San Francesco di Assisi

fratello Sole e Sorella Luna

Altissimu, onnipotente bon Signore, Tue so' le laude, la gloria e l'honore et onne benedictione. Ad Te solo, Altissimo, se konfano, et nullu homo ène dignu te mentovare. Laudato sie, mi' Signore cum tucte le Tue creature, spetialmente messor lo frate Sole, lo qual è iorno, et allumeni noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore: de Te, Altissimo, porta significatione. Laudato si', mi Signore, per sora Luna e le stelle: in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle. Laudato si', mi' Signore, per frate Vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale, a le Tue creature dài sustentamento. Laudato si', mi' Signore, per sor Aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta. Laudato si', mi Signore, per frate Focu, per lo quale ennallumini la nocte: ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte. Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba. Laudato si', mi Signore, per quelli che perdonano per lo Tuo amore et sostengono infirmitate et tribulatione. Beati quelli ke 'l sosterranno in pace, ka da Te, Altissimo, sirano incoronati. Laudato si' mi Signore, per sora nostra Morte corporale, da la quale nullu homo vivente po' skappare: guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali; beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati, ka la morte secunda no 'l farrà male. Laudate et benedicete mi Signore et rengratiate e serviateli cum grande humilitate. (Cantico delle creature di San Francesco d'Assisi)

 

SINDONE

 

La figura di Goffredo de Charny, signore di Lirey, in Champagne, sembra uscire direttamente da un racconto cavalleresco. È tra le mani di questo eroico cavaliere che la Sacra Sindone fa ufficialmente la sua apparizione in Francia. Dopo una vita di avventure improntate ai più alti ideali della cavalleria medievale (ed intorno alle quali il nostro scriverà un libro di buon successo, sorta di manuale del perfetto Chevalier), nel 1355 viene incaricato dal re di portare il suo stendardo di battaglia.
È un grande riconoscimento, e il cavaliere non lo disonora: l'anno successivo muore eroicamente nella battaglia di Poitiers, nella strenua difesa dell'Orifiamma, la lingua di tessuto rosso fiammante simbolo del potere supremo e dell'onore di Francia. Come sia giunta, la Sacra Sindone, all'eroico vessillifero di Francia, rimane un mistero. Vediamo le ipotesi che sono state fatte in proposito. La Sacra Sindone potrebbe essere stato un bene di famiglia pervenuto a Goffredo tramite matrimonio o amicizia. Stretti legami collegano Goffredo ai discendenti di Otto de la Roche, feudatario francese e primo duca di Atene, ai tempi in cui proprio ad Atene della Sacra Sindone abbiamo avuto l’ultima segnalazione. La Sacra Sindone avrebbe potuto fare parte dei tesori di famiglia; Goffredo di Charny sposò una diretta discendente di Otto, che avrebbe potuto portargli la reliquia in dote,e fu grande amico di Gautier IV de Brienne, conestabile di Francia e fedele compagno d’armi, anche lui caduto a Poitiers. Se anche non fosse stata materialmente in loro possesso, Gautier IV de Brienne o la stessa consorte potrebbero aver rivelato all'indomito cavaliere il nascondiglio della Sacra Sindone in Oriente: questo spiegherebbe il rapido viaggio di Goffredo oltremare, fino a Smirne nel 1345, ufficialmente compiuto al seguito del Delfino. Ecco il possibile anello mancante della catena che, da Atene, porta il sudario direttamente nelle mani di un cavaliere francese del Trecento. La "pista templare" sostiene che la Sacra Sindone fosse stata affidata a Goffredo durante un periodo di prigionia in Inghilterra, nel castello di Goodrich. Qui essa sarebbe stata portata da quei Cavalieri Templari che scamparono ai roghi e alle carceri di Francia. In contrasto con i fitti misteri dei secoli precedenti, la storia "europea" del Sacro Tessuto, dopo la riapparizione in mano ai de Charny, è sufficientemente documentata: nel 1453 la reliquia viene ceduta da Margherita, ultima erede degli Charny, al duca Ludovico di Savoia. Le travagliate vicende del ducato dei Savoia porteranno in seguito la Sacra Sindone, a più riprese, da Chambéry, in Piemonte, in altre città della Francia e dell'Alta Italia, fino alla traslazione definitiva nella città di Torino nel 1578. La Sacra Sindone, di proprietà di Casa Savoia per oltre mezzo secolo, è stata assegnata, in un lascito testamentario del capo della Casata ed ultimo Re d'Italia S.A.R. Umberto II di Savoia, al Sommo Pontefice. Il re in esilio è morto a Ginevra nel 1983, anno dal quale la Sacra Sindone è divenuta, dunque, di proprietà pontificia.

