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Il Meo Patacca 04-2

Post n°1235 pubblicato il 21 Febbraio 2015 da valerio.sampieri
 

"Il Meo Patacca, ovvero Roma in feste ne i trionfi di Vienna" di Giuseppe Berneri

Titolo completo e frontespizio: Il Meo Patacca ovvero Roma in Feste ne i Trionfi di Vienna. Poema Giocoso nel Linguaggio Romanesco di Giuseppe Berneri Romano Accademico Infecondo.
Dedicato all'Illustriss. et Eccellentiss. Sig. il Sig. D. Clemente Domenico Rospigliosi. In Roma, per Marc'Antonio & Orazio Campana MDCXCV. Con licenza de' Superiori.

Stando su 'sto penzier, tonto rimane,
Non sa che far, non si risolve intanto,
Fa giusto come quanno vede un cane
Il tozzo in terra, et il bastone accanto;
Ha voglia d'addentallo, e non lo fane
Perchè le botte non vorria fra tanto;
Si stenne, si trattiè, non s'assicura,
Contrastano la fame, e la paura.

Così fa Marco Pepe; Amor l'invita,
A far con MEO da bravo, e disfidano,
Ma quel mettere a risico la vita,
Gli fa venì el penziero di non fallo:
"Eccola - dice poi - bella e fornita,
'Sto ferro, al par d'ogn'un so maneggiallo,
E se a spadaccinà tra noi si viene,
Gli darò a fè da pettinà assai bene".

Ma prima de fa' sciarra, e venì al quia
Lo vuò sapè lo vuò se veramente
'Sta disfida penzier di Nuccia sia,
O se la griscia l'ha impicciata gnente.
Alla fin poi dice a Calfurnia: "Oh via!
La voglio fa' la voglio da valente:
Ciamerò Meo nel campo, ma con questo,
Ch'io me pozza servì d'altro pretesto.

Se lo vò a disfida perchè ha sparlato
Di Nuccia, e dice lui che non è vero,
E incoccia, in tel negà quello ch'è stato,
Resto in asso, e va a monte el mi' penziero;
Però un riggiro ho già riccapezzato,
Che se vuò fa' da giovane guerriero,
Come si vanta, co' 'sti su' sgherretti,
Bignerà certo, ch'il duello accetti".

"Voi, signor Pepe, a fè' dite benissimo,
Penzar male, assai ben, credo, che sia",
Gli risponne Calfurnia. "Et è verissimo,
Che MEO, quel che dice, negar potria.
Certo, che s'a 'sto risico venissimo,
La sfida a spasso subbito andaria.
Orsù, non vi bisogna el mio conseglio:
Fate pur quello, che vi pare meglio".

Così d'accordo tutti due rimasero,
E poi subitamente si divisero;
Presto presto vede' si persuasero
Steso giù freddo di vedè quel misero.
A più potè le cirimonie spasero,
E in tel partire tra di lor sorrisero;
Li saluti a vicenna allor si resero,
Et un gran che, già fatto haver, si cresero.

Intanto Marco Pepe assai galoppa,
E se in tel viaggio in chalche amico incappa,
Pe' non s'intrattenè volta la groppa,
Dall'incontro di lui subbito scappa;
Vuò annà a sapè, s'allor che Meo s'accoppa,
Ci ha gusto Nuccia, o se la vecchia sfrappa,
E se 'sta verità da lei non scippa
A PATACCA sbuscià non vuò la trippa.

Alla casa arrivato, ecco la vede
Butta dalla finestra la monnezza,
Allor per accostarzi apprescia el piede,
E la fa' da par suo 'sta bona pezza.
Raschia un tantino, fin che lei s'avvede
Ch'è lui questo, che passa e con destrezza
Guardanno in su, ma senza salutarla,
Sotto voce, in passà, così glie parla.

"Schiavo suo, gnora Nuccia! Se volete
Vi servo adesso adesso, e di bon core
In quel negozio, che voi già sapete".
Lei dice: "Sarà questo un gran favore".
(Co' 'ste poche parole, e assai segrete
Fornì la cosa senza fa' rumore),
Lei si levò, lui seguitò el camino,
E non se n'accorgè nisciun vicino.

Allor si, che fa cor da Lionfante
Marco Pepe, ch'in fatti si ciarisce.
Che Nuccia già scortese, hora è galante,
Mentre dice che lui la favorisce:
Va Patacca a trovà tutto brillante
Et a fagli la sfida s'ammannisce.
Se di sbusciallo gli riesce a caso,
Chi la punta toccà gli vuò del naso?.

