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In ufficio passa un corriere
In ufficio passa un corriere, di quelli che consegnano pacchi e pacchetti. Ogni 2-3 giorni, a volte anche più spesso. Non è brutto, ma è piccolo, sgraziato e parecchio trasandato. Credo si lavi a cadenza semestrale, come le auto. Chi entra dopo di lui ci chiede spesso se non nascondiamo un cadavere da qualche parte. Ogni volta butta lì i pacchi con malagrazia, manca solo che li prenda a calci. Ogni volta lo saluto e gli chiedo come sta, lui mi grugnisce che ha fretta. Firmo veloce la bollettina di consegna, lui bestemmia sottovoce perchè “scrivo che non si capisce un’ostia” Il caffè invece lo accetta sempre, ma non ringrazia mai. Lo butta giù di corsa, come una medicina; mi guarda appena, poi scappa via. “Buon fine settimana, riposati”, gli ho detto oggi. “Anche a te” – ha bofonchiato lui. O “Vaffanculo”, non lo so, con lui sono possibili entrambe le risposte. “Tu sei scema – dice sempre Collega 1 – una volta o l’altra mi stufo e mando una lettera di reclamo alla sua sede.” Sarebbe facile, in effetti; anzi, probabilmente sarebbe anche giusto; perchè di gente meglio di lui è pieno il mondo. Il fatto è che io quel corriere lì lo so chi è. Suo padre la sera chiudeva a chiave in casa lui e i suoi 4 fratelli e poi usciva con la madre. Per andare a ballare il tango? Per passar 2 ore spensierate all’apericena? No. L’accompagnava sulla statale a battere. Tutte le sere, per anni. Fino a quando la poveretta non ce l’ha fatta più e ha abbandonato marito, figli e la fila di camionisti che per anni avevano assistito al suo tormento. Troppo piccolo il paese, troppo grandi i pettegolezzi perché lui non ne abbia mai saputo nulla. Ma ha avuto il coraggio di non andarsene e la dignità di trovarsi un lavoro onesto. Chi se ne frega se non è gentile. Che m’importa se non mi sorride. E’ già bravo a non essersi attaccato a una bottiglia. Forse al posto suo me ne starei sul divano, ubriaca, a guardare il TG4 in replica. Chi può dirlo. Non credo che le difficoltà passate possano giustificare il presente di nessuno, siamo sempre e solo quello che decidiamo di essere. Ogni giorno. Sono allergica ai pietismi, intollerante ai buonismi e la compassione facile mi fa venir le rughe. Perché lo faccio allora? Perché sono gentile con lui? Perché magari non gliene frega niente, perché probabilmente non se ne accorge nemmeno, ma mi piace credere di potergli dare qualcosa che non ha mai avuto: qualcosa gratis, qualcosa che non si è dovuto guadagnare. Magari da stornare dal debito che la vita ha con lui.
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