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Diego e Isabella

Post n°383 pubblicato il 19 Gennaio 2014 da valerio.sampieri
 

Una delle più torbide storie del Cinquecento è quella che riguarda Isabella di Morra e Diego Sandoval de Castro. La storia venne alla luce durante il processo per l'omicidio di Diego da parte dei fratelli di Isabella, da loro stessi in precedenza assassinata. Fu Benedetto Croce a trattare estesamente l'argomento. Di Isabella restano soltanto 13 poesie, mentre più ampia è l'opera di Diego, le cui Rime furono pubblicate nel 1542 e constano di una cinquantina di poesie (l'ultima delle quali è però composta di ben 91 componimenti).

Ho trovato su internet questo interessantissimo brano che mi permetto di trascrivere, pronto a rimuoverlo ove ne fossi richiesto.

Isabella Morra e Diego Sandoval Castellano di Cosenza

di Vincenzo Napolillo

Fonte: http://ospitiweb.indire.it/~csrc0004/napolillo/IsabellaMorra.htm

Figura rappresentativa di poetessa del Cinquecento, Isabella di Morra consegnò alle Rime (pubblicate postume) la sua afflizione e la sua testimonianza, non soltanto filtrata da moduli letterari del petrarchismo, animati da accenti meditativi, ma diretta e puntuale della caratteristica realtà sociale e culturale del Meridione. Croce s’interessò di Isabella di Morra e Diego Sandoval de Castro in Vita di avventure, di fede e di passione.

Nel mio volume Storia di Cosenza da luogo fatale a città d’arte (Falco Editore, 2006), un paragrafo è dedicato a "Isabella Morra e Diego Sandoval", castellano di Cosenza e poeta di non poco conto, implicato in sfortunati eventi storici e biografici.

Secondo il calcolo di Benedetto Croce, Diego Sandoval de Castro nacque nel 1520; ma i capitoli matrimoniali dei genitori furono stipulati il 16 aprile 1515. Don Diego Sandoval de Castro, figlio unico e legittimo di Pietro e Giovanna Bisbal vide la luce ai principi del 1516. Ebbe a balia e nutrice la nonna materna, Caterina Saracina, vedova di Don Francesco Bisbal, signore della terra di Briatico e Calimera (in Calabria), che gli furono donati nel 1496, per i buoni servigi resi a Ferdinando II d’Aragona, detto Ferrandino. A lui successe il figlio Ferdinando Bisbal, che fu creato conte l’11 agosto 1543 (G. Fiore, I, 300).

 

La tutela esercitata su Diego Sandoval durò undici anni sino al 17 aprile 1534.

È da notare che il primo castellano spagnolo di Cosenza fu Loyse de Modarra, che aveva il compito di guardare il forte, cioè di sorvegliare anche i carcerati. Seguì a lui il castellano Diego Sandoval de Castro, come si apprende dall’atto notarile, rogato da Angelo Desideri, in data 9 aprile 1532.

Dagli atti notarili dell’Archivio di Stato di Cosenza risulta ancora che Don Diego Sandoval, castellano di Cosenza, comprò in contanti, il 2 luglio 1534, per cinquemila ducati, il feudo di Campana col castello e tutti i diritti e le giurisdizioni feudali da Ferdinando Spinelli, col patto di riscatto.

Il 7 novembre 1535, l’imperatore Carlo V, tornando da Tunisi, in compagnia di Pietro Antonio Sanseverino, si fermò a Cosenza. In una "Cronaca" manoscritta, conservata da Luigi Maria Greco, si legge testualmente:

"Domenica entrò in Cosenza Carlo V: fu alloggiato nel palazzo del Principe di Sellia Sersale alli Padulisi. Nel piano dell’Annunziata trovò 10 mila persone atte alle armi, che gli furono di consuolo. Lo vennero servendo il Principe di Bisignano, il Marchese del Vasto Pietro Luigi Farnese parente di Paolo III Papa, Don Antonio d’Aragona ed Ernandez di Alorzono (Alarçon), Viceré di Calabria. Quando fu a Portapiana andò dietro al castello; scese per li Molisi, cavalcò per il fiume Bosento, e per la Nunziata entrò per il ponte dei Revocati. Ferrante Bernaudo Sindaco dei Nobili si sbigottì; e quello degli Onorati, Giovanni Pantusa, di grande spirito, con molta prontezza soddisfece le domande di Sua Maestà; per il che ebbe parecchi onori e cortesie, l’aggregazione anche fra i nobili. La Città e Casali regalarono a Sua Maestà tremila ducati ed un cavallo. Il martedì partì per San Mauro luogo di Corigliano ch’era del Principe di Bisignano, dove dimorò più giorni intento alla caccia. Indi sostò in Napoli e poi in Roma, siccome dalle memorie scritte da Giovanni Belmonte".

