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Mondo Jazz

Il Jazz da Armstrong a Zorn. Notizie, recensioni, personaggi, immagini, suoni e video.

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martedì 9 ottobre 2018 alle 20.30

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DI BLOG E DI MAGAZINE

Post n°2218 pubblicato il 04 Aprile 2012 da pierrde

Forse è necessario precisare alcuni valori di fondo: Musica Jazz (e più tardi Jazzit) lo leggo da che ero sui banchi di scuola e, salvo clamorosi default, lo leggerò fino a che campo. Non mi sono mai sognato di fare paragoni tra il magazine ed i blog. Troppo diversi per impostazione, tempistica, competenze e finalità.

Se mi permetto di fare appunti è perchè vorrei una rivista sempre più appetibile e al passo con i tempi, quindi perchè le sono sinceramente affezionato. Dei difetti reciproci  abbiamo parlato in diverse occasioni, ma la strada per la crescita credo sia necessariamente diversa.

I blog non hanno l'assillo delle copie vendute, sono frutto della passione di non-professionisti con le inevitabili tare di eccessi enfantici o carenza di strumenti critici. Hanno però almeno due grandi vantaggi rispetto alla rivista: i tempi rapidi e un assoluto svincolamento da pubblicità, profitto, tornaconti di varia natura e rapporti con musicisti e case discografiche.

Quindi, stringendo, in diverse occasioni sono stati più obiettivi e sinceri delle recensioni di eventi pubblicate sui quotidiani e molto più nei tempi rispetto alla cadenza mensile del magazine.

Come far crescere un blog ? Posso parlare ovviamente solo del mio, ed è necessario ribadire alcuni punti che probabilmente sono comuni agli altri bloggers ma che sono dei paletti fortemente delimitanti. Scrivo per passione dopo una giornata lavorativa di 8-9 ore e rubando il tempo alla famiglia e a alle altre attività.

Date le premesse i margini per leggere, ascoltare e studiare ( !!! ) sono cosi' ristretti che li ho demandati all'età da pensione che prima o poi riuscirò a raggiungere nonostante i continui cambi in corsa.

Mi pare evidente quindi che a breve il mio blog difficilmente potrà mutare rispetto al presente: analisi approfondite di autori o di periodi storici sono impensabili, le recensioni di album sono  piuttosto rare perchè impegnative in termini di tempo e ascolti adeguati.

Rimangono le news, le recensioni dei concerti ed i commenti su fatti e avvenimenti, fatti con spirito (credo) comunicativo, improntato al dialogo  e aperto a tutte le opinioni purchè motivate.

 

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Commenti al Post:
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loopdimare il 04/04/12 alle 20:45 via WEB
Adesso la discussione si fa interessante: 1) Capisco la posizione di Luca Conti, dirige una rivista per professione e è suo interesse legittimo differenziarsi da chi scrive per diletto. Diciamo che diamo per scontato che chi scrive su Musica Jazz sappia il fatto suo e chi ha un blog può anche sapere il fatto suo. Però è ovviamente ingiusto mettere assieme professionisti ed amatori, perchè chi di solito ci rimette è il professionista. Per quanto riguardo la sua rivista, lo invito a leggersi le recensioni di concerti di una decina di anni fa (quelli secondari, in zone un po' periferiche): sono molto simili (negli entusiasmi gratuiti) a certe recensioni che si possono leggere in certi blog. 2) Capisco di meno Gualberto che dice “Quando sono arrivato, il pubblico s' informava soprattutto su giornali specializzati, seguiva la critica paludata. Ora l' informazione è orizzontale, viaggia in internet attraverso testimonianze degli spettatori. E la platea è diventata più calda, vive un rapporto con la musica gioioso, fisico.” poi legge la recensione della blogger con la matita rossa e fai i segnacci. 3) Personalmente da quando frequento questo blog e Mi piace il jazz, prima di sbilanciarmi sul mio blog ci penso tre volte... Sono già stato redarguito per una battutaccia su Cecil Taylor, artista sommo, che tutti dichiarano ad alta voce di amare e che poi in camera caritatis confessano non sopportare.
 
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Luca Conti il 04/04/12 alle 21:00 via WEB
Loopdimare, le ho lette, le ho lette (ed è uno dei motivi per cui ho deciso di dare un taglio netto, sulla rivista, alle recensioni dei concerti. Poche ma (spero) buone). Per il resto, io non ho nessun problema con chi scrive di jazz per diletto, ci mancherebbe. L'ho fatto pure io, per molti anni, ed è stata un'utilissima e fondamentale palestra. Però adesso lo faccio di mestiere (senza, così mi auguro, aver perso la passione), e sono obbligato a esercitare su me stesso e sugli altri un ben più rigido controllo di qualità. Non è detto che ci riesca sempre, ma quantomeno ci provo.
 
