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Il diario intimo della Donna Camèl con l'accento sulla èl
 

 

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L'occhio del coniglio - ultimo capitolo, ringraziamenti e baci

Post n°741 pubblicato il 28 Aprile 2013 da LaDonnaCamel
 

Beati quelli che riescono a pubblicare un libro perché così possono mettere in fondo i ringraziamenti. Ecco i miei, sono grata a molte persone e lo posso dire qui sotto, alla fine dell'ultimo capitolo, come si conviene.


"Perché lo tieni aperto a questa pagina?" Barbara si era fermata davanti a un libro d'arte appoggiato allo scaffale come su un leggio.
"Non so, mi piace" disse Anita, "secondo te dobbiamo rilavarli tutti?" teneva in mano un vassoio pieno di bicchieri a gambo lungo.
"Ma no, basta una spolverata. Dammi qua, ci penso io." disse Barbara.
Anita appoggiò i bicchieri al tavolo dove erano già state disposte le ciotole con le patatine, i pop corn, le noccioline e un vaso pieno di tulipani.
"Sono così nervosa."
"Tu? Non ci credo" rise Barbara. "Vatti a cambiare piuttosto, che tra un'ora arrivano".
"Vado. Non spostare il libro."
"Ma no."
"C'era un foglietto a tenere il segno." Anita si era fermata sulla porta.
"Un biglietto di tuo padre?"
"No, era un pezzo di carta bianco. Dai vado."

