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L'occhio del coniglio 31. Il maestrale aveva spazzato via tutto

Post n°739 pubblicato il 24 Aprile 2013 da LaDonnaCamel
 
Foto di LaDonnaCamel

Penultimo capitolo! Non perderti il finale, lo metto qui domenica e poi basta.
 
 
 
 
Il maestrale aveva spazzato via tutto. Nella notte aveva sbatacchiato le palme nei giardini e aveva fatto vibrare gli alberi delle barche nel porto. Aveva tirato su l’acqua dal fondo della baia, spingendo le onde verso il largo. Aveva dissolto le nuvole, pulito l’aria e asciugato la sabbia delle spiagge. Con la luce del giorno si era acquietato e faceva scintillare le increspature sulla superficie del mare.
Carlo era uscito presto, era andato a comprare il pane e le brioches calde di forno, aveva svegliato Anita e i bambini con la colazione preparata in pozzetto: succhi di frutta, marmellata di more e qualche dolcetto sardo alle mandorle.
“L’ho fatto forte come pace a te” disse versando il caffé nella tazza blu, quella di Anita.
Lei non disse niente. Mise lo zucchero, mescolò. Prese una brioche dal cestino.
Lui mollò gli ormeggi da solo, mentre lei era sotto la doccia.
“Ti va bene Thaiti?” le disse quando uscì in pozzetto, con l’asciugamano ancora avvolto intorno alla testa. “È al traverso all’andata e al ritorno.”
I bambini stavano togliendo i parabordi, la randa era stata già alzata e il genoa leggero era pronto.
Anita si sedette in un angolo all’ombra delle vele e guardò l’orizzonte. Avevano passato da poco la punta di Baia Sardinia, stavano entrando nel canale e si vedeva il mare aperto. Il sole del mattino faceva brillare l’acqua come una coperta di lustrini d’argento, era ancora presto per i motoscafi e non c’erano onde artificiali o rumori. Solo il fruscio delle vele e il sommesso pigolare del timone automatico. Anita guardava e prendeva dei respiri profondi, come se avesse fatto una corsa, o un pianto. Si sentiva arrivare il fiato da dentro e per quanto allargasse i polmoni le sembrava che non bastasse e allora ne tirava su un altro, e poi ancora uno. I bambini erano silenziosi giù in cabina. Carlo, seduto vicino al timone, guardava la costa e ogni tanto la sbirciava di sottecchi, lei lo sapeva ma non le importava.
Arrivarono in vista delle rocce bianche del fiordo di cala Coticcio, Tahiti per gli intimi, in un bordo solo, senza quasi manovrare. Non era ancora mezzogiorno, c’erano poche barche, la caletta davanti alla spiaggia più bella era vuota. Il colore dell’acqua, blu scuro vicino alle rocce che scendevano a picco, schiariva verso la spiaggia in un turchese irreale, da cartolina.
Carlo aveva ammainato il genoa e acceso il motore al minimo. Senza dire una parola accostò piano a sinistra verso il vento e senza fretta camminò verso prua per calare l’ancora. Tornando in pozzetto sciolse la drizza della randa. Viola lo aiutò a imbrigliarla negli elastici. Anita restò per tutto il tempo seduta in quell’angolo, le giravano intorno come se non ci fosse, stavano attenti a non urtarla, parlavano piano tra loro.
Entrarono in acqua dalla scaletta, tutti e tre, e nuotarono verso la spiaggia.
Anita si era voltata in modo da guardare verso il largo, con le spalle alle rocce. Il profumo dell’elicriso arrivava fino a lì e quei colori, l’aria leggera che l’accarezzava, la baia che aveva amato di più di tutto l’arcipelago - che era il luogo che aveva amato di più in assoluto, le sembrarono inutili. Aveva tanto guardato il riflesso del sole sul mare che le bruciavano gli occhi e quando spostava lo sguardo le restavano impresse le ombre di macchie scure e frastagliate.
Non ci capisco più niente, pensò. La lacrime le scendevano lungo le guance. Io credevo che mi piacesse. E invece non lo so che ci faccio qui. Non so più niente, so solo che non mi piace. Le colava il naso e si pulì il moccio con il dorso della mano. Mi fa schifo tutto e non so nemmeno cosa vorrei.
Si alzò, si guardò intorno e vide Carlo e i bambini sulla spiaggia. Erano vicini a un gruppo di scogli, lui era chinato e loro lo guardavano. Forse gli stava parlando.
Scese in cabina, cercò un pezzo di carta da cucina per soffiarsi il naso.
Dentro era fresco, l’aria entrava dal boccaporto di prua e la penombra riposava gli occhi. Si stese nella sua cuccetta e si addormentò profondamente.

tahiti

Questo è L'occhio del coniglio, un romanzetto che ho scritto io e che mi piace offrire ai miei blogamici e agli sfaccendati che passano di qui.

Già che faccio l'editore di me stessa, ho prodotto anche una versione digitale, mobi, epub e pdf. Se ti stanchi di leggere a schermo e la vuoi mettere nel tuo lettore eBook oppure se hai occasione di stampare a ufo e vuoi il pdf, scrivi a ladonnacamel@gmail.com e te la mando. Gratis e senza DRM!
(Però poi non venire qui a spoilerare il finale eh, t'ammazzo! Che, se non si era capito, le puntate qui continuerò a metterle, al ritmo di due a settimana, più o meno.)

 

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