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Il Dittamondo (2-11)

Post n°829 pubblicato il 15 Dicembre 2014 da valerio.sampieri
 

Il Dittamondo
di Fazio degli Uberti

LIBRO SECONDO

CAPITOLO XI

Con gli occhi al cielo, spesso Iddio pregava 
che mi traesse da le man di Caro, 
come colei che d’un buono sperava. 
Ma tanto al prego mi si fe’ avaro, 
ch’apresso a lui Diocleziano giunse, 5 
che, per un, cento piú me ’l vidi amaro. 
Costui la Chiesa per tal modo punse, 
che diece anni non fu senza sospire: 
qui puoi pensar se la distrusse e munse. 
Ben venti milia e piú ne fe’ morire: 10 
Gervasio e Protasio in Melano, 
santificando, ricevêr martire; 
cosí ancor Vincenzo e Sebastiano, 
Grisogono, Martino e Nastasia, 
Agata, Margarita con Damiano, 15 
similemente Agnese e Lucia 
e Marcellin, che fe’ sí come Pietro: 
Cristo negando, la morte fuggia: 
e, poi che vide ch’erano di vetro 
i suoi pensier, si condannò a la morte 20 
e d’ogni mal voler tornò a dietro. 
Venti anni tenne e guidò la mia corte 
e fu Massimiano al mal con lui 
non men crudele in ciascun caso e forte. 
E se ’l morir parve amaro a costui, 25 
e a me piú che dolce, sí mi piacque 
quando da lui isviluppata fui. 
Eran passati dal tempo che nacque 
Colui che sparse il sangue suo per noi 
in fino al dí che ’n terra costui giacque, 30 
da trecento e sette anni: e qui ben puoi 
notare con che pena e gran fatica 
crebbe la Fé, che va così ancoi. 
Ora passo oltra e convien ch’io ti dica 
di Galerio, però che cosí segue 35 
de’ miei signori la dritta rubrica. 
E vo’ tacer le battaglie e le tregue 
di Massenzo, Carino e di Narseo, 
sí vaga son che da lor mi dilegue. 
Poco Galerio mi fu buono o reo, 40 
e però poco di lui ti ragiono, 
ché ’n due anni dir posso che ’l perdeo. 
Poscia Costanzo, ch’assai mi fu buono, 
passò in ponente e, de le opere sue 
pensando, ancor contenta assai ne sono. 45 
Cloelio re padre di Elena fue, 
la qual giovane, inferma, a Roma venne 
divota a Cristo quanto si può piue. 
Libera e sana qual fu mai divenne, 
onde per la beltá Costanzo allora 50 
vago di lei piú dí seco la tenne. 
Un anel d’or le donò in sua dimora, 
ché piú non volse, e poi un fanciul fece 
simile al padre e bellissimo ancora. 
Costui, avendo tre anni con diece, 55 
a ’ngegno per mar fu menato a un re, 
che allor regnava tra le genti grece. 
Tanta fu data a’ mercatanti fé, 
che ’l re la figlia sua li diede a sposa; 
ma qui non dico il modo né il perché. 60 
Rubarli, poi, tornando, d’ogni cosa; 
lassarli soli e, come piacque a Dio, 
rimase lor la ricca vesta ascosa. 
Tornati a me, Costanzo, il signor mio, 
Elena sposa e imperatrice feo, 65 
poi che ’l ver con l’anello li scoprio. 
Quindici anni con me viver poteo; 
reda lasciò il figliuol, per cui la Chiesa 
ricchezza acquista e santitá perdeo. 
Non che dir voglia che ’l dare e la presa 70 
allor non fosse ben, perché da troppa 
gente la fede nostra era contesa; 
ma perché dove ricchezza s’aggroppa, 
lussuria, ira, gola e avarizia, 
accidia, invidia e superbia ne scoppa. 75 
E tu puoi ben veder che per divizia 
di cotante grandezze, che ’l pastore 
falla e fallando le pecore vizia. 
Ahi quanto li terrei maggiore onore 
che fosse meco e governasse i suoi, 80 
che dirsi a Vignon papa e imperatore! 
Ché a tanto giunti siam veder ben puoi, 
per lo suo parteggiar, che quel d’Egitto 
securo vive e combattiam fra noi. 
Certo io so ben che le parole gitto 85 
indarno teco, ma fo com la trista, 
che corre al pianto, quando ha il cor trafitto. 
Non truovo santo alcun né vangelista 
che dica a Cristo piacesse palagio, 
bei palafreni o robe di gran vista. 90 
Non truovo che volesse stare ad agio; 
non truovo che chiedesse argento o oro, 
né che mai ricevesse piú d’un bagio. 
Truovo che povertá fu il suo tesoro 
e questa predicava in ciascun templo 95 
e questa volse nel suo concistoro. 
Truovo, se ben nel suo lume contemplo, 
per umiltá cavalcar l’asinello, 
e questo ai frati suoi die’ per essemplo. 
Truovo che disse: – Piú miracol quello 100 
terrei ch’uom ricco entrasse nel gran regno, 
che per la cruna d’un ago un cammello –. 
Truovo che dimandato fu a ’ngegno: 
– Rispondi tu, che sai tutte le cose,
se a Cesar dare il censo è giusto e degno, 105
o se non è –. Ed esso allor rispose: 
– Mostrami un denaro –. Ed un gliel diede.
E Cristo a quel, che ne la man gliel pose: 
– Or di’: questa figura che si vedee la scritta cui è? – E il fariseo: 110 
– È di colui che il censo ci chiede –.
Ond’ello, accorto del suo pensier reo, 
rispuose: – E come suo, a lui si renda. 
Quae Caesaris Caesari et quae dei deo –. 
E chi ha orecchi m’oda e sí m’intenda. 115

 
 
 
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