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LA STRAGE SILENZIOSA

Post n°2306 pubblicato il 05 Ottobre 2013 da luger2
 

Una strage silenziosa e continua. I decessi per cancro sono aumentati del47% nelle terre fra Napoli e Caserta, inquinate dai rifiuti tossici sotterrati dalle aziende del Nord, uno dei business più redditizi della camorra. Come ha confermato in un'intervista choc aSkyTg24 ilboss pentito Carmine Schiavone. Il business più lucroso per la criminalità organizzata è stato eresta lo smaltimento dei rifiuti tossici, interrati illegalmente a tonnellate in mezza Italia ma soprattutto nelle campagne al Sud e in Campania, fra le province di Napoli e Caserta, con conseguenze devastanti per la salute delle popolazioni. Sono fatti risaputi escontati, quelli ripetuti dal boss pentito CarmineSchiavone, 70anni, cugino di Francesco detto Sandokan, il gran capo del clan dei Casalesi che da decenni imperversa nelle campagne del Casertano estendendo il proprio malaffare ormai in mezzo mondo.
Sono dati risaputi, quelli scanditi dal boss che si presenta sorridente e rilassato. Fa impressione ascoltarli nudi e crudi dalla vivavoce di uno dei protagonisti dell’orrendo business che sta facendo ammalare e morire migliaia di cittadini (tra cui moltissimi bambini)colpiti da svariate forme di cancro.
Schiavone ha confermato al 100% quel che da anni i cronisti più attenti e i movimenti di protesta denunciano inascoltati: «Gran parte dell’imprenditoria del Nord d’Italia», ha detto il capo clan pentito, giunto altermine del suo programma di protezione, «per risparmiare smaltisce illegalmente i rifiuti pericolosi, da quelli della pittura agli ospedalieri fino ai fanghi termonucleari di cui sono ricolme le campagne del basso Lazio, di Casal di Principe, Castelvolturno, Grazzanise, Santa Maria La Fossa, Caivano, Marcianise». A chiedere alla camorra di sotterrare fiumi di policlorobifenili e altre schifezze in cambio di soldi e senza troppi scrupoli sono statee sono «le grosse società del Nord, ma anche di Pisa, di Santa Croce sull’Arno, di Verona». E poi, molte società francesi, del Belgio e di altri Paesi europei.
Insomma, mezzo mondo - avverte il boss, che è atteso da una trentina di processi - scarica nel Sud d’Italia i suoi residui più pericolosi. «Il materiale tossico», racconta ancora Schiavone, «viene sotterrato nelle cave di sabbia o sotto terra e poi viene ricoperto con cura». La verità, aggiunge, è che in Campania «stanno morendo 5 milioni di persone per colpa dei veleni che abbiamo sepolto, protetti da insospettabili connivenze».