L'inaugurazione dello studio era andata bene, era venuta un sacco di gente, soprattutto grazie a Barbara. Anita si sedette su una poltroncina della stanza più grande, la sala riunioni col tavolo di cristallo e lo schermo sulla parete, e si tolse le scarpe con i tacchi. Massaggiandosi la pianta di un piede pensò che ci sarebbero volute due ore per mettere a posto, non ne aveva proprio voglia. Le facevano male le gambe. Toccava a lei, Barbara aveva lavorato una settimana per organizzare la festa e l’impresa di pulizie non sarebbe venuta fino a sabato.
Mentre raccoglieva le cartacce e i bicchieri sparsi dappertutto ripensò al libro di suo padre. Aveva notato che durante la serata si erano fermati in parecchi a guardarlo. Era aperto su un paesaggio di Matisse, un albero inclinato dal vento in fondo a un campo pieno di arancioni e verdi forti, il cielo che diventava azzurro scuro in alto con una transazione così netta che le faceva pensare a un fronte freddo, se non fosse stato per gli altri colori accesi.  Le sembrava di conoscerlo da sempre ma non era possibile, era passato solo un anno da quando papà era morto e sua mamma le aveva dato i libri. Il cielo le ricordava qualcosa, oppure l'albero, chi lo sa, forse uno dei suoi viaggi di ragazza in Francia, chilometri e chilometri in macchina su e giù per quelle strade dritte in mezzo al niente. La didascalia diceva Paesaggio di Tolosa, collezione privata, poteva davvero esserci stata.
Sotto la finestra, dietro alla tenda, c'era una bottiglia di Berlucchi mezza piena. Guarda qua, pensò, qualcuno si è fatto la scorta. C’era stato un momento in cui le stanze erano così piene di gente che temeva di perdere il controllo della situazione. Invece era così che doveva andare, Barbara sapeva il fatto suo. Era lei che si faceva prendere dalle paure, “Come faccio a fare la consulente se non so nemmeno seguire i consigli che mi do da sola,” aveva detto quando stavano andando dal notaio e tutto era già stato deciso. Barbara aveva riso, “È proprio per questo che sei brava, sai metterti nei panni dei clienti e loro per questo ti daranno retta.” Poi si conosceva, nella battaglia non si tirava mai indietro e se aveva paura fa niente. Erano le novità che le mettevano ansia, soprattutto dopo il divorzio. Pensava di doversi appoggiare all’esperienza di qualcosa che avesse già fatto e in questo caso, a parte la nuova agenzia con Barbara, il suo lavoro lo sapeva fare. Poi anche questo non era vero, il lavoro se l’era inventato non molto tempo prima partendo da zero, da sola, e aveva funzionato, anche se non ci credeva del tutto nemmeno oggi.
Si portò alla bocca la bottiglia di spumante e ne bevve un sorso a canna. Era caldo e sfiatato. Andò a svuotarlo nel gabinetto. Le stava venendo mal di testa. Si guardò allo specchio, aveva gli occhi rossi e due occhiaie nere sotto le palpebre. Si tolse le lenti a contatto e le gettò nel water,  poi si diede una sciacquata alla faccia, strofinandosi finalmente gli occhi che le prudevano, ah che delizia, chi non porta le lenti a contatto non ha idea della goduria che si prova a sfregarsi gli occhi.
Però non si ricordava più dove aveva lasciato la borsa con dentro gli occhiali, dovette andare a cercarla brancolando per lo studio. Quando passò davanti allo scaffale sentì un brivido nella schiena. Il paesaggio di Matisse le stava dicendo qualcosa. Ma cosa? Si fermò a guardarlo da vicino. Era tutto diverso così. I colori si mischiavano, sfumavano.
La borsa era dietro la sua scrivania. Inforcò gli occhiali e guardò di nuovo la riproduzione sullo scaffale, li toglieva e li rimetteva. Senza le sembrava ancora più vero. Ma più vero di cosa?
Aprì l’armadio alle sue spalle, c’erano quadri e foto incorniciate che aveva portato via insieme ai libri quando aveva traslocato, a casa non ci stavano e li aveva tenuti dentro qualche scatolone in cantina prima di portali qui. Eccolo, pensò. Una tela che aveva dipinto a olio insieme a suo padre quando era piccola. Si ricordava bene di quel giorno. Suo padre la teneva in braccio e le parlava. Schiacciava i tubetti sulla tavolozza e li mescolava col pennello prima di passarlo a lei. Discutevano insieme i particolari, dicevano cosa c’era qui e cosa mancava lì e come andava fatto. Il libro con il paesaggio di Matisse era sul tavolo, lo stavano copiando come lo vedeva lei.
Anita pensò a quanto doveva essere stata miope anche da piccola. Non se ne erano accorti subito, le avevano fatto mettere gli occhiali in seconda o in terza elementare, chissà come faceva prima. Eppure non le era sembrato di vederci male fino a che non l’avevano portata dall’oculista. Si ricordava bene anche quella volta, aveva a che fare con un disegno, dovevano copiare un’ortensia che la maestra teneva sulla cattedra. Che scherzi strani fa la memoria, rivedeva i petali disegnati a uno a uno dalla sua compagna di banco mentre lei aveva abbozzato solo macchie di colore. Ma non era uno stile pittorico, li vedeva proprio così, come grosse padelle viola e la compagna era un’imbrogliona a sottilizzare su particolari che, secondo lei, erano troppo lontani.
“Disegneresti le mutande a qualcuno?” le aveva detto, “no, perché anche se sai che ci sono, non si vedono.”
Quella lo aveva detto alla maestra e la maestra lo aveva detto a sua mamma, l’avevano portata dall’oculista e lei aveva scoperto di non vedere le cose come erano, o come le vedevano gli altri, ma in un altro modo tutto suo.
Mise la tela vicino al libro. Con gli occhiali c’era una bella differenza, adesso che aveva imparato a guardare come gli altri a momenti non riconosceva nemmeno più il suo modello. Però quando se li toglieva diventava davvero identico, una copia perfetta di come l'aveva visto lei. Ho inventato la macchina del tempo, pensò, altro che le madeleinette. Sentiva l'odore della ragia e del tabacco, il duro della gamba su cui era seduta e il braccio che le circondava la vita tenendola salda, la tavolozza infilata nel grosso pollice di suo padre.
Non le importava niente di come fosse andata davvero, cosa avesse visto e come era stata la realtà. L’importante è ben altro. Chiuse il libro e lo infilò nello scaffale insieme agli altri. L’importante. Mise il quadro nell’armadio, prese la borsa e la giacca. Non lo so che cosa è l’importante. Spense tutte le luci e chiuse la porta a chiave.
Intanto vado a casa, poi vediamo.
(non continua più, è finito qui!)