 

IN FEDE

 

ANTICA SEDE

 

Nel  1102, il Re di Gerusalemme Baldovino II, concesse hai cavalieri di Cristo la custodia del Tempio di Salomone e la residenza nel  monastero fortificato di Nostra Signora di Sion situato a finaco al Tempio, con il passare degli anni il numero dei cavalieri aumentò, cosicchè dovettero trasferirsi a pochi metri, andando ad occupare tutta l'area di quella che era la spianata del Tempio di Salomone, ossia l'area fra la Moschea della Roccia e la Moschea di Al-Aqsaa. A questo punto il loro nome fu cambiato in "Ordine dei Cavalieri di Cristo a Cavalieri del Tempio di Gerusalemme". 

 

 

GOFFREDO DI BUGLIONE

BALDOVINO I

 

templari in Terrasanta

 

 

  


 

 

 

Il Krak dei cavalieri , così chiamato, imponente ancor oggi nonostante i millenni, sorge su un colle di 750 metri , conquistato nel 1109 da Tancredi di Antiochia; fu ceduto in seguito all’ordini cavallereschi. È un castello quasi senza fine, robusto; solo lo spessore della prima cerchia di mura è di 24 metri, la seconda cerchia domina la prima ed infine vi è un robusto mastio che controlla tutte e due; in pratica compongono il krak tre castelli costruiti uno sull’altro ed indipendenti tra loro. Il Krak era considerato il castello più grande tra le tante fortezze -forse il più bello del mondo-, nella valle della Becaa. Il suo nome in arabo significa dunque fortezza, “Karak”, cardine della difesa del porto di Tripoli e della valle d Becaa, inserito come un anello in una collana tra le cui maglie splendevano i castelli della Santa Milizia Templare.
 La fortezza KARAK come la chiamavano gli arabi-. KARAK è un palindromo, cioè una parola che si legge uguale sia da Occidente, sinistra a destra, che da Oriente, destra a sinistra. In sumero significa ‘anima (KA) Sole (sia RA che AR)’. KAR è la ‘forza dell’anima’ [Il nome Carlo ß KAR LU ‘soggetto forza’ comprova].

 

templari lungo la via Francigena

 
La presenza dei Templari in Italia riguardava tanto le regioni settentrionali (ad esempio lungo la via Francigena, una delle arterie principali lungo le quali i pellegrini dalla Francia giungevano a Roma), quanto nelle regioni meridionali e, tra queste, un sicuro ruolo di preminenza fu svolto dalla Puglia per la posizione strategica occupata da questa regione da sempre crocevia tra Occidente ed Oriente. La causa dell'espansione dei Templari in Italia è da ricondurre a due motivazioni principali: la viabilità terrestre e la possibilità di adoperare i porti, in modo speciale quelli della costa pugliese (Manfredonia, Barletta, Trani, Molfetta, Bari, Brindisi), per l'imbarco verso la Terra Santa dei pellegrini e dei Crociati ed il loro rientro, nonché per la spedizione di vettovagliamento e derrate alimentari alle guarnigioni templari in Outremer. L'espansione dell'Ordine (tra la seconda metà del XII secolo sino alla fine del XIII secolo) avveniva secondo una logica ben precisa tendente a privilegiare in primo luogo le località costiere per poi procedere verso l'entroterra. Secondo una stima approssimata per difetto, in Italia erano presenti almeno 150 insediamenti appartenenti all'Ordine del Tempio, di questi meno di un terzo si trovavano nella parte meridionale della penisola.
La maggiore concentrazione di domus templari, molto probabilmente, era nella terra di Puglia ove, tra l'altro, avevano diverse sedi. Gli insediamenti dei Templari erano chiamati in Italia "precettorie" o "mansioni" a seconda della loro importanza, mentre in Francia prendevano il nome di "Commanderies". Anche in Puglia l'espansione sul territorio delle case templari seguì la dinamica sopra esposta: dagli avamposti sul mar Adriatico i Templari cominciarono a penetrare all'interno del territorio pugliese e, in particolare, nelle fertili pianure della Capitanata nell'entroterra garganico e della Murgia in Terra di Bari.I Cavalieri Templari sovente alloggiavano in chiese minori, oratori, cappelle dipendenti da episcopi o cattedrali o in monasteri cui spesso erano annessi ospizi per l'accoglienza dei pellegrini. Grazie all'intervento dei pontefici il Tempio riusciva ad ottenere in concessione perpetua o temporanea immobili appartenenti ad Enti ecclesiastici dietro pagamento di un censo annuo. A volte erano gli stessi Templari a costruire delle chiese, anche se in Italia tale attività sembra essere alquanto ridotta. Ma è soprattutto alle donazioni e ai lasciti dei benefattori che il patrimonio templare vide una rapida crescita sia nelle città che nelle campagne. Le domus templari italiane raramente erano isolate e sovente facevano parte di ecclesiae, con le quali finivano per confondersi. Le domus erano anche costituite nell'ambito delle mansiones, composte nella forma più elementare da un ricovero per i viaggiatori ed una stalla per i cavalli. Le domus-mansiones erano collocate nei centri di transito o confluenza delle principali correnti di traffici e pellegrinaggi che percorrevano l'Italia. La funzione assistenziale era altresì svolta con le domus con annessi degli hospitales.

