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Della Casa 12: sonetti

Post n°1184 pubblicato il 02 Febbraio 2015 da valerio.sampieri
 

LVI

Or pompa e ostro, e or fontana ed elce
cercando, a vespro addutta ho la mia luce
senza alcun pro, pur come loglio o felce
sventurata, che frutto non produce.

E bene il cor, del vaneggiar mio duce,
vie più sfavilla che percossa selce,
sì torbido lo spirto riconduce
a chi sì puro in guardia e chiaro dielce,

misero; e degno è ben ch'ei frema e arda,
poi che 'n sua preziosa e nobil merce
non ben guidata, danno e duol raccoglie.

Né per Borea giamai di queste querce,
come tremo io, tremar l'orride foglie:
sì temo ch'ogni amenda omai sia tarda.

Le Rime secondo la stampa del 1558
Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 52 (pag. 27)
Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 318

Note:
Ritorna ai sentimenti espressi nel sonetto antecedente; ma non si sa a chi diretto, e forse a nessuno.
(Carrer, cit., pag. 311)



LVII

Doglia, che vaga donna al cor n'apporte
piagandol co' begli occhi, amare strida
e lungo pianto, e non di Creta e d'Ida
dittamo, signor mio, vien che conforte.

Fuggite Amor: quegli è ver' lui più forte
che men s'arrischia ov'egli a guerra sfida;
colà 've dolce parli, o dolce rida
bella donna, ivi presso è pianto e morte.

Però che gli occhi alletta e 'l cor recide
donna gentil che dolce sguardo mova:
ahi venen novo, che piacendo ancide!

Nulla in sue carte uom saggio antica o nova
medicina have, che d'Amor n'affide:
ver' cui sol lontananza e oblio giova.

Le Rime secondo la stampa del 1558
Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 53 (pag. 27)
Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 319

Note:
Anche questo è tra quelli a cui il Garigliano diede di becco. E lungamente ne scrisse Alsssandro Guarini in una sua lezione per l'accademia degl'Invaghiti di Mantova, l'anno 1599. E nojosamente, commentando, e abborracciando citazioni melense non conchiude con certezza a chi fosse scritto il sonetto; ma il sappiamo dal Quattromani che il dice diretto a Girolamo Correggio (v. il son. LV), preso delle bellezze di Girolama Colonna da noi testè ricordata. La punteggiatura da noi seguita è quella del Bevilacqua, stranetta se vuolsi. E tutto il sonetto, con molte bellezze, ha più d'una parte da non essere intieramente lodata.
(Carrer, cit., pag. 311)



LVIII

Signor mio caro, il mondo avaro e stolto
in procurar pur nobiltade e oro
fatto è mendico e vile, e 'l bel tesoro
di gentilezza unito ha sparso e sciolto.

Già fu valore e chiaro sangue accolto
inseme, e cortesia; or è tra loro
discordia tal, ch'io ne sospiro e ploro,
secol mirando in tanto errore avolto.

E perché in te dal sangue non discorda
virtute, a te, Cristoforo, mi vòlgo,
che mi soccorra al maggior uopo mio;

e sì porterai tu Cristo oltra il rio
di caritate, colà dove il volgo
cieco portarlo più non si ricorda.

Le Rime secondo la stampa del 1558
Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 54 (pag. 28)
Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 320

Note:
Il Salvini lo dice scritto a Cristoforo Madruzio, vescovo e principe di Trento. Pare al Quattromani, che sia dei men belli del Casa, ma forse ch' egli s'inganna.
V. 12-13. Qui i commentatori son muti,o parlano ciò che non fa al caso. Cristoforo significa portatore di Cristo: di qui la tradizione che il santo di questo nome portasse Cristo sulle proprie spalle; e poichè patì per la fede, dicesi che portasse Cristo oltre l'acque, ossia che varcasse per amore di lui un mare d'affanni. Girolamo Vida in un suo epigramma ti dà tutto questo con eleganza di stile virgiliano. Il rio di carità può riferirsi a quello della Cantica: Aquae multae non potuerunt extinguere charitatem, nec flumina obruent illam, cap. VIII, v. 7.
(Carrer, cit., pag. 312)



LIX

Correggio, che per pro mai né per danno
discordar da te stesso non consenti,
contra il costume de le inique genti,
che le fortune adverse amar non sanno;

mentre quel ch'i' seguìa fuggir m'affanno,
e fuggol, ma con passi corti e lenti,
le due latine luci chiare ardenti,
Alessandro e Ranuccio tuoi, che fanno?

È vero che 'l cielo orni e privilegi
tuo dolce marmo sì, che Smirna e Samo
perde e Corinto, e i lor maestri egregi?

Per questa e per quei due, di quel ch'io bramo
obliar mi sovien; per tai suo pregi
Roma, che sì mi nocque, onoro e amo.

Le Rime secondo la stampa del 1558
Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 55 (pag. 28)
Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 321

Note:
A Girolamo Correggio, che fu poi cardinale. Ed è scritto a domandargli novelle di Alessandro e Ranuccio cardinali di casa Farnese. Mostra di aver Roma nel cuore, tuttochè in altri versi se ne chiami dimenticato. Pensando però meglio al sesto verso, parrebbemi che volesse parlare con galanteria delle sue fiamme ancor vive per Girolama Colonna, la leggiadra Colonnese del son. LI. A ciò allude il dolce marmo del decimo verso, che pare al Quattromani vaghezza poetica; ed io direi freddura di brutta stampa, benchè molto in uso a quel tempo. E quasi fossero poche le freddure palesi, ce ne aggiunge un'altra del proprio Mario Colonna, dicendo con acume di commentatore, che il Correggio del primo verso s'intenda come fosse Cor regio; e malmena l' ortografia per far grazia allo scherzo.
(Carrer, cit., pag. 312)



LX

S'egli averrà, che quel ch'io scrivo o detto
con tanto studio, e già scritto il distorno
assai sovente, e come io so l'adorno
pensoso in mio selvaggio ermo ricetto,

da le genti talor cantato o letto,
dopo la morte mia viva alcun giorno,
bene udirà del nostro mar l'un corno
e l'altro, Rota, il gentil vostro affetto,

che 'l suo proprio tesoro in altri apprezza,
e quel che tutto a voi solo conviene
per onorarne me, divide e spezza.

Mio dever già gran tempo a le tirrene
onde mi chiama; e or di voi vaghezza
mi sprona: ahi, posi omai chi mi ritiene!

Le Rime secondo la stampa del 1558
Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 56 (pag. 29)
Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 322

Note:
A Bernardino Rota, ed è risposta a un sonetto di lui che incomincia: Parte dal suo natio povero tetto. Vedi circa al Rota, a pag.227, la nostra raccolta, e le note a quel luogo. È professione poetica del suo modo di comporre, e insieme ammaestramento ai Luca fa presto. Riporrei questo sonetto fra' più belli del Casa; e notabile, oltre al resto, mi sembra il passare dagli studj alle affezioni proprie, come si vede chiaro nell'ultima terzina. Nelle Tirrene onde v'è allusione alla sede arcivescovile di Benevento, e chi ritenesse Monsignore per la falda del rocchetto non è forse "scuro" per altri che pel Salvini, se già questo valentuomo non volle esser cieco a disegno.
(Carrer, cit., pag. 313)

 
 
 
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