   
Utente non iscritto alla Community di Libero
loopdimare il 04/04/12 alle 21:10 via WEB
immagino che agli uffici stampa dei discografici (ma ci sono ancora?) faccia comodo una galassia di blogger entusiasti. può anche servire a nascondere qualche critica negativa di qualche giornalista serio. capisco di meno l'atteggiamento dei blogger che si ritengono migliori perchè non condizionati da eventuali problemi di bottega o parrocchia. Un discorso uscito non molto tempo fa e che mi ha lasciato un po' perplesso. Non avere condizionamenti ed essere entusiasti sono due belle condizioni, ma capirci qualcosa e conoscere magari anche qualche retroscena, è meglio... Tanto dopo un po' si riesce a fare la tara anche al critico.
 
 
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riccardo il 04/04/12 alle 21:29 via WEB
su Taylor come su altri bisognerebbe imparare a fare ragionamenti non a scatola chiusa e imparare a distinguere. Dire di amare Taylor per quel che mi riguarda è difficile visto che spesso mi fa "soffrire" ma, si sa, a volte l'amore sofferto si fa preferire...Di quale Taylor parliamo? Non tutto quello che ha fatto è di rilievo come anche per Davis o altri giganti, ma è pur vero che ha sempre goduto di ottime recensioni dalla ns critica direi in maniera incondizionata (o semplicemente preorientata?). Di certo qualcosa di buono nella sua vasta discografia si trova e anche di ascoltabile. Mi capitò di ascoltarlo al Donizetti nel 1999 se non erro e me ne andai dopo un'oretta assai incazzato perchè secondo me quel concerto era una evidente presa per i fondelli con il viloncellista che a un certo punto metteva lo strumento di traverso e urlava a squarciagola "spaghetti alla carbonara". E' arte musicale? Può essere ma so solo che quella roba non mi interessa minimamente. Sessa ne parlò da entusiasta su Musica Jazz ma certo non mi fece cambiare idea e nemmeno oggi la cambio. Oggi lo stesso approccio lo vedo applicato al "trombettista preferitto dagli italiani" e a te tantop caro. Altro genere ma nella sostanza stesso approccio acritico per me naturalmente sempre e comunque inattendibile...
 
 
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Gianni M. Gualberto il 05/04/12 alle 08:52 via WEB
Non vedo l'incongruenza. Perché, per l'appunto, c'è blog e blog, c'è pubblicazione e pubblicazione. Io sono convinto che i blog abbiano in parte messo in crisi la critica "istituzionale" (ma forse, più che di merito dei blog, si dovrebbe parlare di demerito della critica) e che questo sia stato un bene (pronto a ricredermi, ovviamente). Trovo che il pubblico, oggi, lontano da certo tipo di pubblicazioni, che erano e sono diventate pleonastiche nel loro spegnersi qualitativo (confesso di essere molto curioso sul futuro operato di Luca Conti, che è persona che, nel mio piccolo, stimo molto), non sia necessariamente peggiorato, anzi. Poi, ovviamente, stiamo parlando di nicchie... Ciò detto, questo non mi rende né cieco né sordo. Se leggo che Jason Moran si riallaccia al dixieland (e qui non si tratta di gusti, ma di dati di fatto), oltre a venirmi da ridere, faccio notare che è una corbelleria e che chi scrive, dunque, non conosce Moran, non conosce il dixieland e, temo, ipso facto, non conosca molto altro. Apprezzare certe iniziative non significa accoglierle tutte indistintamente. Non sono mai stato molto ecumenico...
 
   
Utente non iscritto alla Community di Libero
daniela floris il 05/04/12 alle 11:23 via WEB
Non ho detto che Jason Moran in generale si riallaccia al Dixieland. Come non ho detto che Bern ricorda Stravinskij!!!!! Questo è falso!!!!!! Si legga il mio articolo senza trarre conclusioni e senza pregiudizio!!!! ho ricondotto, secondo il mio parere e non volendo asserire alcuna verità o inscrivere i due artisti in alcuno schema, piccoli tratti dei loro concerti ad atmosfere che mi ricordavano Stravinskij o il Dixieland!! "E’ un divertente e divertito intrattenitore, non esente da momenti più introspettivi, che si mantiene giocoso anche nel caso di dissonanze più aspre, che contrastano sempre però con momenti di omaggio al mainstream, o persino al dixieland". Momenti di omaggio, non "Moran è ascrivibile al Dixieland" "Persino" vuol dire che lo sfiora, LO CITA, non che ne porta avanti la poetica E su. Non siete d' accordo? E' cosa diversa da dare dell' incompetente a chi non conoscete.
 
     
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Gianni M. Gualberto il 05/04/12 alle 15:08 via WEB
Carissima Daniela, purtroppo l'equivoco continua perché parliamo di cose diverse, Senza cattiveria, se tu sapessi cos'è il Dixieland, sapresti che un artista africano-americano non vi si potrebbe rifare mai. E da lì a discendere per li rami...
 
     
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daniela floris il 05/04/12 alle 15:30 via WEB
Gianni So cosa è il Dixieland. Roba di bianchi. "Rifarsi" non è termine adatto. Neanche ispirarsi. Direi citare, ma non conta Moran = Afroamericano Moran= New Orleans Guai al nero che citi il Dixieland! Ti lascio gioire su questo. Poi c'è tutto il resto dell' articolo. Ma meglio citare spasmodicamente il Dixieland, magari dicendo che è la fonte di ispirazione per Moran. E così ne facciamo fuori un' altra, dicendo che ha detto che Berne si ispira a Stravinskij (falso) Basta altro che equivoco: comincio ad avere molto chiara la situazione.
 