Il 13 luglio 1540 il giudice Pietro de Madeo, su richiesta di Pietro Ortes, vice castellano di Cosenza, in nome di Don Diego Sandoval de Castro, regio castellano e signore della terra di Bollita, procedette all’inventario di tutto ciò che era custodito nel castello.

Diego Sandoval partecipò, nell’ottobre 1541, alla battaglia di Algeri.

Il 28 marzo 1542, Diego Sandoval de Castro pubblicò le sue Rime, con introduzione di Girolamo Schola di Faenza. Cantò l’amore, il dolore e la bellezza della donna:

Amor lunga stagion hebbe ardimento
Ogni vista sprezzar, ch’agli occhi piace;
Che ne sostiene in debole e fallace
Sperar, volge in tormento.

All’imperatore Carlo V dedicò poi una canzone "nata di sdegno in mezzo all’arme".

Nel 1543, Diego Sandoval fu accusato del delitto di fellonia e fu sospeso dal "guberno et tenentia del castello di la cita di Cosentia". Il decreto fu firmato da Bernardino Martirano, decoro della nobiltà cosentina. Non essendosi presentato, nonostante la proroga di quattro mesi, concessagli da Carlo V, fu dichiarato "bannito e contumace". Venne nominato Castellano di Cosenza Don Geronimo de Fonseca, che nominò, a sua volta, come vice castellano di Cosenza Cristoforo de Prado.

Uomo di arme e di corruccio, Sandoval se ne andò ad abitare in Benevento. Si fece iscrivere all’Accademia Fiorentina, dove s’inimicò il Lasca, che lo apostrofò con un sonetto satirico, dicendo che conosceva solo l’uso delle armi, non quello del fiorentino: "Senza sapere punto di lingua e col fare al Petrarca la bertuccia".

Benedetto Croce scrisse che Sandoval da Benevento si recava furtivamente al suo castello di Bollita (oggi Nova Siri), dove dimorava la moglie con i figli. Vicino al castello di Bollita s’ergeva quello di Favale (l’attuale Valssinni), dove viveva, in tetra solitudine, la giovane Isabella di Morra.

Nata nel 1520, secondo Benedetto Croce, non prima del 1515, secondo il calcolo di Giovanni Caserta, Isabella Morra ricevette, come il fratello Scipione, una formazione umanistica. Nel 1525, il padre di Isabella, Giovanni Michele, ricco barone del regno di Napoli, si ribellò alla Spagna. Si schierò con Odetto di Foix, visconte di Lautrec, che era stato mandato in Italia da Francesco I di Francia per vendicare il sacco di Roma (6 maggio 1527). Il condottiero di Lautrec morì di peste (1528).

Il principe di Salerno, che sosteneva le parti imperiali, accusò Giovanni Michele, suo lontano parente, di avere invaso alcune terre della castellania e di avere maltrattato i suoi ministri. Giovanni Michele fuggì, nell’agosto 1528, in Roma e di là andò in Francia. Allora il primogenito Marcantonio di Morra, per indulto dell’imperatore Carlo V, che voleva mitigare la repressione, salvò la signoria di Favale (cum suis feudis omnibus). Lo stesso Giovanni Michele di Morra sarebbe stato restituito agli antichi onori se fosse tornato per dare una spiegazione. Temendo un tradimento, preferì rimanere in volontario esilio, traendo con sé il secondogenito Scipione, giovane di buone lettere. Luisa Brancaccio, moglie di Giovanni Michele, rimase con la sua numerosa famiglia nella terra di Favale.

Isabella di Morra fu affidata a un precettore, per approfondire gli studi e la pratica delle "humanae litterae". Nei suoi componimenti poetici ella esprimeva il desiderio di libertà e pregava la Vergine di assisterla nelle sofferenze quotidiane:

Qui non provo io di donna il proprio stato
Che dolce vita mi sarìa la morte.

Quel giorno atteso arrivò e la sua vicenda si tinse di sangue, come nel mito di Eco, che si consumò d’amore e fu fatta a brandelli. Giovanni Caserta lapidariamente scrive che Isabella di Morra era "bisognosa di affetto e di poesia, di aria e di libertà".

