53a, v. 7.
Questa è quella sorta di ridicolo che propriamente vien chiamata da Aristotile nella Poetica: Turpitudo sine dolore, che fa nascere il riso dalle azioni: ma del riso che nasce dalle parole non ne favellò Aristotile.

S. 60a, v. 7.
Questi versi dicevano prima cosí:

né distinguendo ben dal fico il pesco,
scusavanlo col dir: gli è romanesco.

Ma fu giudicato troppo satirico e fu corretto.

S. 74a, v. 1.
Cava il ridicolo dalla cattiva pronuncia romanesca, come di sopra a ottave 42. Ma qui è contrasegno d'un personaggio noto in Roma.

S. 74a, v. 3.
Questo fu veramente fiscal di Modana, ma ne' tempi piú moderni, e scontrando una volta certi banditi, si cacò ne' calzoni di paura: ma essi nol conobbero e 'l lasciarono andare cosí merdoso: che se l'avessero conosciuto, guai a lui. - È nondimeno da avvertire che questa di Titta, come ho detto, fu veramente azione d'un romanesco; il quale vantandosi d'esser parente del papa, non voleva esser condotto prigione in Torre di Nona, ma in Castello Sant' Angelo.


CANTO UNDECIMO

S. 1a, v. 4.
La favola d'Atteone convertito in cervo da Diana è notissima a tutti

S. 4a, v. 8.
I duellisti sfuggono quanto possono il tirarsi addosso le mentite per non divenire attori.

S. 6a, v. 5.
Diceva prima poco dianzi. Ma l'autore l'ha mutato per isfuggire le dispute. Perciò che dianzi vuol dire poco prima, e alcuni tengono che sia un reiterar lo stesso. Con tutto ciò l'autore tiene che si possa reiterar l'istesso per significare un tempo assai prossimo, e dire poco poco prima e per conseguenza poco dianzi. Il Petrarca disse par dianzi, che fu quasi il medesimo.

S. 8a, v. 8.
Con certe buone coltellate levò l'insolenza a un cocchiero di Roma, che è una dell'eroiche azioni che si possano contare in quella corte, dove l'insolenza de' cocchieri, de' birri, de' barilari e de' carrattieri non può esser rappresentata con alcun superlativo.

S. 14a, v. 7.
I visi che i pittori cavano dal naturale dilettano sempre piú che gl'imaginati.

S. 17a, v. 1.
Alcuni s'hanno creduto che il poeta fingendo di burlare dica da dovero.

S. 20a, v. 1.
Inventa tutti i mezzi che possano animare un cuor vile.

S. 22a, v. 5.
Questo buon medico usa il rimedio che si suole usare con gli cavalli barberi che corrono al palio; i quali, per animarli maggiormente acciò che non abbiano da correre con timidità, si sogliono abbeverar di buon vino. Gli spiriti riscaldati dal calor del vino non istimano i pericoli o non gli conoscono.

S. 26a, v. 1.
Qui il conte poeteggia assai meglio che non fece nell'altro canto, quando non avea bevuto: perciò che qui poeteggia commosso da furor di vino, e là compone di suo natural talento. Ennio, Orazio e Torquato Tasso non sapeano comporre, se prima non avevano ben bevuto: e 'l Tasso in particulare soleva dire che la malvagia sola era quella che lo faceva comporre perfettamente.

S. 32a, v. 1.
A' veri paladini della poltroneria non bastano i rimorsi dell'onore, né la vergogna, né i rinfacciamenti degli amici, né l'ingiurie de' nemici, né l'esortazioni de' confidenti, né gli stimoli della dama, né il calore del vino; che finalmente vogliono anch'essere accompagnati da cinquanta difensori.

S. 34a, v. 8.
Questa e la salmeria del conte portatagli dietro in campo da un suo padrino parziale.

S. 41a, v. 1.
Nol poteva spedire a persona piú informata né piú diligente di me.

S. 41a, v. 5.
Intende del cavalier Cassiano del Pozzo, del principe Federico Cesi e del signor don Virginio Cesarini, famosi ingegni della loro età, come altri ancora ne fanno fede.

S. 41a, v. 8.
Il poeta ha mutato marchese, perché il primo per comparire in scena aveva promessi certi guanti d'ambra, che poi per esser cosa odorosa andarono in fumo. E realmente il luogo meritava d'essere occupato da un altro ingegno mirabile, come quello del marchese Sforza Pallavicino. E l'altro, che stimava piú due paia di guanti che l'immortalità, meritava d'esser levato da tappeto.