Le dichiarazioni di Schiavone sembrano ricalcare appieno le denunce avanzate dai comitati di protesta, che da sempre affermano che esiste «una stretta correlazione tra l’altissimo numero di tumori registrato nell’area casertana a nord di Napoli e le tonnellate di rifiuti al veleno che in quelle terre sono state smaltite fuori da ogni regola». Ma con le sue parole, l'ex boss Schiavone sembra voler far sapere di più e andare oltre l’auto -denuncia.  «Ho fornito alla commissione sulle ecomafie i numeri di targa dei camion che da sempre trasportano rifiuti tossici: perché finora i proprietari egli autisti non sono stati identificati e arrestati?».
Schiavone reintroduce, un dubbio già consolidato tra coloro che seguono le vicende di ecomafia: perché non si riescono a compiere concreti passi avanti sul versante dei controlli e della prevenzione contro chi avvelena le campagne sotterrando tonnellate di immondizia ad alto rischio? E soprattutto: perché il famoso progetto di monitoraggio satellitare (si chiamava Stir) che avrebbe dovuto tenere sotto costante controllo i camion carichi di immondizia (seguendoli passo dopo passo lungo i loro percorsi) non è mai nato nonostante i finanziamenti (in parte scomparsi) e le tante promesse? «Siamo al paradosso», dicono i leader del Comitato dei Fuochi, che fa monitoraggio sulle aree più inquinate, «ora c’è da augurarsi che il boss Schiavone venga utilizzato come consulente per le bonifiche delle terre in cui viviamo: nessuno meglio di lui conosce e può indicare i luoghi esatti in cui sono stati sotterrati i veleni.Nessuno sa a memoria come lui quali sono i camion fantasma che ogni sera scorazzano lungo l’Asse mediano e chi ne è alla guida».
Secondo un recente report pubblicato dal ministero per la Salute, nel 2009 in Campania sono stati prodotti 5 milioni di tonnellate di rifiuti tossici rispetto ai 3 milioni e 750 mila del 2008, con un incremento del 13%. Una percentuale, assicurano gli esperti, che è ulteriormente aumentata negli anni successivi. Eppure, il governo continua a negare che sia dimostrabile un nesso tra veleni sotterrati e boom dei tumori.
In Campania non è mai stato possibile far nascere il registro regionale dei tumori, sebbene uno studio dei ricercatori Angir commissionato dalla Giunta comunale di Napoli abbia confermato che i napoletani che abitano nei quartieri a nord, cioè quelli più vicini all’area casertana invasa dai rifiuti avvelenati, si ammala di cancro molto più che in qualsiasi altra parte d’Italia: 131 cittadini ogni 100 mila rispetto agli 80 del dato nazionale. I numeri parlano chiaro. Eppure il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, ha ipotizzato che buona parte delle morti per cancro tra Napoli e Caserta siano dovute «a stili di vita sbagliati e a un’alimentazione che si allontana dalla dieta mediterranea».
Don Maurizio Patriciello, parroco e leader del comitato Fuochi, stanco di celebrare funerali costellati da bare bianche, ha affisso tutt’intorno  all’altare maggiore nella sua chiesa al parco Verde di Caivano, le fotografie dei bambini uccisi dal cancro e dalla leucemia: due, sei, 10, 100. Una strage infinita, negata dalle istituzioni.
Qui si fa jogging con la mascherina anti-gas. E le finestre si tengono chiuse anche d’estate. Per settimane, don Patriciello ha celebrato messa circondato dalle immagini dei bimbi scomparsi e dalle ceste ricolme di pomodori, frutta e verdure appena raccolte nei campi avvelenati. L’instancabile parroco ha chiesto via Facebook a disegnatori, fotografi e vignettisti di dargli una mano per stampare centinaia di cartoline che raffigurino immagini della terra dei Fuochi da spedire al presidente della Repubblica, ai ministri, «a tutti coloro che potrebbero fermare la strage bonificando il territorio e non lo fanno».
Dice Bruno Sepe, del comitato Fuochi: «La nostra è una tragedia trans-nazionale, la cui tragica verità viene oggi ammessa e confermata perfino da chi, da criminale, ha contribuito a determinarla. Siamo al paradosso: a non crederci è rimasto solo chi ai vertici dello Stato ancora straparla di diete sbagliate e stili di vita non sani». Un’emergenza straziante e sotto gli occhi di tutti. Eppure, il registro regionale dei tumori continua a restare nei cassetti della Giunta regionale.«Finora si è perso solo un sacco di tempo», dice Maurizio Montella, epidemiologo dell’istituto oncologico Pascale di Napoli. «Faccio parte di un comitato scientifico che in otto mesi, invece di attivare il registro tumori in Campania, si è riunito solo due o tre volte senza combinare nulla». La Campania, nonostante la tragedia-inquinamento, è fra le pochissime regioni italiane a essere rimasta al palo. La mancanza di un registro tumori «è un’omissione gravissima», denuncia Antonio Marfella, oncologo in prima fila nella battaglia anti-veleni. «Si è sottratto ai cittadini e ai magistrati l’unico strumento scientifico di monitoraggio che potrebbe essere usato nelle aule di tribunale per sancire giuridicamente i nessi tra l’incremento dei tumori e la persistenza in loco di fonti di inquinamento».
VENT'ANNI DI INCHIESTE: Adelphi (1993), Greenland (2002), Re Mida, Eldorado e Cassiopea (2003), Mosca(2004) Terra Madre (2006), Dirty Pack (2007), Carosello (2008). Sono numerose le inchieste giudiziarie che attestano il rischio salute in Campania, ma dimostrare i nessi tra sorgenti avvelenate e morti per cancro resta impresa ardua senza cifre né dati scientifici.
«Per noi», dicono al comitato Terra dei fuochi, «la storia del registro tumori costituisce l’esempio lampante di come non si debba gestire un territorio già devastato dal crimine organizzato e da una governance politica quasi sempre incapace».
Le date sono impietose ed eloquenti. Il 10 luglio 2012, all’unanimità, i 62 consiglieri approvarono in Regione Campania la legge numero 19 che istituiva il registro per i tumori. Una legge tanto attesa. Pochi mesi dopo, il 14 settembre 2012, l’Autorizzazione unica ambientale, organo di controllo dello Stato italiano, impugnò dinanzi alla Corte costituzionale la legge perché «contiene alcune disposizioni incontrasto con il piano di rientro dal disavanzo sanitario della Campania». La Consulta, infine, accolse l'istanza e bocciò il registro, giudicandolo «troppo oneroso e fuori budget» (1 milione e mezzo è il costo annuale, rispetto ai 12 miliardi di danni finora stimato). I giudici, con la sentenza numero 79, ritennero che «lalegge approvata in Campania viola gli articoli 117 comma 3 e 120 comma 2 della Costituzione».
Ma che vuol dire? Vuol dire, spiegarono i giudici, che «non è il registro a essere censurato, mal’istituzione di nuovi uffici e di nuovi incarichi professionali che imporrebbero oneri aggiuntivi incompatibili con il piano di rientro previsto per la Campania». Insomma, i consiglieri regionali (51 dei quali finirono di lì a poco sotto indagine della procura di Napoli per lo scandalo dei regalini fatti a spese della comunità e dei rimborsi spese gonfiati) approvarono all’unanimità una legge sacrosanta, ma sbagliandone l’elaborazione. E così sorge un dubbio: è stato un errore commesso in (unanime) buona fede o nella consapevolezza che l'aumento dei costi per nuovi uffici e consulenze avrebbe costretto la Consulta a bocciare il travagliato provvedimento? Non manca, poi, chi abbraccia la tesi più maliziosa,immaginando che l’attivazione di un efficiente registro dei tumori «porterebbe alla luce troppe verità finora tenute nascoste».