 

Ringraziamenti

Prima di tutti e più di tutti ringrazio Alessio Sala: è stato quello che mi ha corretto la minuta minutissima, poi l'ha ripassato quando era solo un girino, poi l'ha letto ranocchio e infine il rospaccio che è diventato, dicendomi ogni volta qualche cosa di utile o anche solo di buono, il che non è poco.

Grazie a Giorgio Fontana che l'ha baciato la prima volta, sperando potesse diventare una principessa.

E grazie a Martina e Nico che non solo l'hanno letto, ma ci hanno lavorato sopra mostrandomi i punti deboli e mi hanno consigliata e spinta sulla strada dello sciò dontel che è sempre molto apprezzabile (anche da me che ormai sono postmoderna e non ci posso più fare niente).

Grazie a Paolo Cognetti che durante i laboratori mi ha indicato una direzione, se l'ho seguita - a modo mio - oppure no è stato anche per tutta libertà che mi ha insegnato.

Grazie a Davide Musso che ne ha lette almeno due versioni e mi ha fatto pensare che fosse possibile. Forse non l'avrei scritto senza i suoi discreti incoraggiamenti e pazienza se poi non andava più bene per Terre di Mezzo: mi ha dato le mie belle soddisfazioni anche così.

Grazie anche ai miei primi lettori: Camillo, Livio, Mario e Paola, mia mamma, mia sorella, mia cugina Laura, Matteo, Lorenza, Furio, Katia, Fulvia, Dario, Lillina, grazie a te che sei arrivato fino a qui e mi stai leggendo in questo momento e grazie a tutti quelli che l'hanno seguito in silenzio sul blog: forza, palesativi e ditemi brava!

Spero di aver imparato qualcosa.
Spero di essermi liberata di Anita e dell'occhio del coniglio perché vorrei cominciare un nuovo progetto e andare via saltellando leggera. Olè.



Questo romanzo è dedicato a Martina e Mario, i miei figli.

Paesaggio di Tolosa

Indice

1. La bussola segnava centoottanta
2. Rina e le sue sorelle
3. Anita saliva un gradino alla volta, tenendosi al corrimano
4. Ma deve proprio gridare
5. L’emporio aveva il soffitto curvo come una grotta
6. Rina pedalava sotto il solleone
7. I gatti sono a bordo?
8. Ogni volta
9. Dai, buttati
10. Se un uomo a questo mondo
11. I piatti lavati, asciugati e messi via
12. Mino baciò Luisa a capodanno
13. Stamattina niente vento
14. Mino posizionò i treppiedi
15. Tornando dal ristorante
16. Amilcare era così leggero
17. Anita sentì una mano sulla coscia
18. A Sesto Calende
19. Non riesco a dormire
20. Andavano in montagna
21. A Lavezzi c’era il pienone
22. In seconda media
23. La pizza
24. Mi ha telefonato la mamma di Luigi
25. Che carino che sei stato
26. Hai da fare
27. Metti via la spesa
28. Felice corrugò le sopracciglia
29. La pioggia picchiettava sulla coperta
30. Sì, sono d’accordo.
31. Il maestrale aveva spazzato via tutto
32. Perché lo tieni aperto a questa pagina  

 

Questo era L'occhio del coniglio, un romanzetto che ho scritto io e che mi è piaciuto offrire ai miei blogamici e agli sfaccendati che passavano di qui.

Già che faccio l'editore di me stessa, ho prodotto anche una versione digitale, mobi, epub e pdf. Se ti stanchi di leggere a schermo e la vuoi mettere nel tuo lettore eBook oppure se hai occasione di stampare a ufo e vuoi il pdf, scrivi a ladonnacamel@gmail.com e te la mando. Gratis e senza DRM!

Licenza Creative Commons
Quest' opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 3.0 Italia.

Le foto, dove non specificato, son prese in internet

 

Neanche un albero è stato sacrificato a causa dell'Occhio del coniglio, se lo vuoi comperare lo pui trovare qui su Amazon.

 
 
 
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