 

Templari in Puglia

Castel del Monte

All'interno del cortile c'era una vasca ottagonale monolitica che serviva per contenere l'acqua; sotto il cortile vi era una cisterna grandissima. Su cinque delle otto torri c'erano cinque cisterne pensili collocate proprio su quelle torri dove c’erano i servizi igienici. Le cisterne raccoglievano l’acqua e quando erano troppo piene c’era un troppo pieno che scaricava fuori. Il terrazzo del castello è fatto a dorso d’asino: l’acqua che scorreva verso l’esterno riempiva queste cisterne, l’acqua che scorreva verso l’interno riempiva la cisterna situata sotto. Ciò dimostrerebbe che Castel del Monte non è un castello di difesa ma un edificio costruito come un Tempio.Fedeico II, Ordina la costruzione del castello nel gennaio del 1240 e muore nel 1250: c'erano dieci anni di tempo per terminare la costruzione del castello. Alla costruzione del castello hanno lavorato maestranze altamente qualificate come dimostrato dalla costruzione architettonica che è un gioiello di matematica. Le pareti del piano superiore erano tutte rivestite di marmi preziosi che sono stati rubati assieme a sculture e bassorilievi. In quel momento storico particolare in Puglia vi era una presenza molto massiccia dei Cavalieri Templari, i monaci guerrieri i quali erano padroni di tutta la Puglia come dimostrano le numerose testimonianze dal Foggiano al Leccese. La Puglia era una delle dieci province dei Cavalieri Templari disseminate dal centro Europa fino al medio Oriente e in più la Puglia a quel tempo era la cerniera tra oriente e occidente.

 

RE RUGGERO II

Jolly Roger". La tradizione vuole che questo vessillo venisse utilizzato anche a bordo delle navi dei "Poveri Soldati di Cristo e del Tempio di Salomone", come i Templari erano conosciuti originariamente. I Templari combattevano le loro battaglie anche in mare, abbordando ed affondando le navi nemiche: di qui l'analogia coi Pirati e l'adozione della bandiera col teschio e le ossa, la bandiera usata da  re Ruggero II di Sicilia (1095-1154). Ruggero era un famoso Templare e di una flotta di seguaci dell'Ordine si separò in quattro unità indipendenti, quindi era una eredità, e le sue ossa incrociate rappresentavano un chiaro riferimento al logo templare della croce rossa con le estremità ingrossate.sempre legata ai Cavalieri Templari. La notte del 13 Ottobre 1307, prima dell'arresto di massa, in gran segreto, 18 galee templari navigarono lungo la Senna e presero il mare, dirette a La Rochelle, dov'era pronta una flotta templare. I Templari, segretamente avvertiti del tranello teso nei loro confronti dal Re Filippo il bello di Francia, avevano portato in salvo il loro Tesoro e le reliquie più preziose. Le loro vele erano state annerite con del catrame per non essere visti nella notte. Durante il viaggio in mare, i Templari superstiti si riunirono in consiglio per decidere sotto quale segno avrebbero navigato, non potendo più utilizzare la classica croce rossa in quanto ormai bandita. Al termine, fu decisa l'adozione dell'antico simbolo di pericolo, il teschio con le tibie incrociate, con il fondo mutato in nero in riferimento al colore delle vele.