Con camminata poi da squarcioncello,
Va penzanno tra sè le smargiassate,
Che intenne fa', quanno sarà in duello:
Prova col braccio di tirà stoccate.
Chi l'osserva, lo crede un mattarello,
E ne fa solennissime risate.
Allor lui se n'astiè, ma quanno stima
Non esser visto, peggio fa di prima.

Co' 'ste su' sciornarie, bel bello arriva
Alla casa di MEO, di dove ancora,
Di tanto in tanto calche sgherro usciva,
E d'annarsene su non vede l'hora.
Sale, saluta Meo, perchè lo scriva
Solo fa istanza, e gnente più l'onora.
Lui dice: "Adesso, adesso", e perchè tarda,
Pepe s'imposta, e burboro lo guarda.

Doppo che Meo Patacca ogn'un ha scritto
Di quei, che prima vennero, si volta,
Verso costui; ma perchè sa ch'è un guitto.
Mal volentiere le sue istanze ascolta;
Si ricorda assai ben, ch'in un conflitto,
Che si fece in Trastevere una volta,
Pe' fa' da bravo, innanzi a ogn'un si caccia,
Fu poi tra tutti il primo a voltà faccia.

Perchè non habbia da resà affrontato,
Se be' gusto non ci ha, puro l'accetta.
Vuò sapè, chi dei dieci l'ha impegnato,
Perchè sotto al commanno glie lo metta,
Lui gli dice: "Fanello m'ha pregato,
Ch'io de fa' scialo in guerra gl'imprometta".
Rispose allora MEO: "Te scrivo adesso
In te la squatra del Fanello istesso".

Qui Marco Pepe: "Piano patron mio,
De grazia co' 'sto scrivere, bel bello:
Intennemoci prima, non venn'io
Mica pe' guerreggià sotto a Fanello!
Chalche malanno a fè', che glie l'avvio
A chi me vuò tratta da soldatello:
Credevo, ma 'l contrario me succede,
Che ce fusse altro modo de procede".

Ecco il pretesto, che penzò costui
De mette in campo, pe' sfida Patacca;
Stupido questo ali or si volta a lui,
E l'occhiate da dosso non gli stacca.
Seguita Marco Pepe: "Io gonzo fui,
A veni' a corteggià gente vigliacca.
Stanno a vede, la testa io ce deposito,
Ch'oggi me bigna fa' calche sproposito".

Tanta stizza non ha, nè si' feroce
El toro, che scappò, muggir si sente
Quanno un mastin fa di lui strazio atroce,
Ch'in tell'orecchio ha conficcato el dente,
Quanto s'arrabbia MEO, ch'alza la voce,
Nè alle mosse può sta' coll'inzolente,
Che se fa' tanta puzza e sverniarìa,
Gli sa el capo lavà senza liscìa.

"Cos'è 'sto sbravicchià? Che se pretenne?
Se parla chiaro, e non si vie' co' rascia;
C'è qui chi la pariglia te po' renne,
Però invano da te tanto se sbrascia.
Di' puro il fatto tuo, c'è chi t'intenne,
Che mica hai da tratta con gente pascia".
Chi te la gratterà, dillo bisogna,
Tu trovarai, se vai cercanno rogna".

"Me la gratti chi pò! Chè non ce prova
Calch'uno con nostrisci? ", sbravicchianno
Esclamò l'altro. "A fè', che me ce trova,
Chi me va gnente gnente stuzzicanno.
Io sott'altri nel campo? O ve' che nova!
Io voglio in guerra, e l'haverò il commanno,
E tu stesso sarai, te lo dich'io,
Prima d'ogn'altro, soldatello mio".

"Puff! Una palla!", co' 'sta smorfia in faccia
MEO gli risponne, in tel sentirne tante:
"Vai proprio vai de i tu' malanni a caccia,
Nel volerti mostra così rugante!
O che bel suggettin de carta straccia,
Che vuò fa' sopra l'altri el commannante!
Eh vatte a inzala, che co' 'ste pastocchie
Capitanio sarai delle ranocchie".

Marco Pepe, che va, come suol dirzi,
Col moccolo cercanno de fa' chiasso,
Pe' dimostrà c'ha petto a risentirzi,
Una risposta dette da smargiasso:
"Ch'a te s'habbia 'sto fusto a preferirzi
Come nega me vuoi? se manco un passo
Desti mai for di Roma, e ben sai tu,
Ch'io so' stato alla guerra un anno e più".

