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Francesco Maria Molza

Post n°710 pubblicato il 01 Dicembre 2014 da valerio.sampieri
 

Capitolo I

[1 Di Francesco Maria Molza]

Del Molza

Se ben non scopro in viso di dolermi
E mia vita tranquilla appar di fore,
Ahi! simulata gioia in gran dolore,
Non son io roso da secreti vermi?

I miei desir più che mai saldi e fermi
Porto nascosi, e sì gli stringo al core
Che potenza crudel, né volger d'ore
Da voi non mai potran sciolto vedermi.

Simil son io a un bel sepulcro ornato,
Che per vaghezza assai diletto prende,
Poi dentro serba paventosa morte.

Spirto gentil, il mio noioso stato
Non iudicate, che mal si comprende
Al canto, al riso, al volto l'altrui sorte.

[2 Di Francesco Maria Molza]

Sonetto del Molza

Rott'è l'antico nodo e 'l foco spento
Per cui già 'l cor sì caldamente m'arse,
Si ch'omai ben è tempo da ritrarse
Dal longo strazio e dal crudel tormento.

Potete omai mostrar le chiome al vento,
Or in gemme raccolte, ed ora sparse,
Può ben l'altero cor pietoso farse
Ch'io son di non più amar lieto e contento.

E ripigliar potete i vaghi panni,
L'oro, le perle e con accesi sguardi,
Con atti e con parole alzarmi al cielo;

Ma ch'io ritorni agli amorosi affanni
Non fia giammai; ché n'accorgèmo tardi
Io di vostra pietà, voi del mio gelo.

[3 Di Francesco Maria Molza]

Fuggitevi da me, pensier noiosi,
Ché basta ben s'un tempo tanto haveti
Imperio nel mio cor, e stati seti
Cagion de' brevi miei dolci riposi.

E fate luogo omai che si riposi
Dov'eravate in me pensier più lieti,
Tal che mai sempre in l'avenir si vieti
A voi di star in me troppo nascosi.

Ch'io spero restaurar tutti i miei danni
Col nuovo giogo che m'ha posto al collo
Amor, che a suoi soggetti mai non manca.

Et dalli in preda i miei futuri anni
Con leal servitù, sanza dar crollo,
Anzi più sempre colla voglia franca.

[4 Di Francesco Maria Molza]