     
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Gianni M. Gualberto il 05/04/12 alle 15:41 via WEB
Cara Daniela, rileggiti le tue frasi, non le ho scritte io. E, comunque, il dixieland non è linguaggio cui Moran possa, credo, scegliere di riferirsi in alcun modo. E non è questione solo di bianchi o non bianchi... Il dixieland è una nota a piè di pagina, un fatto di costume, se vogliamo. Se scrivi, fallo pensando anche al tuo lettore. In quel contesto, alludere al dixieland è un falso intellettuale. Che ti piaccia o meno. E la tua vittima è il lettore, al di là del musicista stesso, che forse può permettersi il lusso di fregartene. Non ho voglia di convincerti a tutti i costi. Mi spiace tu non voglia ricordarti che il diavolo spesso si annida nel dettaglio... Detto questo, finiamola qua, è un dialogo che non ha più senso e di cui tu intravedi spazi angusti mentre, al contrario, si tratta di altro. Va bene così, d'altronde non voglio certo convincerti a forza. Diciamo, dunque, che la pensiamo in modo diverso. Capita.
 
     
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daniela floris il 05/04/12 alle 15:50 via WEB
I musicisti per fortuna suonano e se la ridono quando leggono pagine e pagine di dotte dissertazioni su di loro. Anzi neanche le leggono. Si, direi che la pensiamo proprio in modo diverso. Capita.
 
     
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riccardo il 05/04/12 alle 16:01 via WEB
daniela di quali musicisti parli? Perché nel mio piccolo la mia esperienza mi dice che riguardo agli italiani più che ridere si incazzano parecchio e ti scrivono e ti telefonano per dirtelo. Certo Davis, Gillespie & company si facevano delle grasse risate o semplicemente se ne fregavano. In ogni caso credo che il target degli scritti critici vari dovrebbero essere lettori e pubblico, non i musicisti o mi sbaglio?
 
     
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Gianni M. Gualberto il 05/04/12 alle 16:18 via WEB
Daniela ha ragione, anche se a qualche musicista leggere non farebbe proprio male, si trattasse anche delle nostre stupidaggini. In genere, è vero, l'artista tende a svicolare dalle maglie della varia scrittura in campo musicale. Anzi, nel jazz è d'uso ascoltare i predecessori, nella musica accademica sono molti i pur illustri interpreti che, pur di non farsi condizionare, evitano accuratamente l'ascolto. Sono posizioni diverse, forse legittime ambedue. Poi, si scrive. Non so se pensando a un pubblico o meno... Esprimere un'opinione non implica che altri ne tengano o ne debbano tenere conto. Daniela ha perfettamente ragione ma, dovessimo dare retta a tale scuola di pensiero, scatterebbe solo l'autocensura. Difatti, Daniela scrive, esattamente come molti altri, indubbiamente fregandosene se i musicisti la leggono o meno. Giusto. Capisco. Ma quanti di noi hanno l'assurda pretesa di scrivere per i musicisti? Poi, se vogliamo, possiamo aprire un dibattito se la critica sia utile o meno, se divulghi o meno, se, in fin dei conti, possa essere o meno utile agli stessi musicisti... Il discorso si farebbe lungo e complesso. Meno male che c'è chi sa tagliare tutto con la spada, come Alessandro con il nodo gordiano.
 
     
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daniela floris il 05/04/12 alle 16:25 via WEB
Delle dotte dissertazioni intellettuali sulla loro poetica e sulle presunte influenze subite da artisti precedenti in generale se ne fregano. Invece confermo, si incazzano sulle semplici recensioni a loro lavori o su loro concerti. Da una parte posso anche capire il perchè: il loro lavoro, che magari ha occupato un anno della loro vita viene liquidato solo in virtù dei gusti di uno o dell' altro. Perchè l' obiettività non la raggiungerà mai neanche il più dotto dei critici musicali, credo.
 
     
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Gianni M. Gualberto il 05/04/12 alle 16:05 via WEB
Cara Daniela, può darsi che tu abbia ragione. Anche Rollins ironizzava sulle dotte analisi di Schuller su "Blue Seven", eppure non ti farebbe male leggerle. Inutile piccarsi. Ognuno, è questo è il bello, rimane delle proprie convinzioni. Io, purtroppo, da buon ebreo, sono ormai tormentato dal dubbio, tu, fortunata, sei beata dalle certezze. Ti invidio. Un caro saluto, non ho proprio altro da aggiungere.
 
     
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daniela floris il 05/04/12 alle 16:17 via WEB
Il dubbio tormenta da sempre anche me: è che abbiamo dubbi su cose diverse. Anche tu mi appari avere molte certezze: ma è un' apparenza. Presupponiamo per lo meno una buona fede di base reciproca: io non ho difficoltà a farlo. Tu?
 
     
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Gianni M. Gualberto il 05/04/12 alle 16:21 via WEB
Francamente, arrivato a 57 anni, ho difficoltà a non dubitare persino del mio stesso nome. Ma non dubito certo della tua buona fede.
 