 

 

Portogallo tomar

ORDINE SUPREMO del CRISTO

 E’ il più prestigioso fra gli Ordini Equestri Pontifici, riservato solo ai Sovrani ed ai Capi di Stato, di fede cattolica, che si siano resi particolarmente benemeriti verso la Santa Sede. L’ Ordine venne creato da Dionigi I re del Portogallo ( 1279 - 1325) e dedicato a Cristo, riunendo in tale Ordine tutti i cavalieri del Tempio ( templari ) . Alla nuova istituzione rimase la stessa regola dei Templari, quella Cistercense, come parimenti identici restarono il mantello e la croce patente di rosso, con la sola aggiunta di una piccola croce latina di bianco, caricata sulla prima, in cuore. L’Ordine ebbe l’approvazione del Sommo Pontefice Giovanni XXII il 14 marzo 1319, riservando lo stesso Papa anche alla Santa Sede, oltre che ai Sovrani portoghesi, la facoltà di conferire tale ambitissima distinzione cavalleresca. L’Ordine, con la destinazione di tutti i beni dei cavalieri del Tempio presenti in Portogallo e con lo scopo di difendere il Regno d’Algarve contro gl’infedeli scrisse, nella penisola iberica stupende pagine di eroismo e di gloria, nella dura e sanguinosa lotta contro i Mori. La sede originaria dell’istituzione cavalleresca era situata a Castro Marino, nell’Algarvia ed in seguito venne invece spostata a Tomar, nel vecchio convento dei templari, ribattezzato Monastero del Cristo, per meglio respingere gli assalti dei Mori. Il Sommo Pontefice Eugenio IV ( 1431 - 1455 )

 
Creato da: knighttemplar il 18/05/2008
RICERCHE STORICHE

 

 
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Il mistero della tomba di San Francesco

