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Terze Rime 23-24

Post n°830 pubblicato il 15 Dicembre 2014 da valerio.sampieri
 

Terze Rime di Veronica Franco
Addelkader Salza, Bari, Laterza 1913

XXIII

Della signora Veronica Franca

[Oltraggiata da un vile, in sua assenza, chiede consiglio ad un uomo d'arme, esperto delle questioni d'onore, per vendicarsi, com'è suo diritto.]


Lungamente in gran dubbio sono stata

di quel che far a me s'appartenea,
da un certo uomo indiscreto provocata.
Nel pensier vane cose rivolgea
del far e del non far la mia vendetta,
né a qual partito accostarmi sapea;
alfin, la propria mia ragion negletta,
che 'l buon camin non sa prender né puote,
da la soverchia passion costretta,
vengo a voi per consiglio, a cui son note
le forme del duello e de l'onore,
per cui s'uccide il mondo e si percuote.
A voi, che guerrier sète di valore,
e, ch'oltre a l'esser de la guerra esperto,
vostra mercede, mi portate amore,
per consiglio ricorro; e ben m'accerto
che mi sareste ancor non men d'aita,
per grazia vostra più che per mio merto.
Ma io non voglio a quel, dove m'invita
de la vendetta il gran desio, voltarmi,
benché la via mi sia piana e spedita:
voglio, prima ch'io venga al trar de l'armi,
il mio parer communicar con voi,
e con voi primamente consigliarmi;
e, se determinato fia tra noi
che con gli effetti io debba risentirmi,
non sarò pigra a pigliar l'armi poi.
Ma saria forse un espresso avvilirmi,
far soggetto capace del mio sdegno
chi non merta in pensier pur mai venirmi:
un uom da nulla, e non sol vile, e indegno
che da seder si mova a lui pensando
qualunque ancor che pigro e rozzo ingegno.
E pur d'ira m'infiammo, rimembrando
la villania da lui fatta a se stesso,
di doverla a me far forse stimando.
Inescusabil fallo vien commesso
da chi dice d'alcun mal in sua assenza,
s'anco ver sia quel che vien detto espresso;
perché in ciò l'uom dimostra gran temenza,
e par che 'n quella vece non ardisca
dir il medesmo ne l'altrui presenza.
Ma poi, se di menzogne si fornisca
e, nel contaminar l'onore altrui,
con frode e infamia contra 'l ver supplisca,
ben certamente merita costui
cancellarsi del libro de' viventi,
sì che 'l suo nome ad un pèra con lui.
Oh, se le rane avesser unghia e denti,
come sarian se drittamente addocchio,
talor più de' leon fiere e mordenti!
Ma poi, per gracidar d'alcun ranocchio,
di gir non lascia a ber l'asino al fosso,
anzi drizza a quel suon l'orecchio e l'occhio.
Se un ser grillo, a dir mal per uso mosso,
de la sua buca standosi al riparo,
m'ha biasmato in mia assenzia, io che ne posso?
E se, tratte a quel suon, quivi n'andáro
molte vespe e tafani, e per tenore
di quel suon roco in compagnia ruzzáro,
non patisce alcun danno in ciò 'l mio onore,
e, quanto aspetta a me, più tosto rido;
ma de l'altrui sciocchezza ho poi dolore.
D'una brutta cornacchia a l'aspro grido
trassero altri uccellacci da carogne,
e di sterco l'empiêr la strozza e 'l nido.
Quest'è proprietà de le menzogne,
che quelli ancor, che son malvagi e tristi,
versan sopra l'autor biasmi e vergogne.
Del mio avversario fùr primieri acquisti
sparger detti, in mia assenza, di me falsi,
da nulla verità coperti o misti.
Ad ira contra lui perciò non salsi;
ma m'allegrai, quando contra 'l suo dire
tacendo col mio ver chiaro prevalsi.
Ben poi via più insolente divenire
nel mio silenzio il vidi; e quasi ch'io
d'averlo fatto tale posso dire.
Ma qual era in quel caso officio mio,
se non quel dirmi mai dopo le spalle
non curar punto, da un uomo vile e rio?
Troppo al giudicio mio vien che s'avvalle
il pensier di chi segue tai diffetti,