     
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daniela floris il 05/04/12 alle 16:30 via WEB
Caro Gianni io a 47 dubito quanto te anche sul mio nome che ne sarà di me a 57? Sono così infantile che però il presupporre la buona fede già mi rende felice: vuol dire che ognuno non mette in dubbio l' onestà intellettuale dell' altro...ecco questa è una certezza che mi fa bene. Diamola per assunta, per carità
 
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loopdimare il 04/04/12 alle 21:38 via WEB
non ho capito l'obienzione. e se per quanto riguarda Davis, si può, al limite chiedere di precisare il periodo, per Taylor (secondo me) no, visto che ha sempre fatto la stessa musica. Non c'è stata una vera evoluzione: era perfettamente autosufficiente negli anni 70 e lo è adesso. In tutti gli incontri musicali che ha avuto, ha giocato solo ad aggredire o depistare il partner (povera Mary Lou Williams) funzionando bene solo con l'immenso Max Roach. detto questo, dal basso della mia posizione di blogger ormai pensionato, posso permettermi di dire cose gli addetti ai lavori non dicono.
 
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
riccardo il 04/04/12 alle 21:46 via WEB
ascoltati "The man with the horn" per esempio. Qualche disco deboluccio l'ha fatto anche il divino... Ci sono alcuni piano solo di Taylor notevoli tra la fine anni'60 e inizio '70 e i primi dischi anni'50 sono più che "leggibili".
 
   
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riccardo il 04/04/12 alle 21:49 via WEB
naturalmente il trombettista preferito dagli italiani non intendevo davis ovviamente...
 
   
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loopdimare il 04/04/12 alle 21:52 via WEB
Ricardo tu mi parli di dischi "deboli" che sono una cosa, io ti parlo di una poetica che non sopporto.
 
     
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riccardo il 04/04/12 alle 22:00 via WEB
ah...sul non sopportare non ci si può fare niente, ma in generale cerco di essere selettivo e con le orecchie aperte, non si sa mai. Pensa che lo faccio anche col trombettiere nazionale che ti piace tanto e che fa du du, du du du....:-)
 
     
Utente non iscritto alla Community di Libero
loopdimare il 04/04/12 alle 22:04 via WEB
io non impazzisco per Rava. avessi letto con cura il mio dialogo con Gualberto sull'argomento, l'avresti anche capito. e comunque tra Silent Tongues e Il giro del giorno in 80 mondi, preferisco ascoltare il secondo...
 
     
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riccardo il 04/04/12 alle 22:06 via WEB
pensa che io la vedo al contrario, ma non avevo dubbi visto che non siamo d'accordo su quasi nulla. Va bene così.
 
     
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loopdimare il 04/04/12 alle 22:11 via WEB
ed io rimango nella convinzione che a te Taylor non piaccia... (ed io ho parlato di ascolto, non di scala di valori...)
 
     
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riccardo il 05/04/12 alle 10:27 via WEB
Perdiana hai anche delle convinzioni su cosa mi piace o non piace, caspita... Guarda con questo sono 36 anni che il Jazz è entrato nella mia vita e nella vita si cambia, almeno per me èstato ed è così, non solo fisicamente ma anche nel pensiero, nello spirito e nei gusti, sulla base delle esperienze maturate e non solo. Posso dirti che 30 anni fa non mi piaceva Jarrett e non sopportavo Taylor il Davis post Bitches Brew e non riuscivo ad ascoltare il jazz tradizionale mal registrato in compenso apprezzavo ad esempio Rava. Oggi tutto il contrario e magari cambierò ancora alla scoperta di nuovi apprendimenti. Quindi come vedi si cambia e si può cambiare perché anche il proprio senso estetico può cambiare e il modo di vedere le cose può diventare più ampio. Non sempre ascolto ciò che mi piace ascoltare, non vivo l'ascolto solo come appagamento del proprio senso estetico perché questo approccio per me è limitante e significa in ultima istanza gustare edonisticamente se stessi più che la musica che si ascolta, in cui la musica gioca il ruolo di specchio riflettente del sé. Io invece oggi intendo la musica più come strumento di crescita e una possibiltà per ampliare il proprio spettro emotivo, sensoriale e di veduta mentale, ossia la propria umanità nel senso pieno del termine, quindi mi confronto spesso con musiche che in prima battuta "non mi piacciono" o sembrano non comunicarmi molto con approccio più possibilista e il meno pregiudiziale possibile. A certe critiche su Rava, giuste o sbagliate che siano, ad esempio ci sono arrivato per gradi e dopo attenta analisi e ascolto ripetuto, il che non significa che abbia ragione e tu o altri che lo apprezzano torto, naturalmente. Cerco comunque di capire cosa c'è comunque di buono in Taylor come in Rava evitando l'apprezzamento o il deprezzamento integral-integralista (Qualche disco di Rava mi piace ma non tra i recenti ECM che per me sono prodotti di marketing e basta). Ho detto e scritto cosa mi stimola o mi piace di Taylor come di Rava e cosa no in maniera spero sufficientemente selettiva, dopo di che sempre di opinioni e gusto personale si tratta, ma quando si danno valutazioni sui musicisti e le loro poetiche od estetiche ragionando per gusti si rischia di definire Taylor una rottura di palle, Marsalis una disgrazia jazzistica, Jarrett un egocentrico insopportabile megalomane per poi dire che Rava o chi per lui è una goduria quando rispetto a loro gli fa solo il solletico. Stiamo attenti perché per fare informazione distorta ci vuole poco, come sanno tutti gli esperti di marketing...
 
