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Il Galateo (12-14)

Post n°1236 pubblicato il 21 Febbraio 2015 da valerio.sampieri
 

12.
Male fanno ancora quelli che tratto tratto si pongono a recitare i sogni loro con tanta affettione e facendone sì gran maraviglia che è uno isfinimento di cuore a sentirli; massimamente ché costoro sono per lo più tali che perduta opera sarebbe lo ascoltare qualunque s'è la loro maggior prodezza, fatta etiandio quando vegghiarono! Non si dèe adunque noiare altrui con sì vile materia come i sogni sono, spetialmente sciocchi, come l'uom gli fa generalmente. E come che io senta dire assai spesso che gli antichi savi lasciarono ne' loro libri più e più sogni scritti con alto intendimento e con molta vaghezza, non perciò si conviene a noi idioti, né al comun popolo, di ciò fare ne' suoi ragionamenti. E certo di quanti sogni io abbia mai sentito riferire (come che io a pochi soffera di dare orecchie), niuno me ne parve mai d'udire che meritasse che per lui si rompesse silentio, fuori solamente uno che ne vide il buon messer Flaminio Tomarozzo, gentiluomo romano, e non mica idiota né materiale, ma scientiato e di acuto ingegno. Al quale, dormendo egli, pareva di sedersi nella casa di un ricchissimo spetiale suo vicino, nella quale poco stante, qual che si fosse la cagione, levatosi il popolo a romore, andava ogni cosa a ruba, e chi toglieva un lattovaro e chi una confettione, e chi una cosa e chi altra, e mangiavalasi di presente; sì che in poco d'ora né ampolla né pentola né bossolo né alberello vi rimanea che vòto non fosse e rasciutto. Una guastadetta v'era assai picciola, e tutta piena di un chiarissimo liquore, il quale molti fiutarono, ma assaggiare non fu chi ne volesse. E non istette guari che egli vide venire un uomo grande di statura, antico e con venerabile aspetto, il quale, riguardando le scatole et il vasellamento dello spetial cattivello e trovando quale vòto e quale versato e la maggior parte rotto, gli venne veduto la guastadetta che io dissi: per che, postalasi a bocca, tutto quel liquore si ebbe tantosto bevuto, sì che gocciola non ve ne rimase; e dopo questo se ne uscì quindi, come gli altri avean fatto: della qual cosa pareva a m[esser] Flaminio di maravigliarsi grandemente. Per che, rivolto allo spetiale, gli addimandava: - Maestro, questi chi è? e per qual cagione sì saporitamente l'acqua della guastadetta bevve egli tutta, la quale tutti gli altri aveano rifiutata? - A cui parea che lo spetiale rispondesse: - Figliuolo, questi è messer Domenedio; e l'acqua da lui solo bevuta, e da ciascun altro, come tu vedesti, schifata e rifiutata, fu la Discretione, la quale, sì come tu puoi aver conosciuto, gli uomini non vogliono assaggiare per cosa del mondo -. Questi così fatti sogni dico io bene potersi raccontare e con molta dilettatione e frutto ascoltare, perciò che più si rassomigliano a pensiero di ben desta che a visione di addormentata mente o virtù sensitiva che dir debbiamo; ma gli altri sogni sanza forma e sanza sentimento, quali la maggior parte de' nostri pari gli fanno (perciò che i buoni e gli scientiati sono, etiandio quando dormono, migliori e più savi che i rei e che gl'idioti), si deono dimenticare e da noi insieme col sonno licentiare.

