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Il diario di Nancy

Pensieri e storie tra il vero, il verosimile e l'inganno.

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Cambio di stagione

Post n°182 pubblicato il 29 Ottobre 2007 da bimbadepoca
 

Pioveva lo scorso venerdì, una pioggia cupa e scrosciante. Il clima ideale per tirare fuori dagli armadi, pullover, abiti, giacche, canottiere, pantaloni e vestitini, tutto un bazar sparpagliato sul mio letto, il sintomo evidente della scadenza semestrale del cambio di stagione.
Ci sono abiti che mi porto dietro da anni, senza mai indossarli, abiti cui sono legata dai ricordi del cuore, mi rammentano situazioni ed eventi e m’illudo di ritrovare tra le loro pieghe i profumi dei giorni lontani.
Abiti che rappresentano la scorza delle mie varie mutazioni, quel che resta di me, quello che ero.

Pioveva lo scorso venerdì, una pioggia torrenziale con lampi e tuoni. Il momento catartico per liberarmi di tutta quella zavorra con cui attraverso gli anni.
Et voilà... il vestito crema con i bottoni d’oro, quello corto aperto sul davanti, che così tanti sguardi mi ha regalato, con un volo è finito nella sacca per la Caritas.
La stessa sorte è toccata al tailleur blu profilato di beige, quello che indossavo durante il viaggio di nozze, quando giocavo a fare la signora e avevo poco più di vent’anni.
Ho detto addio anche al vestitino azzurro a fiori blu, così largo che sembrava un ombrellone, mi nascondeva pudicamente il pancione della mia seconda gravidanza.
A morte pure il vestitino con lo scollo quadro, una deliziosa fantasia jacquard blu e crema. Lo comprai per un viaggio in Sicilia e ogni volta che guardo le foto, ripenso alla granita di mandorle con panna e quei cannoli che mi elargirono due chili in più a fine estate.
Mi sono congedata dalla gonna lunga di velluto nero, con lo spacco sul lato. Me l’aveva comprata la mia nonna per il primo capodanno fuori di casa. Era il 1985.
Ho preso commiato finanche dal vestitino di velluto marrone che mi piaceva tanto, lo indossavo tutte le volte che volevo sedurre, consapevole che mi stava d’incanto.
Via anche il tailleur rosa confetto, con la gonnellina corta a pieghe e i bottoni gioiello. Lo comprai per la mia prima serata di gala, l’emozione e il batticuore d’essere finalmente trattata da donna adulta.
Ho gettato senza indugi il tailleur verde mela dal taglio antiquato, indossato un’unica volta al matrimonio di un’amica, perché faceva tanto ragazza perbene.
Ho chiuso definitivamente con il vestito di velluto nero dalla scollatura abissale, in cui tanti occhi si sono perduti invocando lussuria.

E toh… c’è anche un vecchissimo jeans liso e consunto di quando vestivo alla paninara.
E’ strano ritrovarmi davanti proprio ora, dopo averne parlato recentemente nel come eravamo, uno dei capi d’abbigliamento che fu la nostra divisa d’allora, il vessillo dietro il quale nascondemmo la fragilità.
Non avevamo grandi possibilità, noi che fummo ragazzine nella seconda metà degli anni ottanta, se non eri una punk dovevi necessariamente vestire alla paninara, oppure imitare Madonna, peggio ancora seguire le tendenze di moda, con quegli orribili fuseaux fluorescenti, le giacche con triplo strato di spalline che manco Goldrake e i capelli cotonati che sembravano nuvole vaporose sulla testa, come tanti fumetti.
Tra i vari mali scelsi ovviamente il minore, fui una paninara all’acqua di rose, i jeans firmati, le Timberland, gli accessori della Naj Oleari a fiorellini. Alle felpe preferivo i maglioncini di lana d’angora e ai calzettoni Burlington le calze autoreggenti. Ricordo che le compravo in una merceria sulla via principale, non era ancora un indumento diffuso, la commessa, un’anziana e grassa signora, mi serviva non nascondendo la sua disapprovazione che una ragazza tanto giovane comprasse delle calze da mignotta.

Sorrido pensando che in fondo, non sono cambiata molto d’allora, nonostante la lunga scia di abiti che ho disseminato sul mio cammino. Ancora oggi i jeans sono l’abbigliamento che preferisco, quello con cui mi sento più a mio agio, estate e inverno, nelle situazioni formali e in quelle informali. Sono la mia pelle senza la quale sarei nuda. Sono la mia bandiera che non è più una divisa d’ordinanza.
No, non sono cambiata molto da quella seconda metà degli anni ottanta, ho la stessa incertezza politica, gli stessi sogni chiusi nel cassetto e indosso ancora i jeans. Con l’unica differenza che adesso porto calzettoni a righe colorate come una ragazzina.

Pioveva lo scorso venerdì, una pioggia fitta e noiosa, nel frattempo metà del mio guardaroba finiva nella spazzatura, così stamattina prima d’uscire mi sono concessa il lusso di pronunciare la fatidica frase di ogni donna, senza sentirmi in colpa, senza dovermi subire le occhiatacce di riprovazione di mio marito:
 Non ho niente da mettermi” è stato bello gridarlo, terapeutico. E poi guardare lui sconcertato, senza parole, davanti al mio armadio mezzo vuoto… queste sì che sono soddisfazioni!!!

 
 
 
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