Tutti belli i versi della nobile giovane, secondo il giudizio di Giuseppe Toffanin, che le assegnò il secondo posto, fra le poetesse del Cinquecento, dopo Gaspara Stampa, le cui "Rime" sono un vero "diario d’amore". Toffanin era convinto che Diego Sandoval non ebbe mai una relazione amorosa con Isabella Morra, di questa Beatrice Cenci della Basilicata, ma "più vera, e migliore, e pura". Al critico Toffanin piacquero soprattutto la canzone "Signor che insino a qui tua mercede", dove il perpetuo affanno e la nostalgia del padre sono trasfigurati in ardore religioso, e l’altra canzone "Quel che più giorni a dietro", che sta alla solitudine di Favale come "Il passero solitario" del Leopardi sta a quella di Recanati.

È vero: nessun riferimento all’amore per Diego Sandoval si scopre nelle "Rime" di Isabella Morra, che non mancano di perizia letteraria, né si scorge una sua corrispondenza con Antonia Caracciolo, moglie del Sandoval, essendo stato assodato che il sonetto indirizzato alla signora di Senise riguarda Donna Giulia Orsini, figlia naturale di Giulio II della Rovere, uccisa per strangolamento, in data 17 novembre 1537, dietro ordine del marito Pietro Antonio Sanseverino, principe di Bisignano e padrone di Senise, che fu salutato dal poeta Aretino, "subiecto de la cortesia e de la libertà".

Nelle sue Rime Isabella di Morra manda imprecazioni alla "crudel Fortuna", che la costringe a vivere nell’inferno "solitario e vano" di Favale e ad aspettare con ansia il ritorno del padre esule e la ricompensa per la fedeltà della famiglia Morra al re francese:

Pietà non giunge al cor del re di Francia,
che con giusta bilancia
pensando il danno, agguaglie la mercede,
secondo il merto di mia pura fede.

Isabella destinò un sonetto al poeta Luigi Alamanni, che fu costretto, per le vendette politiche, a vivere quasi trenta anni nella Francia. Chiamato al servizio di Francesco I, il grande avversario dell’imperatore Carlo V, Alamanni si allontanò dalla Francia soltanto per alcune missioni diplomatiche. Fu maestro di palazzo di Caterina de’ Medici.

Scipione Morra, fratello di Isabella, fu segretario della regina Caterina de’ Medici, nipote del papa, la quale tesseva intrighi con i fuorusciti ed esiliati politici, che la spingevano a intervenire nelle questioni e nei dissidi italiani. Quando Scipione Morra fu avvelenato da invidiosi cortigiani, Caterina de’ Medici si volse, fortemente sdegnata, "a punire i colpevoli", come osservò Angelo de Gubernatis nell’introduzione alle Rime di Isabella di Morra.

Nel sonetto in cui Isabella invita il "torbido Siri" a rendere noto al "padre caro" il dolore per "l’aspra Fortuna", si odono i passi della morte che s’avvicina (or ch’io sento da presso il fine amaro). Alla fine giunsero delle lettere, ancora chiuse, e un sonetto, che caddero nelle mani dei fratelli Morra. Questi domandarono la provenienza del plico e Isabella rispose loro che gli veniva dalla Caracciolo. La risposta aizzò il furore e la crudeltà dei fratelli, che massacrarono il precettore, reo di un complotto, e la loro sorella Isabella (1546).

Quattro mesi dopo toccò a Diego Sandoval, castellano che fu di Cosenza. Venne ucciso da Cesare, Fabio e Decio di Morra, tornati dalla Francia, assetati di vendetta, con l’aiuto degli zii paterni Cornelio e Baldassino, in un’imboscata, nei pressi di Noia (l’odierna Noepoli), con tre archibugiate. La relazione spedita dal governatore di Basilicata, Alonso Basurto, al vicerè Pietro de Toledo, prova che l’inimicizia armò la mano dei fratelli Morra. Don Diego Sandoval commise, perciò, la "leggerezza" (liviandad) di dare ascolto, lui spagnolo, alle invocazioni di Isabella Morra, che recitava una devozione filo-francese nel feudo di Favale e nutriva per Don Diego Sandoval una forte simpatia. Di conseguenza, fra le cause dei rabbrividenti delitti non c’è soltanto l’attrattiva dell’amore, cantato da Isabella con gusto petrarchesco e con accenti originali, ma s’intravede anche il movente politico.

Il barone Marcantonio Morra fu tenuto in prigione, per più di un mese, e poi liberato. Nel feudo di Favale, successe a Marcantonio, morto nel 1561, il figlio primogenito Fabrizio di Morra.

Una leggenda narra che il fantasma di Isabella di notte infesta il cupo silenzio del castello di Favale. Vero è che nelle Rime, di cui la prima edizione parziale uscì a Venezia presso Gioito (1552), compare la figura della poetessa che si consuma, in un luogo "solitario e strano", senza momenti di gioia, vittima di rancori e di efferatezza senza limite

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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