13.
E quantunque niuna cosa paia che si possa trovare più vana de' sogni, egli ce n'ha pure una ancora più di loro leggiera, e ciò sono le bugie: però che di quello che l'uomo ha veduto nel sogno pure è stato alcuna ombra e quasi un certo sentimento, ma della bugia né ombra fu mai né imagine alcuna. Per la qual cosa meno ancora si richiede tenere impacciati gli orecchi e la mente di chi ci ascolta con le bugie che co' sogni, come che queste alcuna volta siano ricevute per verità; ma a lungo andare i bugiardi non solamente non sono creduti, ma essi non sono ascoltati, sì come quelli le parole de' quali niuna sustanza hanno di sé, né più né meno come s'eglino non favellassino, ma soffiassino. E sappi che che tu troverai di molti che mentono, a niun cattivo fine tirando né di proprio loro utile, né di danno o di vergogna altrui, ma perciò che la bugia per sé piace loro, come chi bee non per sete, ma per gola del vino. Alcuni altri dicono la bugia per vanagloria di sé stessi, milantandosi e dicendo di avere le maraviglie e di essere gran baccalari. Puossi ancora mentire tacendo, cioè con gli atti e con l'opere; come tu puoi vedere che alcuni fanno, che, essendo essi di mezzana conditione o di vile, usano tanta solennità ne' modi loro e così vanno contegnosi e con sì fatta prorogativa parlano, anzi parlamentano, ponendosi a sedere pro tribunali e pavoneggiandosi, che egli è una pena mortale pure a vedergli. Et alcuni si truovano, i quali (non essendo però di roba più agiati degli altri) hanno d'intorno al collo tante collane d'oro e tante anella in dito e tanti fermagli in capo e su per li vestimenti appiccati di qua e di là, che si disdirebbe al Sire di Castiglione: le maniere de' quali sono piene di scede e di vanagloria, la quale viene da superbia, procedente da vanità; sì che queste si deono fuggire come spiacevoli e sconvenevoli cose. E sappi che in molte città - e delle migliori - non si permette per le leggi che il ricco possa gran fatto andare più splendidamente vestito che il povero, perciò che a' poveri pare di ricevere oltraggio quando altri, etiandio pure nel sembiante, dimostra sopra di loro maggioranza; sì che diligentemente è da guardarsi di non cadere in queste sciocchezze. Né dèe l'uomo di sua nobiltà né di suoi onori né di ricchezza e molto meno di senno vantarsi; né i suoi fatti o le prodezze sue o de' suoi passati molto magnificare, né ad ogni proposito annoverargli, come molti soglion fare: perciò che pare che egli in ciò significhi di volere o contendere co' circonstanti, se eglino similmente sono o presumono di essere gentili et agiati uomini e valorosi, o di soperchiarli, se eglino sono di minor conditione, e quasi rimproverar loro la loro viltà e miseria: la qual cosa dispiace indifferentemente a ciascuno. Non dèe adunque l'uomo avilirsi, né fuori di modo essaltarsi, ma più tosto è da sottrarre alcuna cosa de' suoi meriti che punto arrogervi con parole; perciò che ancora il bene, quando sia soverchio, spiace. E sappi che coloro che aviliscono sé stessi con le parole fuori di misura e rifiutano gli onori che manifestamente loro s'appartengono, mostrano in ciò maggiore superbia che coloro che queste cose, non ben bene loro dovute, usurpano. Per la qual cosa si potrebbe per aventura dire che Giotto non meritasse quelle commendationi che alcun crede per aver egli rifiutato di essere chiamato maestro, essendo egli non solo maestro, ma, sanza alcun dubbio, singular maestro, secondo quei tempi. Ora, che che egli o biasimo o loda si meritasse, certa cosa è che chi schifa quello che ciascun altro appetisce mostra che egli in ciò tutti gli altri o biasimi o disprezzi; e lo sprezzar la gloria e l'onore, che cotanto è dagli altri stimato, è un gloriarsi et onorarsi sopra tutti gli altri, con ciò sia che niuno di sano intelletto rifiuti le care cose, fuori che coloro i quali delle più care di quelle stimano avere abondanza e dovitia. Per la qual cosa né vantare ci debbiamo de' nostri beni, né farcene beffe, ché l'uno è rimproverare agli altri i loro difetti, e l'altro schernire le loro virtù; ma dèe di sé ciascuno, quanto può, tacere, o se la oportunità ci sforza a pur dir di noi alcuna cosa, piacevol costume è di dirne il vero rimessamente, come io ti dissi di sopra. E perciò coloro che si dilettano di piacere alla gente si deono astenere ad ogni poter loro da quello che molti hanno in costume di fare, i quali sì timorosamente mostrano di dire le loro openioni sopra qual si sia proposta, che egli è un morire a stento il sentirgli, massimamente se eglino sono per altro intendenti uomini e savi. - Signor, V[ostra] S[ignoria] mi perdoni se io no 'l saprò così dire: io parlerò da persona materiale come io sono e, secondo il mio poco sapere, grossamente, e son certo che la S[ignoria] V[ostra] si farà beffe di me; ma pure, per ubidirla... -; e tanto penano e tanto stentano che ogni sottilissima quistione si sarebbe diffinita con molto manco parole et in più brieve tempo: perciò che mai non ne vengono a capo. Tediosi medesimamente sono e mentono con gli atti nella conversatione et usanza loro alcuni che si mostrano infimi e vili; et essendo loro manifestamente dovuto il primo luogo et il più alto, tuttavia si pongono nell'ultimo grado; et è una fatica incomparabile a sospingerli oltra, però che tratto tratto sono rinculati a guisa di ronzino che aombri. Perché con costoro cattivo partito ha la brigata alle mani qualora si giugne ad alcuno uscio, perciò che eglino per cosa del mondo non voglion passare avanti, anzi sì attraversano e tornano indrieto, e sì con le mani e con le braccia si schermiscono e difendono che ogni terzo passo è necessario ingaggiar battaglia con esso loro e turbarne ogni sollazzo e talora la bisogna che si tratta.