Post n°132 pubblicato il 26 Novembre 2010 da knighttemplar

la Basilica di Collemaggio e sul Segreto delle Tre ottave, mirante a trasformare "il quadrato della materia nel cerchio dello Spirito", segreto rimasto purtroppo volutamente nascosto e dimenticato nella pietra come le reliquie eccezionali, offerte dai Templari a Celestino e scomparse nel nulla, ma che fino a qualche secolo fa venivano mostrate ai pellegrini durante la Perdonanza celestiniana, come la spina della corona poggiata sul capo di Gesù, o l’indice della mano destra di San Giovanni, che Baldovino, Re di Gerusalemme, aveva consegnato all’Ordine. Non solo le reliquie sono scomparse e dimenticate dal tempo, ma anche una delle figure più eminenti di quel periodo storico, frate Elia, successore di San Francesco alla guida dell’Ordine dei Frati Minori, architetto e fine conoscitore delle arti alchemiche, amico intimo e consulente del beato Francesco e dello stesso imperatore Federico II, che consigliava nella costruzione di castelli e di chiese, indicandogli i luoghi più adatti, spesso sopra antiche vestigia classiche, come Castel del Monte in Puglia, ristrutturato nell’attuale forma ottagonale su un antico castro romano progettato dal Vitruvio, o la Basilica di Assisi, eretta, sotto la sua abile guida, dalle libere muratorie dell’epoca. Nella Biblioteca Nazionale di Firenze vi è infatti un manoscritto dal titolo già di per sé eloquente: "Speculum artis Alkimie Fratris Helyae O. Min. S. Francisci, qui ex dicta arte componi fecit seu fabricare Ecclesiam S. Francisci in Assisio", esplicita conferma del "metodo" usato da Elia per l'erezione della basilica assisiate. Se ne ha un’indiretta conferma nell'antico cimitero della chiesa, dove si trovano, alcune tombe, che, secondo l'elenco compilato nel 1509 dal sacrestano Fra Galeotto, vengono classificate come "sepoltura di tutti li maestri lombardi (altro nome con il quale venivano designati i maestri comacini) della città di Assisi". In una di queste è sepolto il Maestro Giovanni, figlio del Maestro Simone, morto il 7 luglio. Sulla lapide, su di un fondo di pietra rossa di Assisi, spiccano due grandi stelle a otto punte, con all'interno raffigurati due leoni rampanti con scudo crociato (il leone e la croce diverranno poi lo stemma della città di Assisi). Un'altra di queste tombe, appartenente a Ciccolo di Becca, morto nel 1330, presenta un insieme sconcertante di simboli: la Rosa-Croce accanto a una squadra e un punteruolo e, di nuovo, una stella a otto punte. Elia, Vicario generale dell'Ordine, coadiuvato dai più esperti "maestri comacini" dell’epoca, riuscì a trovare le risorse per costruire "il Santuario" e "il Convento" nel 1228, per poter conservare il corpo di San Francesco, nato nel 1182 e morto il 3 ottobre 1226. La prima pietra per la Chiesa Inferiore la posò Papa Gregorio IX il giorno successivo alla canonizzazione del santo in data 17 luglio 1228 I lavori di costruzione ebbero inizio a due anni dalla morte del Santo. I lavori per il primo completamento furono portati a termine in circa due anni, onde consentire la traslazione della salma di San Francesco, provvisoriamente sepolta nella Chiesa di S. Giorgio (la futura chiesa di S. Chiara). Il terreno roccioso su cui sorge fu donato ai Frati Minori dai ricchi possidenti di Assisi, ma ufficialmente la donazione fu effettuata a beneficio del Pontefice Gregorio IX, in virtù della regola francescana della povertà assoluta. Ancora oggi la Chiesa ed il Convento fanno parte del patrimonio del Vaticano. Il colle, prima conosciuto come "colle dell’Inferno" in quanto luogo in cui venivano eseguite le sentenze capitali, fu chiamato "colle del Paradiso", proprio perché destinato ad ospitare le spoglie del Santo. L‘inizio dei lavori per la Chiesa Superiore non è tramandato, però dovrebbe essere successivo all‘abdicazione da Generale dell‘Ordine di fra Elia nel 1239, che fino ad allora aveva diretto i lavori della Chiesa inferiore romanica. Le due chiese furono comunque consacrate da Papa Innocenzo IV nel 1253, anno in cui non erano ancora iniziate le decorazioni ad affresco successive. Le vele della volta (1315-20) raffigurano l’Apoteosi di S. Francesco e Allegorie dell‘obbedienza, della povertà, e della castità ad opera del cosiddetto Maestro delle Vele. Sulle pareti della navata, dopo un restauro, sono riapparsi i primi affreschi della Basilica, ancora di dubbia attribuzione, forse opera di Giunta Pisano o di un suo allievo. Il ciclo di affreschi, raffigurante alcune vicende della vita di San Francesco, fu mutilato per l’apertura di archi di accesso alle cappelle laterali. Inizialmente la Basilica di Assisi fu