     
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loopdimare il 05/04/12 alle 11:44 via WEB
nche io ho cambiato i gusti col tempo. da giovane mi piaceva molto il free ed ero un po' severo sul mainstream. Adesso è sostanzialmente il contrario. Cerco di ascoltare la musica che mi soddisfa di più per quello che questa parola possa significare) ed evito (cosa che facevo invece spesso da giovane) di "farmi piacere alcune cose" solo perchè indicate dai critici. Mi sono accorto che nella veloce avanzata alla ricerca sempre della novità, molti artisti sono stati letteralmente cannibalizzati, e mi sto dedicando ad ascoltare questi dimenticati. Mi diverto a provocare su Cecil Taylor, perchè lo ritengo più un compositore di musica contemporanea che un jazzista (ammesso che una simile distinzione abbia un senso), ed anche perchè so che molti non lo sopportano ma non osano dirlo. Su Marsalis mi sono incazzato per certe sue dichiarazioni ingiuste nei confronti di certa musica moderna. Ho trovato la sua operazione di recupero del passato, un po' troppo passatista, ma Gualberto me l'ha storicizzata. Detto questo, è inutile girarci attorno, anche i critici hanno i loro amori e i loro odi (per fortuna) e mi mancano un po' i critici come Livio Cerri che aveva il coraggio di sparare a zero si Miles Davis (ritenendolo falloso e tecnicamente insufficiente) e di scriverlo senza troppi giri di parole. Sia chiaro che io Davis lo adoro, è il musicista che più porto nel cuore (assieme ad Armstrong e il Duca) ma mi piaccione certe prese di posizione poco diplomatiche. E se ogni tanto ci sono riviste che riportano recensioni multiple di album, a volte contrastanti tra loro, vul dire che le opinioni hanno ancora diritto alla differenzazione.
 
     
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daniela floris il 05/04/12 alle 12:09 via WEB
dal basso della mia incompetenza mi spiace dire che sono totalmente d' accordo con lei, il che mi spiace toglie forse autorevolezza alle sue affermazioni! Mi dileguo
 
     
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riccardo il 05/04/12 alle 12:17 via WEB
stavolta sono sostanzialmente d'accordo con te specie sulle tue preferenze relative ad Armstrong e Ellington (io ci metto anche Mingus, la cui musica e la sua forza espressiva non risentono minimamente del passare del tempo, questi per me sono i veri grandi artisti del jazz e lo saranno in ogni tempo) oltre a Davis e al fatto di non star dietro alle novità presunte o reali ma a riscoprire musicisti che in un periodo temporalmente rapidissimo di fulgore e di pluralità di proposte che ne hanno celato il valore per molto tempo. Anche l'approccio critico maggioritario specie da noi dopo l'avvento del Free ha contribuito in negativo gettando in un unico calerone genericamente classificatorio tutta una serie di grandi musicisti che oggi sarebbero letteralmente osannati. La fallosità di Davis che pure esiste è particolare trascurabile rispetto alla visione estetica e alla progressione evolutiva della sua musica, che è ben diversa dalla fallosità dai cliché e dalle debolezze varie di Rava (per il quale l'elemento di valutazione è molto più rilevante, in quanto la sua proposta musicale è assai più limitata rispetto a quella di Davis) alle mie orecchie poco sopportobili. Riguardo al problema delle recensioni diplomatiche, credo che con gli italiani sia una questione di sopravvivenza se conosci come conosco io il loro livello di permalosaggine anche se non la approvo. Sui musicisti stranieri mi paiono più "liberi" anche se le problematiche di marketing e sponsorizzazioni varie intorno al jazz qualche problema serio lo provocano. Insomma è un bel casino oggi esercitare ua reale critica, almeno suppongo...
 