Mala storiaccia del registro tumori mancato non finisce qui. Di fronte al no della Consulta, il 24 settembre 2012 il governatore Caldoro varò un decreto legge che puntava ad attivare comunque il registro tumori in attesa che sul piano legislativo fosse elaborata una nuova proposta. Solo un'illusione. L'ennesima.
Il decreto di Caldoro innescò, infatti, un meccanismo che da subito apparve farraginoso e, per molti aspetti, gattopardesco.
«Nel decreto, il coordinamento e la lettura dei dati raccolti dalle Asl», spiega Marfella, «non vengono affidati, come accade ovunque, all’istituto di ricerca oncologica Pascale ma all’Osservatorio epidemiologico regionale, cioè a una struttura che opera sotto il diretto controllo della Regione».
A dirigere l’Osservatorio è dal 1987, cioè da 26 anni, Renato Pizzuti, stimato professionista che però ricopre anche l’incarico di direttore del dipartimento per la Sanità regionale, comparto che è privo di assessore, visto che il governatore ne ha assunto le deleghe. «Insomma», conclude l'oncologo, «ancora una volta i ruoli si confondono: controllore e controllato finiscono per sovrapporsi».
A discutere e a decidere sui dati e sul da farsi sarà, infine, un comitato scientifico che Caldoro ha costituito scegliendo 12 fra i docenti e i ricercatori disponibili. L’unico esponente dell’istituto Pascale ammesso è l’epidemiologo Maurizio Montella.
Dopo otto mesi, il bilancio di Montella è da brividi. «Per me commissioni e comitati come questo non servono: sono solo un modo per allungare il brodo», denuncia. E poi aggiunge: «Eliminare l’istituto Pascale dal coordinamento dei lavori è stato un errore imperdonabile: in Svezia, in Europa, in altre zone d’Italia una simile assurdità non sarebbe stata mai consentita. Dalle Asl non sono arrivati dati ma solo uno studio sui costi e sui tempi del monitoraggio». La verità, secondo il medico, è un'altra. «Sono 20 anni che su questo tragico tema si gioca a scaricabarile per beghe interne, voglia divisibilità, smania di finanziamenti», è il suo j'accuse.

 
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