progettata come edificio a due piani, di cui quello inferiore rappresenta il Santuario vero e proprio. La navata centrale è in stile romanico ed è immersa in una sottile penombra, dato che, nella concezione di frate Elia, la chiesa inferiore doveva servire come "cripta". Il pavimento della Chiesa è stato realizzato con marmi di colore bianco-rosato del Subasio, che creano un suggestivo effetto cromatico, richiamando "simboli templari". Alla Chiesa Inferiore si accede attraverso un portale in stile gotico, sormontato da un rosone finemente cesellato, opera di Francesco di Pietrasanta della fine del XV secolo.A sinistra dell’entrata sono esposte, in una cappella, alcune reliquie del Santo, tra le quali "una misera tonaca da frate", che non è quella originale indossata dal beato pochi attimi prima di morire, offertagli da frate Elia, che ora si trova esposta nella Basilica di Cortona, con due altre reliquie, il "cuscino", dove Francesco aveva posato il capo negli ultimi istanti della sua vita e "l'evangelario", che portava sempre con sé. L’altare maggiore risale al 1230, il baldacchino invece al XIV secolo. Originariamente era contornato da "12 colonne", in evidente analogia con il Sacro Sepolcro di Gerusalemme, ma fu deciso di eliminarle nel 1870 da sprovveduti ed incompetenti, come è successo tante volte. Ancora più eclatante fu la decisone di un vescovo di Chartres, che fece sostituire le alchemiche vetrate dietro l’altare perché, a suo parere, non davano troppa luce. A metà navata troviamo due scalette che conducono alla cripta, che custodisce le spoglie mortali del Santo, aperture che al momento della traslazione non erano state ancora realizzate. Al centro della cripta in un blocco unico di pietra marmoria, dove per secoli era stata chiusa la salma, è stato creato un altare, dietro il quale si trova l'urna che conserva i resti del Santo. Nelle pareti del piccolo vano, protette da grate, si trovano le sepolture di quattro seguaci di Francesco, i beati Rufino, Leone, Masseo e Angelo Tancredi. Sulla scelta dei quattro non c’è un versione sicura. Sicuramente si tratta di coloro che erano stati più vicini al Beato Francesco. Ma ci potrebbero essere anche ragioni legate alla vita del Santo e ai primi 12 fraticelli, i quali formarono il gruppo che faceva da corona a Francesco agli albori del movimento. Dodici furono infatti i frati che Francesco volle intorno a Sé, come ci tramandano "i Fioretti", e amava definire "i miei cavalieri della tavola rotonda" (Speculum Perfectionis, IV, 72). Francesco proveniva da una famiglia benestante che gli aveva consentito di frequentare le migliori scuole dell'epoca. Era un uomo assai colto che, oltre che nella sua lingua, poteva scrivere in latino, sapeva benissimo il francese, conosceva la musica e aveva letto moltissimi romanzi in codici di pergamena, trai quali Oliviero e i poemi sulla leggenda di Re Artù e dei Paladini della Tavola rotonda, molto in voga negli ambienti che abitualmente frequentava. La storia ci indica come "primo discepolo" Bernardo da Quintavalle (magistrato), seguito da Pietro Cattani (canonico in San Nicolo' e dottore in legge) (+10 Marzo 1221). Poco dopo arrivarono Egidio (un contadino) e successivamente Sabatino, Morico, Filippo Longo e Prete Silvestro. Seguirono poi Giovanni della Cappella, Barbaro e Bernardo Vigilante ed infine Angelo Tancredi, il solo dei primi dodici discepoli, che avevano seguito Francesco, il cui corpo riposa accanto a quello di Francesco. Erano arrivati a essere in dodici e tutti i compagni vestivano come Francesco di un rozzo saio cinto da una corda. Innocenzo III, quando decise di riconoscere questo primo gruppo, considerato in un primo tempo eretico, li nominò come "chierici", dando a Francesco la qualifica di "Diacono" e tale rimase per tutta la vita, come dimostra la cerimonia del Presepe, ideata per la prima volta proprio da Francesco al ritorno dal viaggio in Siria, nella quale "la messa" venna celebrata da "un vero sacerdote", e poi il Beato "benedisse" i presenti. La tavola rotonda era stata ri-composta e, come in tutte "le favole", storia e leggenda si intrecciano, sfumando sempre più la verità dei fatti. Raggiunto il fatidico e simbolico numero, a questi primi undici discepoli si aggiunsero Masseo (da Marignano), Leone, Elia (Coppi) Ginepro, Tommaso da Celano (il primo grande biografo) e Pacifico (Guglielmo Divini). Oggi nella "cripta" della Basilica Inferiore di Assisi si trovano insieme, accanto alla tomba di San Francesco, quelle dei Beati Angelo Tancredi (+1258), Leone (+1271), il confessore di San Francesco, Masseo da Marignano (+ 1280), Rufino, cugino di Santa Chiara e Santa