"Fa pur conto, ch'un tasto m'hai toccato,
Da potè ben sonattela assai presto",
Disse MEO. "Già me l'ero imaginato,
Ma il solo modo di ciaritte è questo:
In guerra, è vero si, che ce sei stato,
Ma non te vergognà de dire il resto,
Tu, ch'adesso ti spacci un Paladino,
Ch'in guerra solo hai fatto el tamburrino".

"Oh, sfògate così, dì quel che vuoi",
L'altro rispose. "Men di me, ne sai:
Io almen, so cos'è guerra, ma non pòi
Tu dir così, se non l'hai vista mai.
Hor non ci vònno chiacchiare. Su, a noi'!
A duello io te sfido, e vederai,
Se te viè fatta, o te riesce buscia,
Se il tamburrino poi le panze sbuscia.

S'addropà vuoi la fionna, o la saracca
Fa' puro a modo tuo, capa te tocca".
Prima lo guarda tutto, e poi PATACCA
Te gli fa 'na risata a piena bocca.
"L'invito accetto, - disse, - e chi si smacca
Sarà su' danno, ch'a 'sta gente sciocca,
Allor, ch'allo sproposito si picca,
Fà quel che fatto và, chi glie la ficca.

S'incominzi el duello co' la fionna,
Si faccia poi si faccia lama fora;
Alla prima baruffa, o alla seconna,
S'ha da vedè, se chi ce resta allora.
Se c'è difficoltà, me si risponna,
Che tempo io non te dò, se non d'un'hora.
Non ce voglio Secondo, nè Patrino,
E il campo, appunto, sia Campo Vaccino".

"Io ci acconsento, - subbito rispose
Marco Pepe, - e tra un'hora, là me pianto.
Verrò solo a combatte, ma du' cose
Bigna tra noi bigna accordà fratanto:
La prima, che perzone numerose
Stieno a vedè, pe' dà a chi vince el vanto;
L'altra, che s'habbia a sbaraglià la vita,
E che la nostra sia guerra finita".

"Propio m'inviti a nozze! Altro non voglio,
Che fatte vede, chi di noi si sbaglia",
Dice PATACCA. "'Sto tu' gran orgoglio
Sfumerà, come fa' foco de paglia.
Rescirai presto rescirai d'imbroglio,
Ma senti, non portà giacco, nè maglia,
Ch'il valor solo ha da servì de scudo;
Però vedè si faccia el petto ignudo",

"Forzi te credi, ch'un cialtrone io sia
Da tene el pettorale foderato",
Lui disse. "Io non farò 'sta guittaria,
Che me picco de giovane onorato:
Ma tempo è già de sbattesela via,
Viettene puro, dove s'è appuntato,
E ch'io te dica, non te para strano,
Che venghi a fa' sbusciatte el cordovano".

Così pien d'albascìa pigliò lo spiccio
Colui, che pare Orlando alle parole;
Ma in realtà d'havè calche stropiccio,
Ha paccheta assai granne, e se ne dole.
Ma in un certo riggiro, in cert'impiccio
Si fida sol, che pratica lui sole,
Quanno vede il nemico, ch'è assai forte,
Quanto gli basta de scampà la morte.

Per questo MEO, che sà quanto lui pesca,
E che nel fa da spadaccino è un frasca,
Non vuò che chalche astuzia gli riesca,
E che ingiaccato sia non gli ricasca.
Però gli disse, ch'a duellà non s'esca,
S'a ogn'uno el petto nudo non s'ammasca.
Vuò, che così la lite si fornisca,
E chi meno ne sa, quello sbiascisca.

Taffia un boccone alla disdossa, e in fretta,
Perchè di già l'hora del pranzo è andata,
Et è un gran pezzo ancor, se danno retta
A tanti, consumò mezza giornata.
Ma tempo è già, ch'in ordine si metta,
Mentre de fa' gli bigna 'sta sgherrata;
Ma qual'il modo sia del su' vestire,
Quanno il campo sarà, lo serbo a dire.

S'avvia fratanto, e va penzanno MEO,
E quanto penza più, più gli dispiace,
Ch'un tozzola tamburri, uno sciotèo
Sia de fa 'sto proposito capace.
Che con valor gigante, un cor pigmèo
Se la voglia piglià, non si dà pace;
Ma si consola, e più non si querela,
Perchè vedè glie la farà in cannela.

Arriva al campo, e fa' 'na spasseggiata,
Da capo a piedi, e tutto si rincora,
Mentre, ch'intorno da più d'un'occhiata,
Ch'il su' nemico, non si vede ancora.
Già gli pare d'havegliela sonata,
In tel venì prima che passi un'hora;
Va da due bottegari, e li richiede,
Che dell'arrivo suo faccino fede.

 
 
 
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