S. 44a, v. 7.
Gli animi vili, purché salvino la pancia, non si curano di perder l'onore.

S. 46a, v. 3.
S'andò a mettere in casa d'un cardinale suo paesano senza essere invitato, e convenne, volesse o no, ch'egli 1'alloggiasse; perciò che non bastarono né parole né fatti a farlo uscire di quella casa.

S. 46a, v. 7.
Il manuscritto dice: A quel becco del Tarco un marchesato. E veramente fu vero ch'egli da un principe greco si fece investire d'un marchesato nelle provincie del Turco, e pagò il titolo, chi dice una mano di scudi, e chi dice una dozzina di salami.

S. 51a, v. 4.
Alcuni interpretano costei per una certa spagnuola detta Dogna Maria di Ghir, che stette un tempo in Roma puttaneggiando, e mandò fallito questo eroe romanesco.

S. 57a, v. 1.
La flemma nel petto de' poltroni resiste alla collera in maniera che prima che la collera si riscaldi ci bisognano dieci guanciate. E veramente succedé un giorno che trovandosi il conte alla finestra, e passando due spagnoli, uno con la spada e l'altro prete, ed essendo la strada piena di sole, egli chiamando un suo uomo di casa, disse: Mira come questi marrani godono d'andare al sole. Gli spagnoli l'intesero: e quel dalla spada sopra la voce marrano gli diede una mentita e lo sfidò a venire a basso a duello: ma egli ridendosi di lui rispose che aveva burlato e che a Roma non si faceva quistione; e non si mosse dalla finestra, veggendo che l'uscio era chiuso.

S. 60a, v. 2.
L'intacca di que' vizii ne'quali per l'ordinario suole incorrere la plebe di Roma.

S. 61a, v. 3.
Si vituperò da se stesso: perché veramente fu vero ch'egli accusò la moglie d'adulterio, e la fece metter prigione insieme con l'adultero, ch'era persona assai vile.


CANTO DUODECIMO

S. 1a, v. 4.
Il vero testo stampato in Parigi e 'l manuscritto dell' autore dicono: E mandava indulgenze per gli altari, In Roma fu corretto per non parer che si dileggiassero le azioni d'un papa e le sue indulgenze: ma si guastò il ridicolo che cadeva a tempo.

S. 2a, v. 2
Il cardinale Ottaviano degli Ubaldini era allora vescovo di Bologna, e fu egli veramente quello che s' interpose, e che trattò la pace.

S. 4a, v. 2.
Diceva prima con un poco piú di piccante: De l'uno e l'altro esercito avocato.

S. 11a, v. 5.
Motteggia questi poeti, l'uno d'aver usato pietose per pie e l'altro d'aver usato il legno santo per la croce, facendo equivoco col legno d'lndia che guarisce il mal francese.

S. 16a, v. 3.
È trasportato da persona a persona: perciò che non fu I'Ubaldino, ma un altro dell'istesso ordine, che ne' prati di Solera andò un giorno dopo desinare a pigliar de' grilli.

S. 17a, v. 5.
Innocenzo Secondo era allor papa; ma non era già egli nemico de' Modanesi; come parve che poi si mostrasse qualche altro suo successore.

S. 18a, v. 4.
È un equivoco acuto.

S. 19a, v. 3.
Un quartaro tiene due barili, cioè la quarta parte di una botte. I saghi sono una certa composizione che si fa di mosto bollito con farina, e s'usa in molte città di Lombardia cominciando a Bologna.

S. 26a, v. 8.
Cosí fatte memorie sono veramente piuttosto fumo di gloria che gloria vera; mentre che l'altre azioni non corrispondano.

S. 40a, v. 8.
Ogn'anno veramente il giorno della festa di San Bartolomeo i Bolognesi dalle finestre del palazzo del Legato gettano in piazza un porcello cotto con altri diversi animali vivi; ma essi nondimeno dicono di farlo per altro rispetto.

S. 51a, v. 1.
Questo è cognome di famiglia antica di Padova oggidí estinta.

S. 52a, v. 7.
Parlano questi due ciascuno nel linguaggio suo naturale, ma villanesco. Sorgo in padovano significa la saggina.

S. 68a, v. 1.
Barisone da Vigonza fu il fondatore della famiglia Barisoni di Padova.

S. 79a, v. 8.
In Lombardia per Ogni Santi moltissime famiglie sono solite di mangiare un'oca, massimamente gli artigiani e la plebe.

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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