c'hanno precipitoso e tetro il calle.
Raffrena, uom valoroso, i ciechi affetti,
e non voler opporti a ciascun'orma
de la malignitate ai falsi detti:
segui de la virtù la dritta norma,
che, di se stessa paga, agli altrui errori
generosa non guarda, e par che dorma.
Così fec'io, che, d'ogni dritto fuori
infamiata e biasmata da un uom vile,
mi confortai co' miei pensier migliori:
e farei più che mai ora il simìle,
se per la mia pazienzia quel villano
non discendesse a via peggiore stile.
Ma con armata e minacciosa mano
m'importuna, e mi sfida, e quasi sforza
il pensier di star queta a render vano.
Con l'acqua alfin ogni foco si smorza:
così la costui rabbia e l'arroganza
a quel ch'io men vorrei mi spinge a forza.
So ch'egli per natura e per usanza
è pessimo e vilissimo a volere
pugnar con una donna, di possanza.
E quasi che non porta anco il devere,
ch'al provocar de l'armi io gli risponda,
non usa il ferro ignudo in man tenere.
Ma tanto più d'audacia ei soprabonda,
quanto l'armi paura più si crede,
e con nuove insolenzie mi circonda.
Non so quel che in tal caso si richiede:
il parer vostro non mi sia negato,
ch'a lui son per prestar assenso e fede.
Io sono stata in procinto, da un lato,
di disfidarlo a singolar battaglia,
comunque più gli piace, in campo armato.
Ma dubitai che di piastra e di maglia
ei proponesse grave vestimento,
e ferro ehe non punge e che non taglia.
So ch'egli è un asinaccio a questo intento
d'assicurarsi contra i colpi crudi,
dove vi sia di sangue spargimento:
del resto sovra 'l dorso se gli studi,
s'altri volesse ben con un martello,
come s'usa di far sopra le incudi.
Questo m'ha messo a partito il cervello,
ch'io non vorrei con sferza o con bastone
prender a castigar un uom sì fello.
Non so se in ciò potessi con ragione
rifiutar armi non micidiali,
ma solamente a bastonarsi buone:
so ch'ei dirìa ch'a lui si denno tali,
e ch'io non debbo ricusarle, quando
d'ogni lato le cose vanno eguali.
Io sono andata a questo assai pensando,
ed ho discorso che, s'io 'l disfidassi,
da l'insultar s'andria forse arretrando:
forse ch'ei volgerebbe altrove i passi,
e meco fuggiria d'entrar in prova,
perch'ancor, col baston non l'amazzassi.
Ma s'ei temprate ha l'ossa a tutta prova
contra ogni copia di gran bastonate,
sì ch'altri a dargli stanco alfin si trova;
senz'aver le devute sue derrate,
rendermi stanca in guisa alfin potrebbe,
che l'armi avessi in mio affanno pigliate.
E poi di me qual cosa si direbbe?
Ch'io non sia buona per un uom codardo,
cui con la verga un fanciul vincerebbe:
un, che fa l'invincibile e 'l gagliardo
contra una donna, che sopporta e tace,
senza pur minacciarlo con lo sguardo.
Dunque 'l debbo lasciar seguir in pace,
e sommettermi in guisa al suo talento,
ch'egli m'offenda come più gli piace?
Quest'è strana maniera di tormento,
e tal, ch'offese a non sopportar usa,
a questa men ch'ad altra atta mi sento.
Dunque sarò da sì vil uom delusa,
senza prender vendetta in parte alcuna
di quanto egli m'offende e sì m'accusa?
In questo punto il mio pensier s'aduna,
e per incaminarmi a buona strada
trovo scarsa e contraria la fortuna.
Ma s'io sto queta, e, come avien ch'accada
un giorno, che passar quindi gli avenga,
incontra armata a ucciderlo gli vada?
Forse la sete fia che 'n tutto io spenga
di quel sangue maligno, e con diletto
senza contrasto alcun vittoria ottenga.
Dunque commetterò sì gran diffetto
di bruttar di quel sangue queste mani,
ch'è di malizia e di viltate infetto?
Cessin da me pensieri così strani.
Ma che farò? S'io taccio, mal; e poi
s'io faccio, peggio. Oh miei discorsi vani!
Datemi, signor mio, consiglio voi.