     
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Gianni M. Gualberto il 05/04/12 alle 15:34 via WEB
A me non mancano gli "stroncatori" per definizione, tesi a eliminare tutto ciò che scomoda le loro convinzioni. Non disdegno le "rasoiate", ma che senso ha fare Capitan Fracassa se non si è stati ideati da Téophile Gautier? Non direi che Taylor sia sempre stato autosufficiente, come Pallade Atena spuntata dal cervello di Zeus... Anzi, mi paiono evidenti numerosi fasi, differenziazioni nette fra il suo solismo e collettivi diversissimi fra di loro (francamente, trovo il Taylor meno stimolante proprio quello affiancato da Tony Oxley, un ex-interessante batterista rimasto con poco o nulla da dire. Peccato, bastava ascoltarlo con Bill Evans in "Nardis" per rimanere colpiti da potenzialità poi progressivamente annientate). Dirò di più, Taylor ha saputo raggiungere, in taluni lavori, squarci melodici e lirici (eminentemente esatonali) di stampo quasi operistico, pur mantenendo una tensione palpabile, sempre sull'orlo dell'autocombustione, in un raccordo fra operatività mentale e operatività fisica difficilmente uguagliabile per intensità e lucidità. Tant'è che artisti in qualche modo a lui parzialmente riconducibili, come Don Pullen e D. D. Jackson (via Don Pullen), non hanno mai battuto completamente strade analoghe. E tutto si può dire fuorché sia virtuosismo esibizionista, barocchismo gratuito. Certo, è un percorso estremo al punto del solipsismo, ma questo è altro paio di maniche. Quanto a Davis, che c'entrerà mai? Trombettista falloso? Sì, ma non esageriamo. Se avesse avuto le doti di Freddie Hubbard forse non avrebbe assecondato quella via al lirismo, tutt'altro che privo di nerbo, che ha raggiunto comunque, nel suo contesto, vertici di virtuosismo: basti pensare all'uso della sordina... Il virtuosismo non sempre è una prova muscolare. E, comunque, Davis non era un dilettante dal punto di vista strumentale. D'altronde, persino un virtuoso come Kenny Dorham, avendo scelto strade meno devote all'esibizione muscolare delle doti strumentali, passò presso alcuni come un trombettista di non rilevante valore... Il dramma di Taylor, se di dramma si vuol parlare, è di avere scelto un cammino difficilmente percorribile da altri con gli stessi risultati... Davis, per quanto altrettanto ineguagliabile, ha scelto un altro tipo di solitudine, meno sfrontata ma non per questo meno netta.
 
     
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riccardo il 05/04/12 alle 15:49 via WEB
Non ho capito bene Gianni con chi l'hai. Per quel che mi riguarda le cose che scrivi di Taylor vanno benissimo e della fallosità di Davis me ne frego perché irrilevante sul suo prodotto musicale finale. Stammi bene.
 
     
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Gianni M. Gualberto il 05/04/12 alle 16:02 via WEB
Ma proprio con nessuno. Rimarcavo proprio come certi fenomeni non siano paragonabili. Ma sulla questione della fallosità di Davis ho solo espresso un minimo di perplessità. Niente di che. Stammi bene pure tu.
 
     
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riccardo il 05/04/12 alle 16:10 via WEB
In effetti parlare di fallosità sul trombettismo di Davis è eccessivo, hai ragione ad essere perplesso. Il suono è bellissimo ed intonatissimo. Era argomento battuto anche ai tempi su it.arti.musica jazz da diverse persone ma io non mi sono mai trovato d'accordo. Forse la tecnica sulla frase si può dire che non era Freddie Hubbard o Woody Shaw ma il lirismo che comunica, la potenza melodica delle sue frasi e il suo senso del tempo perfetto sono sempre stati il suo punto di forza e la tecnica che aveva era assolutamente adeguata allo scopo.
 
     
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loopdimare il 05/04/12 alle 18:43 via WEB
Immagino che la filippica relativa a Taylor sia diretta a me. Allora, vediamo un po': se non si è Gautier è meglio non fare i Capitan Fracassa, ma chi decide se uno è Gautier o no? La rete? Gualberto? Gautier? Perchè poi se uno gratta un po', la democraticità della rete va bene, ma poi quando ci vuole è sempre meglio fare pesare gli attributi. Il pubblico della rete si è liberato dal giogo dei critici paludati solo se la pensa come Gualberto? Quanto alla fallosità di Davis, era una citazione della posizione (di molti decenni fa) Livio Cerri, a semplice dimostrazione che ogni tanto occorrerebbero anche dei critici meno omologati, che magari sbagiano ma lo fanno con coraggio. Per quanto riguarda Davis, essendo il mio mito il discorso sulla sua fallosità non mi tocca minimamente.
 
     
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Gianni M. Gualberto il 05/04/12 alle 22:32 via WEB
Ma quale filippica... Come siete permalosi... Casomai, con Gautier e Capitan Fracassa alludevo a Livio Cerri, persona degnissima ma che mi lasciava perplesso come critico e come compositore... Che Davis non fosse un trombettista impeccabile si sapeva ma, per l'appunto, agiva in un contesto in cui ciò era importante fino a un certo punto. Tant'è che la sua fallosità gli fu di relativo impaccio anche in un ambiente in cui certamente non mancò di essere notata. E, comunque, trombettista "falloso", d'accordo, ma in certe pagine che m'è capitato di leggere si direbbe che egli fosse al di sotto dell'amatorialità... Il che è risibile. Su tutto il resto sorvolo, non mi interessa la polemica, non ho più le energie...
 
     
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riccardo il 06/04/12 alle 10:59 via WEB
in effetti rileggendoti bene si capisce che ti riferivi a Cerri e in generale all'approccio stroncante. A proposito di capacità strumentali ed improvvisative, rilancio. Ieri ascoltavo il Paris Concert del gruppo Circle, in paricolare "There is no greater love". Qualcuno mi sa dire qualcosa dell'assolo ivi contenuto di Braxton, del suo suono e del suo fraseggio? Io un'idea ce l'ho precisa ma appunto per non fare il Capitan Fracassa evito di scriverla...
 