14.
E perciò le cirimonie, le quali noi nominiamo, come tu odi, con vocabolo forestiero, sì come quelli che il nostrale non abbiamo, però che i nostri antichi mostra che non le conoscessero, sì che non poterono porre loro alcun nome; le cirimonie, dico, secondo il mio giudicio, poco si scostano dalle bugie e da' sogni, per la loro vanità, sì che bene le possiamo accozzare insieme et accoppiare nel nostro trattato, poiché ci è nata occasione di dirne alcuna cosa. Secondo che un buon uomo mi ha più volte mostrato, quelle solennità che i cherici usano d'intorno agli altari e negli ufficii divini e verso Dio e verso le cose sacre si chiamano propriamente cirimonie: ma, poi che gli uomini cominciaron da principio a riverire l'un l'altro con artificiosi modi, fuori del convenevole, et a chiamarsi «padroni» e «signori» fra loro, inchinandosi e storcendosi e piegandosi in segno di riverenza, e scoprendosi la testa e nominandosi con titoli isquisiti, e basciandosi le mani come se essi le avessero, a guisa di sacerdoti, sacrate, fu alcuno che, non avendo questa nuova e stolta usanza ancora nome, la chiamò «cirimonia», credo io per istratio, sì come il bere et il godere si nominano per beffa «trionfare». La quale usanza sanza alcun dubbio a noi non è originale, ma forestiera e barbara, e da poco tempo in qua, onde che sia, trapassata in Italia: la quale, misera, con le opere e con gli effetti abbassata et avilita, è cresciuta solamente et onorata nelle parole vane e ne' superflui titoli. Sono adunque le cirimonie, se noi vogliamo aver risguardo alla intention di coloro che le usano, una vana signification di onore e di riverenza verso colui a cui essi le fanno, posta ne' sembianti e nelle parole, d'intorno a' titoli et alle proferte. Dico vana, in quanto noi onoriamo in vista coloro i quali in niuna riverenza abbiamo, e talvolta gli abbiamo in dispregio; e non di meno, per non iscostarci dal costume degli altri, diciamo loro «lo Ill[ustrissi]mo signor tale» e «lo Ecc[ellentissi]mo signor cotale», e similmente ci proferiamo alle volte a tale per deditissimi servidori, che noi ameremmo di diservire più tosto che servire. Sarebbono adunque le cirimonie non solo bugie, sì come io dissi, ma etiandio sceleratezze e tradimenti; ma, perciò che queste sopra dette parole e questi titoli hanno perduto il loro vigore, e guasta, come il ferro, la tempera loro per lo continuo adoperarli che noi facciamo, non si dèe aver di loro quella sottile consideratione che si ha delle altre parole, né con quel rigore intenderle. E che ciò sia vero lo dimostra manifestamente quello che tutto dì interviene a ciascuno, perciò che, se noi riscontriamo alcuno mai più da noi non veduto, al quale per qualche accidente ci convenga favellare, sanza altra consideratione aver de' suoi meriti, il più delle volte, per non dir poco, diciamo troppo, e chiamiamolo gentiluomo e signore a tal ora che egli sarà calzolaio o barbieri, solo che egli sia alquanto in arnese. E sì come anticamente si solevano avere i titoli determinati e distinti per privilegio del Papa o dello 'mperadore (i quai titoli tacer non si potevano sanza oltraggio et ingiuria del privilegiato, né per lo contrario attribuire sanza scherno a chi non avea quel cotal privilegio), così oggidì si deono più liberalmente usare i detti titoli e le altre significationi d'onore a' titoli somiglianti, perciò che l'usanza, troppo possente signore, ne ha largamente gli uomini del nostro tempo privilegiati. Questa usanza adunque, così di fuori bella et appariscente, è di dentro del tutto vana, e consiste in sembianti sanza effetto et in parole sanza significato, ma non pertanto a noi non è lecito di mutarla: anzi, siamo astretti, poiché ella non è peccato nostro, ma del secolo, di secondarla; ma vuolsi ciò fare discretamente.

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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