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Il Dittamondo (2-16)

Post n°843 pubblicato il 17 Dicembre 2014 da valerio.sampieri
 

Il Dittamondo
di Fazio degli Uberti
LIBRO SECONDO

CAPITOLO XVI

Qui di Giustinian segue ch’i’ debbia 
trattare, il quale Agabito ridusse 
a luce fuor d’ogni eretica nebbia. 
Per costui piacque al sommo Ben ch’io fusse 
alquanto ristorata de’ miei danni, 5 
quando il buon Bellisan con lui produsse, 
lo qual con molti, lunghi e gravi affanni, 
Africa, Persia e Alemagna mise, 
Francia e Cicilia, di sotto ai miei vanni. 
E fu Narseto ancora, il quale uccise 10 
Totila e scampò me del grande assedio, 
dove la fame quasi mi conquise, 
e fe’ morire, dopo lungo tedio, 
Amingo; e Vindino tenne preso; 
poi contro a Buccellin fu mio rimedio. 15 
Ora, se il parlar breve hai ben compreso, 
intender puoi che per Giustiniano 
in parte il mio fu riscosso e difeso. 
Costui ridusse in bel volume e piano 
la legge, com’è il Codico e ’l Digesto, 20 
e strusse quanto in essa parea vano. 
Ancora vo’ che ti sia manifesto 
che per Italia fu sí crudel fame, 
ch’impossibil ti fie a creder questo: 
che io vidi le madri in tante brame, 25 
che gustavan la carne de’ lor figli, 
sempre piangendo lor dolenti e grame. 
Otto anni e trenta governò gli artigli 
a l’uccel mio, il becco, l’ali e ’l busto, 
e trasse me piú volte de’ perigli. 30 
E tanto fu prudente, forte e giusto, 
ch’ancora il piango, sí di lui m’increbbe. 
Giustin minor del mio rimase Augusto. 
Lo mal consiglio de la donna ch’ebbe 
condusse allor Narseto a ordire cosa, 35 
che apresso per mio danno molto crebbe. 
Non molto poi Rosimonda, sposa 
d’Albuin re, per lo soperchio sdegno 
morir fe’ lui e fuggissi nascosa. 
La fine sua, partita dal suo regno, 40 
sannola i Ravignani e io in parte, 
ch’essa morio per suo malvagio ingegno. 
Bello è saper chi fu e di qual parte 
Albuin venne e udire la cagione, 
secondo che n’è scritto in molte carte; 45 
chi fu Ibor e chi fu Agione, 
chi fu Gambara e poi come nel fiume 
Agismondo trovò Lamissione. 
E bel ti fie veder questo volume 
per Teodolinda, ch’al Battista in Moncia, 50 
com’ancor pare, fece onore e lume. 
Ma se costei fu buona a oncia a oncia, 
di Romilda, se leggi le novelle, 
nel contrario saprai quanto fu sconcia. 
Due figlie ebbe la trista molto belle, 55 
che, per fuggir vergogna, si pensaro 
coprir di carne morta le mammelle. 
E se de’ corpi lor l’onor guardaro, 
per la gran loda, e come piacque a Dio, 
dov’era crudeltá pietá trovaro. 60 
In questo tempo ragionare udio 
come l’Ermino ne la fe’ di Cristo 
multiplicava e cresceva il disio. 
Con buona pace e con perfetto acquisto 
sarei vissuta al tempo di Giustino, 65 
non fosse stato il mal consiglio e tristo. 
Undici anni il mio tenne al suo dimino; 
poi per Tiberio governar lo vidi 
acceso e caldo ne l’amor divino. 
Or perché sempre nel ben far ti fidi 70 
e propio aver compassion del povero, 
questo miracol fa che in te s’annidi. 
Costui, ch’a tutti fu padre e ricovero, 
trovò tre croci e di sotto da esse, 
come Dio volle, tesor senza novero. 75 
Sette anni il mio governò e resse 
e certo questo tempo mi fu poco, 
sí mi piacea ch’ancora piú vivesse. 
Mauricio poi venti anni tenne il loco 
e al suo tempo funno fiumi e laghi 80 
tai, per Italia, che non parve gioco. 
Bestie, serpi, serpenti e morti draghi 
al Tever portar vidi; e fu in Verona 
l’Adige tal, ch’assai vi fun gli smaghi. 
Questo signor, del quale si ragiona, 85 
facendo guerra e non pagando i suoi, 
per cotal fallo perdé la persona. 
Assai di cosí fatti nomar puoi, 
che, per tener soldati e non pagare, 
sono iti male e propio ne’ dí tuoi. 90 
Ahi, quanto ancor mi duole a ricordare 
i grandi e belli e sottili intagli 
i quai Gregorio allor mi fe’ disfare! 
E duolmi ancor che con lunghi travagli 
erano compilati piú volumi 
dei miei figliuoli e di miei ammiragli, 
ne’ quali il bel parlare e i bei costumi 
e l’ordine de l’armi eran compresi 
sí ben, ch’a molti, udendo, facean lumi, 
che la piú parte fun distrutti e lesi 100 
per questo Papa; e se ’l pensier fu bono 
non so; ma pur di ciò gran doglia presi. 
Cosí da Cristo in qua venuta sono, 
parlando teco, in fine a secento anni, 
abbreviando ciò ch’io ti ragiono 105 
per te ch’ascolti e perch’io men m’affanni.

 
 
 
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