     
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Gianni M. Gualberto il 05/04/12 alle 15:16 via WEB
D'accordo sulla differenziazione di opinioni, purché portino con sé il peso delle loro motivazioni, altrimenti sono indistinguibile aria fritta. Se la libertà d'opinione significa intervenire indistintamente sulla Shoah, il prezzo delle fragole in Provenza, la sanità in Brasile, Al-Qaeda, il dogma della verginità della Madonna e la siderurgia in Antartide, tanto per parlare, allora è inutile discutere... A dire "mi piace", "non mi piace" siamo, purtroppo, bravi tutti. Motivare i perché, anche farraginosamente, mi pare più interessante.
 
     
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Elfio Nicolosi il 05/04/12 alle 16:17 via WEB
Caro Gualberto, quando si parla di musica non è sempre facile motivare i perchè mi piace o perchè non mi piace. Almeno per quel che mi riguarda la musica mi colpisce visceralmente e nessuna maggiore consapevolezza o competenza mi farebbe cambiare idea.
 
     
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Gianni M. Gualberto il 05/04/12 alle 16:25 via WEB
Eh sì, è il famoso problema dei beni immateriali... Mi ricordo di avere ascoltato il Concerto in La di Schumann mentre ero malato, a letto, e di averne ricavato un'impressione a dir poco sconvolgente. Riascoltato pochi giorni dopo lo choc non fu più tale... E ancora oggi mi riesce difficile spiegare sia l'una che l'altra impressione. Però, di questo passo, da Hanslick a Dahlhaus, cancelleremo ogni saggio musicologico, per non parlare del giornalismo musicale...
 
     
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Elfio Nicolosi il 05/04/12 alle 16:38 via WEB
Lascio i saggi a voi studiosi, per me la musica è e resta esclusivamente un piacere. Nessun saggio (nè tantomeno nessun giornalista) riuscirebbe a farmi apprezzare una musica che non mi piace.
 
     
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daniela floris il 05/04/12 alle 16:40 via WEB
Ecco! si
 
     
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loopdimare il 05/04/12 alle 18:28 via WEB
Caro Gualberto, lei è un grande contropiedista ed ha la sintesi un po' acida perfetta per uno scambio di idee. Però poi, anche lei si ritorce inaspettatamente e fa un po' il critco paludato. Bisogna Motivare? sarebbe meglio ma non è indispensabile. Motivare per farsi impallinare, magari su un particolare sbagliato - magari l'unico? Per un critico il criterio Mi piace-Non mi piace non è accettabile, ma per un semplice appassionato potrebbe anche essere sufficiente. Personalmente, tanto per rinvigorire il mio masochismo, ho motivato la mia avversione a Cecil Taylor e mi sono sentito rispondere che è un grandissimo virtuoso, che suonare col suo vigore per tutto il tempo che suona lui è da pochi e così via. Le mie motivazioni, in sintesi sono: - è più un musicista contemporaneo d'avanguardie che un jazzista. - fa musica, nonostante le apparenze, sostanzialmente statica e ripetitiva che si differenzia solo per il tempo (lento o veloce) del brano. -- un altro discorso da aprire sarebbe quello dell'utilità di una musica d'elite, nata come musica di intrattenimento, diventata la musica da ballo per eccellenza e finita ad essere una musica per ipercritici che vogliono le motivazioni... Mah.
 
     
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Luca Conti il 05/04/12 alle 19:52 via WEB
Però giochiamo un po' tutti a non volerci capire, no? Taylor è un jazzista puro e semplice, non potrebbe essere altrimenti, basta ascoltare i suoi dischi degli anni Cinquanta per capire da dove è venuto fuori. Dire che è "un musicista contemporaneo d'avanguardie" mi pare molto fuorviante. Cosa significa? Quali avanguardie? (parola terribile, peraltro) E se si ascolta, che so, "Suicide in an Airplane" di Leo Ornstein, che è un pezzo del 1914 o giù di lì? Cos'è, un Cecil Taylor ante litteram? O Henry Cowell?
 
     
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Gianni M. Gualberto il 05/04/12 alle 22:26 via WEB
Ah, cazzo, scusate l'esclamazione francese, ma queste, perdio, sono citazioni gustose: Ornstein e Cowell. E la Sonata per Pianoforte di Griffes, del 1917? Ha ragione Conti: che piaccia o non piaccia, Taylor è veramente un jazzista e non ha mai smesso di esserlo. E ha swing, per quanto spesso esplicitato in modo talvolta eterodosso. Per principio, non sono contro al termine avanguardia o avanguardie, ma visto che è un termine eminentemente novecentesco, e visto che ormai siamo alla terza se non alla quarta ondata di avanguardie, è evidente che categorizzare gli appartenenti è esercizio piuttosto generico. Soprattutto nel jazz, in cui la musicologia, compresa parte di quella americana, ha teso a scimmiottare tutti gli strumenti della musicologia accademica post-schenkeriana, con tutto un armamentario di vetusta semiotica per il quale ben pochi di certi esegeti era realmente preparato (e questo vale per ambedue le sponde dell'Atlantico). Per cui, in effetti, l'uso del termine avanguardia può talvolta provocare l'orticaria. Comunque, il parallelo fra Taylor e le avanguardie post-Darmstadt non regge bene... Se non altro, Taylor "comunica" ben di più, e la sua posizione è tutt'altro che elitista e, peraltro, riflette tematiche prettamente africano-americane. Come contropiedista ormai non valgo un granché: non gioco a calcio da un paio di decenni e, comunque, vi ho rimesso legamenti e menisco. E pensare che credevo il jazz fosse un affare tranquillo... E invece...
 