XXIV

Della signora Veronica Franca

[Rimprovero cortese ad uno, che per ira ha offeso una donna, e per poco non l'ha percossa.]


Sovente occorre ch'altri il suo parere
dice, stimando fatte alcune cose,
che non successer, né fùr punto vere.
Di queste, che pur son dubbie e nascose,
in noi un certo instinto la natura,
che tende al peggio ed al biasmarle, pose;
benché null'opra è di qua giù sicura,
e di quel, che men par ch'avvenir possa
stiasi con più sospetto e con paura.
Del mondo ingannator quest'è la possa,
che quel, ch'è più contrario al ver, succeda,
per cagion torta, occoltamente mossa.
La ragion vuol ch'ogni ben di voi creda,
ma poi del verisimile l'effetto
fa che quel, ch'io credei prima, discreda.
Comunque sia, egli m'è stato detto:
se falso o ver, non importa ch'io dica
s'io son risolta o se n'ho alcun sospetto:
basta che mi tegniate per amica,
come infatti vi son, sì che in giovarvi
non sarei scarsa d'opra o di fatica.
Ed or ch'io mi conduco a ragionarvi
di quanto intenderete, a quel m'accosto,
che d'é chi fa profession d'amarvi.
Dunque a la mia presenza vi fu opposto
ch'una donna innocente abbiate offesa
con lingua acuta e con cor mal disposto;
e che, moltiplicando ne l'offesa,
quant'è colei più stata paziente,
in voi l'ira si sia tanto più accesa,
sì che, spinto da sdegna, impaziente
le man posto l'avreste adosso ancora,
se nol vietava alcun, ch'era presente;
ma voi la minacciaste forte allora,
e giuraste voler tagliarle il viso,
osservando del farlo il tempo e l'ora.
Strano mi parve udir, d'un uom diviso
dai fecciosi costumi del vil volga,
un cotal nuovo inaspettato aviso;
e, mentre col pensiero a voi mi volgo,
de la virtute amico e de l'onesto,
la fede a quel, che mi fu detto, tolgo.
Da l'altra parte so quanto è molesto
lo spron de l'ira, e come spesso ei mena
a quel ch'è vergognoso ed inonesto:
né sempre la ragion, che i sensi affrena,
a stringer pronto in man si trova il morso,
e 'l gran soverchio rompe ogni catena.
Se per impeto d'ira il fallo è occorso,
non durate nel mal, ma conoscete
quanto fuor del dever siate trascorso.
Gli occhi del vostro senno rivolgete,
e quanto ingiuriar donne vi sia
disdicevole, voi stesso vedete.
Povero sesso, con fortuna ria
sempre prodotto, perch'ognor soggetto
e senza libertà sempre si stia!
Né però di noi fu certo il diffetto,
che, se ben come l'uom non sem forzute,
come l'uom mente avemo ed intelletto.
Né in forza corporal sta la virtute,
ma nel vigor de l'alma e de l'ingegno,
da cui tutte le cose son sapute:
e certa son che in ciò loco men degno
non han le donne, ma d'esser maggiori
degli uomini dato hanno più d'un segno.
Ma, se di voi si reputiam minori,
fors'è perché in modestia ed in sapere
di voi siamo più facili e migliori.
E che sia 'l ver, voletelo vedere?
che 'l più savio ancor sia più paziente
par ch'a la ragion quadri ed al devere:
del pazzo è proprio l'esser insolente,
ma quel sasso del pozzo il savio tragge,
ch'altri a gettarlo fu vano e imprudente.
E così noi, che siam di voi più sagge,
per non contender vi portamo in spalla,
com'anco chi ha buon piè porta chi cagge.
Ma la copia degli uomini in ciò falla;
e la donna, perché non segua il male
