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Mariotto Davanzati 21-25

Post n°1163 pubblicato il 31 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
 

XXI

Se non hai, o non sai, altr'arme usare,
Amor, di più tentarmi omai rimanti,
ché negli più fedel suggetti amanti
usi sempre ira e crudeltà mostrare.

Chi 'n te no spera o tem, né vuole amare,
e di scacciarti par che si millanti,
lusinghi, prieghi e t'inginocchi avanti,
per tua e nostra ispoglia in preda dare.

Ond'io non so se stral d'oro o di piombo
saetti o serbi, o che faretra o arco,
o chi governi o tenga esto tuo stato;

ma 'mbendato se' pinto, e getti a prombo:
però d'ogni tuo peso or mi discarco,
cercando el mio signor, se m'è più grato.


XXII

L'ira di Dio sopra 'l mie capo caggia
s'i' 'l feci, o dissi oppure unque el pensai,
Tesifone e Megera e' tristi lai
caggino in me, ed Antropos selvaggia

tronchi l'acervo filo, e Cloto traggia
la 'nconocchiata rocca e' lunghi guai,
s'i' dissi o feci cosa, per che mai
cotanta nimistà fra noi accaggia.

Ma se sanza cagion l'ira e gli sdegni
e' velenosi crucci sono apparsi
nell'animo gentil cu' io tant'amo,

i' priego el sole e la suo stella e' segni,
gli alti pianeti, che costringa a farsi
piatosi gli occhi, ch'i' disio e bramo.


XXIII

Il fiero sguardo e 'l non dovuto sdegno,
che madonna ver me ha sempre usato,
son cagion che sì spesso in questo lato
con voi, driadi e fauni, a pianger vegno.

Voi, che vedete el mio esilio indegno
e a che morte Amor m'ha condannato,
fatel sentire a chi cagion n'è stato
per Ecco, abitator del vostro regno.

Fate che le discopra il pianto e 'l foco,
gl'infiniti sospiri e 'l crudo scempio,
ch'arien forza di far pietoso Silla.

E ben che in lei piatà non abbia loco,
forse che nel suo cor gelato e empio
s'accenderà d'amor qualche favilla.


XXIV

Tanta alta groria spesso al cor m'accende
l'esser da sì begli occhi preso e morto,
che nel nostro vïaggio ombroso e corto
non so s'alcun giammai maggior la prende.

Allor l'alma s'adira e mi riprende
di mia doglienza e porgene conforto,
dicendo: «Or puo' tu ben vedere scorto
quanta superna grazia in te discende;

ché fra cotanto numer di mortali,
dopo sì lunga età, n'ha dato il cielo
questa sola fenice del suo regno.

Ella già da volar t'ha dato l'ali
per seguir lei, e tolto agli occhi il velo,
che già ti fé d'etterna vita indegno.


XXV

Io vidi in mezzo di vermiglio e bianco
campeggiar perla coronata d'oro,
data per sorte a noi dal sommo coro,
per mostrar quel che non si vide unquanco,

mirabil sì che 'n vista verrie manco
ciascuno occhio aquileo, e al lavoro
sarebbe il nostro Giotto ignoto e soro,
e la natura avrebbe il corso stanco.

D'essa surgevan due fulgide stelle
e una melodia tanto soave
che ne stupiva il ciel, non che la plebe.

Più riverenti note, né più belle,
fece quel messo ch'a Maria disse: «Ave» ;
non dico Orfeo o quel che chiuse Tebe.

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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