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Sonetti di Angiola Cimina

Post n°667 pubblicato il 23 Novembre 2014 da valerio.sampieri
 

Sonetti di Angiola Cimina

Di Angiola Cimina, Marchesana della Petrella, deceduta nel 1726, alla quale fu dedicata, in commemorazione della sua morte, una raccolta di poesie di Gerardo De Angelis, in un volumetto di 67 pagine, edito a Firenze nel 1728, conosco i seguenti sette sonetti, tutti pubblicati in "Delle Rime scelte di Varj Illustri Poeti Napoletani", Volume Secondo, In Firenze A spese di Antonio Muzio, 1723:

1. Finor seguendo i tuoi desir mio core
2. L'alma, che giace in quest'afflitta spoglia
3. Lieta ne vo per quelle piagge amene
4. Non amo io te con quel sì basso amore
5. Presso quel fonte Amore ognor mi mena
6. Senno, vertude, angelico 'ntelletto
7. Vertù dal Mondo un tempo già partìa


1.
Finor seguendo i tuoi desir mio core
menato ho i giorni lagrimosi, e tristi;
or più non bramo che si turbi, e attristi
mia stanca mente per tuo van dolore.

Sia lungi omai da te quel folle amore,
onde cotanta pena, e duol soffristi,
e d'uopo sia che sol vaghezza acquisti
d'alme virtù, di glorioso onore.

Questo è quel ben, che l'uom fa chiaro al Mondo,
e lo scampa da Lete, e al ricco seno
di Dio l'innalza nel superno Regno.

O bel disdetto, o avventuroso sdegno,
che 'l mesto viver mio farà giocondo,
fuor d'ogni affanno, e d'alta gioia pieno.


2.
L'alma, che giace in quest'afflitta spoglia
Sdegnosa sempre, e in atre cure involta,
Schiva nel velo fral più star sepolta,
E di gir colassuso ognor s'invoglia.

Spesso a fuggir di questa bassa soglia
S'avanza, e 'nfiamma; e poscia in se rivolta,
Oimè, dice ella, a che vaneggio, o stolta,
E del molto fallir l'accresce doglia.

Umil poi volta al suo divin Fattore,
Gli chier mercè de l'orgoglioso ardire;
Poichè del suo voler quegli è Signore.

Nè può aspirare a sì sublime onore,
Nè del carcer mortal puot'ella uscire,
E al Ciel Poggiar, se non è fuor d'errore.


3.
Lieta ne vo per quelle piagge amene,
cogliendo in verde prato i più bei fiori,
e 'l canto udendo degli augei canori,
ond'è sgombro il mio cor d'affanni, e pene.

Meco sovente ragionando viene
la vaga Nice, e la vezzosa Clori,
che in lieti accenti i lor felici amori
mi fan palesi, e la lor dubbia spene.

Poi tra candidi gigli, e fresche rose
su l'erba molle al chiaro fonte accanto
l'aura godiam, che dolcemente spira.

E finch' il Sol s'asconde in riso, e canto
l'ore passiam; né mai cure nojose
cangian sì bel piacer in doglia, e in ira.


4.
Non amo io te con quel sì basso amore,
Con cui ama la stolta, e volgar gente,
Che a vil piacer va dietro, il qual repente
Fugge, e sol lascia pentimento al core:

Ma in me nobil pudico, e vivo ardore
Il petto accese, ed infiammò la mente
di bel disio, e pura voglia ardente
D'amar sol ciò, che reca pregio e onore.

L'alta eccelsa vertù, che 'n te risiede,
E fa nel mondo il nome tuo sì chiaro
E' solo il bel, che in te vagheggio, ed amo.

E infelice a ragione ognor mi chiamo,
Poiché de l'opre tue l'esemplo raro
Empio Fato imitar non mi concede.


5.
Presso quel fonte Amore ognor mi mena,
Ove solea veder l'empio Pastore,
Che mi rapì con finti vezzi il core,
Per poi renderlo a me carco di pena:

Ma l'infedel non trovo, e giunta appena,
O qual si sveglia in me fero dolore,
Talchè vinta da sdegno, e forte amore,
Senza voce rimango, e senza lena.

Mesta poi riedo a la Capanna mia,
Tutta negli atti dispettosa, e trista,
E 'l mio gregge abbandono a mezza via.

Non curando che preda a' lupi fia
Il più vago agnellino; e sol m'attrista
Che l'infido Pastor mia fede obblia.


6.
Senno, vertude, angelico 'ntelletto,
Spirto reale a ben' oprar sol nato,
il gran Motor ti diede, e rese ornato
il tuo, d'ogni suo don, ben degno petto.

E sommi fregi, a imprese uniche eletto,
aggiugni al sangue; e 'n sì sublime stato
hai co' tuoi dotti carmi al Mondo dato
lume da contemplar l'alto subbjetto.

Così carco t'en vai d'eccelso onore,
alzando il volo di que' spirti a paro,
che stan da presso al primo eterno Amore.

Né mai potrà l'invido tempo avaro
scemare i tuoi gran pregi, almo Signore,
ma sia tuo nome ognor laudato, e chiaro.


7.
Vertù dal Mondo un tempo già partìa,
Se 'l Ciel non fea riparo a' nostri mali;
poich'uom mandò sì raro a noi mortali,
che pien d'acceso amor quella seguìa;

quando il vid'ella, omai, disse, ben fia
ch'io gioiosa rimanga in mezzo a' frali,
perché adorno è costui di pregi tali,
ch'unita al suo bel cor convien ch'io stia.

Ma qual fu l'uom sì glorioso, e degno,
cui non preme de' vizj il grave pondo,
e fama ognor divulga i vanti suoi:

Doria, tu fosti, e lo fece chiaro a noi
tua grande virtù; sicché tu se' del Mondo
in questo secol nostro alto sostegno.

 
 
 
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Data di creazione: 26/04/2008
 

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