Canzone del Molza

Alma città, che già tenesti a freno
E le terre vicine e le lontane
Per tutto ove 'l mar cinge e scalda il sole,
Or fatta ancella sei di gente strane
Ch'ingombran di vil seme il tuo bel seno,
Facendo spuria così nobil prole.
Amor mi sprona a dir di te parole
Con la pietà, che fuor mi bagna il petto,
Veggendo nude le tue membra e sparte.
Benché l'ardir e la memoria e l'arte
Sento mancarmi a sì alto soggetto.
Ma se nell'intelletto
Ti rendo in parte le memorie antiche,
Assai care saran le mie fatiche.
Quanto altrui rimembrar noioso sia
Nelle miserie sue del tempo lieto
Niun lo sa più di te, se guardi il vero.
Ritorna alquanto con la mente adietro,
Mirando la tua immensa monarchia,
E la terra tremar sotto 'l tuo impero
E l'armi tue e 'l tuo bel nome altero
Far tributari a te populi esterni.
E i trionfi, l'imagini e i grandi archi,
E d'oro, e gemme, e spoglie i tempï carchi,
E tanti figli tuoi di gloria eterni,
Tanti spirti superni
Ch'or d'oro terso, ora d'un verde lauro
T'ornàro il fronte altero e 'l bel crin d'auro.
Nel tuo bel grembo e ne' publici luochi
Tra quella gente sol di gloria amica,
Che si vedeva in quella adorna etade,
Roma già tu 'l sa' ben, senza ch'i 'l dica,
D'alte jacture, sacrifici e giochi
Acquistate col senno e con le spade,
E 'l Campidoglio e le sacrate strade
Da carri trionfali esser calcate,
Carchi di ricche prede e regi vinti
E di trofei pomposi intorno cinti:
E l'unïon di quelle alme beate,
Sol di virtude ornate,
E 'l tuo senato, a tal grado condutto,
Che dava leggi a l'universo tutto.
Or ti veggio, e mi duol, patria dolente,
E di populi tanti e tanti regni
A te fatti sugetti al tutto priva,
E quel valor, quel peregrini ingegni
Son persi, e ciascun'anima eccellente,
Per cui sempre sarai nel mondo viva;
Bontà, religion, concordia e fede
Fuggir da te, quasi da proprio albergo.
Dico, poi ch'al ben far volgesti il tergo,
Roma (misera te!) che fusti erede,
Com'oggi ancor si vede,
Di tutti quei peccati accolti insieme
Che commetter si pon tra l'uman seme.
Onde rimasa sei povera e ignuda,
Pallida in viso, e con fatica i panni
Coprir ti pon le parti vergognose.
Guardati attorno, e vedrai già tant'anni
Ch'albergo fatta sei di gente cruda,
Nel cui voler giammai non te ripose,
E sotto 'l manto tuo starse nascose
Avarizia, superbia, ambizïone,
Lussuria, gola e l'altre brutte arpie,
E da mille fangose e torte vie
Ogni barbara, inculta nazïone
Adosso man ti pone
Profanando le membra delicate
A tutto 'l mondo in reverentia state.
E pur, s'alcuno spirito gentile
Amico di virtù teco si trova,
Che la tua sciolta vita ti dispiaccia,
A l'invecchiato mal poco ti giova,
Misera, e tu medesma il tieni a vile,
Ché dal vero cammin volt'hai la faccia:
Anzi convien che 'l buon siegua la traccia
Degli empi figli tuoi, pien di furore,
Dati al comune incendio, alla ruina
Del proprio sangue tuo, patria meschina;
Che già solean con tanto alto valore
Morir sol per onore
E delle piaghe e del lor petto esangue,
Spargean fuori non men gloria che sangue.
Adonque al gran bisogno alza la testa,
Se del tuo vero onor punto ti cale,
Ché 'l tempo ancor sarà, purché tu vogli,
Non aspettar che 'l mal tuo sia mortale,
Ch'io veggio tua ruina manifesta,
Se di tante discordie non ti sciogli
E gli animi diversi indi raccogli,
Unitamente, e al sacro concistoro
Ti volgi a quei nel cui voler è dato
Dar nuovo sposo al tuo tempio sacrato.
E non sol per tua pace priega loro;
Ma ancor per suo ristoro.
Che questa eletïon sia in virtute
Del santo spirto e de la sua salute.
Canzon mia, non escir de' sette colli,
Ove 'l Tebro più superbo al mar descende,
E dalla molta gente che vedrai;
Alli maggiori umilmente dirai
Ch'ormai voglian da sé l'odio disciorre,
E gli animi disporre
Talmente che per essi a questi giorni
Roma ne' primi onori lieta (i)torni.

[5 Di Francesco Maria Molza]

Occhi beati, e tu del ciel discesa,
Alma felice, cui sì chiaramente
L'alto valor de la pudica mente
Per entro quelli al mondo si palesa.

Se il mio desir mi sprona a bella impresa,
Gli è per vostra mercé che sì presente
Il raggio mi mostrate almo e lucente
De la virtù, ond'è mia voglia accesa.

I' fora sanza voi qual sanza rivo
Un secco prato, o sanza spiga un'erba
Cui poi negasse la sua luce il sole.

Né sol io col splendor vostro m'avvivo;
Ma il ghiaccio ancor ne la stagion acerba
Potrebbe innanzi a voi produr vïole.

Tratte da: Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918)

 
 
 
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