s'accomoda e sostien d'esser vassalla.
Ché, se mostrar volesse quanto vale,
in quanto a la ragion, de l'uom saria
di gran lunga maggiore, e non che eguale.
Ma l'umana progenie mancheria,
se la donna, ostinata in sul duello,
foss'a l'uom, com'ei merta, acerba e ria.
Per non guastar il mondo, ch'è sì bello
per la specie di noi, la donna tace,
e si sommette a l'uom tiranno e fello,
che poi del regnar tanto si compiace,
sì come fanno 'l più quei che non sanno
(ché 'l mondan peso a chi più sa più spiace),
che gli uomini perciò grand'onor fanno
a le donne, perché cessero a loro
l'imperio, e sempre a lor serbato l'hanno.
Quinci sete, ricami, argento ed oro,
gemme, porpora, e qual è di più pregio
si pon in adornarne alto tesoro;
e, qual conviensi al nostro senno egregio,
non sol son ricchi i nostri adornamenti
d'ogni pomposo e più prezzato fregio,
ma gli uomini a noi vengon riverenti,
e ne cedono 'l luogo in casa e in strada,
in ciò non punto tardi o negligenti.
Per questo anco è ch'a lor portar accada
berretta in testa, per trarla di noi
a qualunque dinanzi ei se ne vada;
e, s'ancor son tra lor nimici poi,
non lascian d'onorar, sempre ch'occorre,
l'istesse donne de' nemici suoi.
Da questo argumentando si discorre
quanto l'offesa fatta al nostro sesso
la civiltà de l'uom gentile aborre.
Né ch'io parli così crediate adesso
con altro fin, che di mostrarvi quanto
l'offender donne sia peccato espresso.
Informata ancor son da l'altro canto
chi sia colei, di cui mi fu affermato
che ingiuriaste e minacciaste tanto:
certo questo non merita il suo stato,
e l'avervi 'l suo amore a tanti segni
in tante occasioni manifestato.
Cessin l'offese omai cessin gli sdegni,
e tanto più che d'uom nato gentile
questi non sono portamenti degni;
ma è profession d'uom basso e vile
pugnar con chi non ha diffesa o schermo,
se non di ciance e d'ingegno sottile.
Perdonatemi in ciò, ch'io troppo affermo
le colpe vostre; poi ch'io non intendo
comprender voi, più d'alcun altro, al fermo;
ma quel ch'adesso vado discorrendo
è quanto ad onta sua colui s'inganni,
che vada con le donne contendendo;
perch'al sicur di lui son tutti i danni:
s'ei vince, mal; e peggio, se vien vinto:
il rischio è certo e infiniti gli affanni.
Col viso di rossore infuso e tinto,
d'essere stato ogni uom d'onor s'accorge
di far ingiuria a donne unqua in procinto;
e, quanto più 'l valor viril risorge,
tanto più l'armi fuor da l'ira tratte
vergognando al suo loco altri riporge,
e si pentisce de le cose fatte
in via che, se potesse frastornarle,
le ridurria da l'esser primo intatte.
Ma, poi che non può adietro ritornarle,
con dolci modi a l'offese ripara,
e, quanto può, si sforza d'annullarle:
ritorna ancor l'amata al doppio cara
nel rifar de la pace; e, per turbarsi,
più d'ogni parte l'alma si rischiara.
Così nel ben vien a moltiplicarsi,
e così certa son che voi farete,
sì come suol da ogni par vostro farsi:
e colei certo offesa o non avete,
o, se vinto da sdegno trascorreste,
l'error di voi non degno emenderete.
Ed io di ciò vi prego in fin di queste.

 
 
 
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Data di creazione: 26/04/2008
 

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