     
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riccardo il 06/04/12 alle 11:04 via WEB
Spiegami, caro loop, perché Taylor non sarebbe un jazzista e Rava sì...tanto per cambiare discorso...;-))
 
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Luca Conti il 04/04/12 alle 22:41 via WEB
Comunque "Silent Tongues" resta un gran disco. C'è qualche pianista, trentacinque anni dopo, in grado di reggere 50 e passa minuti di musica con una tale intensità e un tale lirismo?
 
 
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loopdimare il 04/04/12 alle 22:53 via WEB
Conti, se la mettiamo in termini di prestazioni olimpiche, hai ragione. io ho fatto un paragone provocatorio, ma ho parlato di "voglia di ascoltare". detto questo, non mi piace la poetica di Taylor, un frenetico muoversi che non conduce mai da nessuna parte. Meglio quello che ha fatto Monk con 1 millesimo delle note di Taylor.
 
 
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Gianni M. Gualberto il 05/04/12 alle 08:36 via WEB
Lo stesso dicasi, per Spring of Two Blue Js, a mio parere uno dei lavori più lirici di Taylor.
 
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Elfio Nicolosi il 05/04/12 alle 08:37 via WEB
Per tornare al tema del miglioramento qualitativo dei blog (ma anche della carta stampata), è chiaro che un generico riferimento all'aumento della qualità va bene, ma rispetto a che cosa? Chi è autorizzato a dire che qualcosa abbia maggiore qualità di un'altra? Io personalmente cerco nel mio piccolo di migliorare il mio blog ogni giorno, sia a livello visivo che di contenuti. Infatti è molto cambiato rispetto all'inizio. Personalmente sono consapevole di non essere un grande scrittore e quindi cerco di ridurre al minimo i miei contributi, preferendo lasciare spazio ai critici, giornalisti e blogger specializzati che penso possano dare un maggiore contributo di qualità di quanto possa fare io. Il mio lavoro essenzialmente quello di assemblare notizie e informazioni ed altro materiale presente su Internet, cercando di creare un prodotto che possa essere coerente ed soprattutto interessante. Però poi vedo che nella colonna dei post più visitati appaiono due dei rari post scritti integralmente da me e questo mi confonde. Il mondo dei blogger è altamente competitivo (molto più della carta stampata), ogni giorno aprono e chiudono migliaia di blog, gli unici che riescono ad andare avanti sono quelli che hanno realmente qualcosa da dire, anche perchè su internet le stronzate vengono subito smascherate. L'unica qualità che conta su internet è quella che ti consente di trovare un tuo spazio. Puoi fare il blog più bello e "qualitativo" del mondo, ma se nessuno ti legge non durerà molto. Invidio l'amico Roberto che dura da tanti anni, da parte mia tante volte ho avuto la tentazione di mandare tutto all'aria, ma poi arriva l'incoraggiamento da tanti appassionati e ritorna l'entusiasmo e la convinzione di stare facendo un buon lavoro.
 
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loopdimare il 05/04/12 alle 20:49 via WEB
Crao Conti, le etichette valgono quello che valgono, ma a volte aiutano la sintesi. Il fatto che negli anni 50 facesse dell\\\'ottimo jazz, non garantisce di per sè quello che ha fatto dopo: garantisce solo da dove è partito. Se vogliamo restare nel nostro piccolo, prendiamo Gianluigi Trovesi: sono anni che passa la maggior parte del tempo a fare musica che lui stesso definisce non jazz, eppure viene percepito come jazzista... Visto che ama citare poteva anche citare Descent into Maelstrom di Tristano... Comunque, se vogliamo usare gli attuali criteri di definizione del jazz, Taylor fa jazz. Un jazz che tradisce tutti i presupposti su cui è nato ma che è storicamente accettabile. Resta solo da chiedersi come avrebbero reagito critica a pubblico se questa musica fosse stata fatta da un bianco.
 
 
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Gianni M. Gualberto il 05/04/12 alle 22:34 via WEB
Taylor è un caso un po' a parte... Un suo ammiratore come Borah Bergman ne ha tratto lezioni molto interessanti...
 
 
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riccardo il 06/04/12 alle 11:08 via WEB
non è colpa di Trovesi se chi lo ascolta o lo recensisce fa confusione. Lui non la fa, come anche vi ho riportato nell'episodio personale che vi ho raccontato qualche tempo fa. E' proprio su questo punto che da anni mi batto. Da noi si fa un gran casino intorno al jazz e al suo significato e non da oggi.
 
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