Agnese, Frate Guglielmo d’Inghilterra e, lungo la scala che dalla Basilica conduce alla cripta, il corpo della Beata [Frate] Jacopa dei Settesoli, nobildonna romana moglie di Graziano dei Frangipani, che aveva donato "il cuscino", una delle "tre reliquie" conservate nella Chiesa di San Francesco a Cortona, progettata anch’essa da frate Elia e dove si trova la sua tomba. Ma questa cripta è stata creata solo nel 1822, allargando "il buco" nel masso di marmo calcareo, di cui solo pochissimi conoscevano l’esistenza e l’effettivo utilizzo, essendo stato aperto nel masso marmoreo a un preciso ed inequivocabile scopo > preservare le sacre reliquie da qualsiasi contatto impuro, come avveniva per i corpi imbalsamati dei Faraoni, i cui "sarcofaghi" venivano resi inaccessibili ed inviolabili. L’abbiamo volutamente definito "un sarcofago", perché, come vedremo, per quasi seicento anni gi è stata garantita e preservata questa funzione. Fu proprio Elia a creare, nel piano interrato sotto il pavimento della Basilica inferiore , perpendicolarmente all'altare maggiore, non ancora installato, un vano della stessa larghezza e lunghezza, profondo circa quattro metri,in cui fu calato il sarcofago di travertino, pesante 12 quintali.avvolto in una gabbia di ferro che cingeva l'urna. sopra la quale vennero stese tre lastre di travertino, Una volta coperto il foro con l'altare maggiore,si creò un vano di circa m.1,70, a cui si accedeva a mezzo di uno stretto cunicolo - sembra di dodici gradini- nascosto da una botola mimetizzata e segreta, passando attraverso il corridoio d'accesso al coro antistante i penetrali , reso del tutto inaccessibile da un Papa francescano ,Sisto IV della Rovere, dopo la sua visita alla Basilica nel 1476. La scelta di camuffare l'entrata fu motivata - secondo i cronisti dell'epoca - dal rischio concreto di indebite profanazioni e conservare intatti i resti mortali, ma sopratutto per preservare da un culto feticistico il corpo di San Francesco, che fu traslato il 25 maggio 1230, in una strana cerimonia, in cui Elia, grazie ai poteri che gli conferiva la carica di Vicario generale, in accordo con le autorità comunali, giunto che fu l’imponente corteo alle soglie della nuova Basilica ed entrata che vi fu la santa reliquia, fece chiudere dagli armigeri del Comune il portone alle sue spalle, respingendo l’immensa folla e soprattutto, oltre ai più alti prelati, ai notabili e ai nobili giunti appositamente da ogni parte d’Europa. Frate Elia, chiusa la porta dall’interno, fece trasportare, con l’aiuto di alcuni fedelissimi, il corpo del Santo nella "cripta", all’uopo predisposta sotto il Santuario, di cui nessuno conosceva l’esistenza tranne i maestri che avevano diretto i lavori e le maestranze utilizzate, che erano state però tutte liquidate e fatte tornare ai loro paesi d’origine. Elia -così raccontano le cronache- allontanati i presenti e restato molto probabilmente solo alla luce della "strana posizione e valenza simbolica degli oggetti" ritrovati intorno al corpo, provvide, con un lungo e meticoloso lavoro, ad occultare nella roccia le spoglie mortali di Francesco, che vennero restituite alla venerazione ed esposte al pubblico solo seicento anni dopo, nel 1818. Di sicuro il sarcofago venne posto sotto l'altare maggiore, in luogo non accessibile al pubblico, ma forse visibile attraverso una "finestrella della confessione", come sostengono alcuni cronisti. Altri parlano invece di uno stretto "cunicolo di accesso" abilmente camuffato, che fino al 1476 portava alla camera sepolcrale, alta 1,70 m, sotto la quale era stato resa inaccessibile la bara con i resti mortali del Beato Francesco, essendo stata sovrapposta alla teca, avvolta nella gabbia di ferro, tre lastre di travertino, le ultime due unite da calcestruzzo ed incastrate con stanghe di ferro nei muri perimetrali. Si poteva sdraiarsi od inginocchiarsi sul pavimento, senza vedere né toccare i resti mortali di Francesco. In tale data questo cunicolo sarebbe stato però definitivamente chiuso, onde evitare -questa è la versione ufficiale- che la salma venisse trafugata da invasori o da nemici della città, che, come era usanza in quel periodo storico durante le lotte fra comuni rivali, sottraevano alla città soccombente, come prezioso cimelio, le reliquie del Santo patrono. Col passare degli anni si perse conoscenza del luogo esatto(??) della tomba. Solo nel 1806 si decise di aprire il sepolcro, ma, causa l'occupazione napoleonica, si rimandò tutto al 1818, quando venne scoperto "un sarcofago" protetto da alcune sbarre di ferro. Dopo la scoperta, nel 1822, sotto la direzione dell’architetto Belli, si scavò nella roccia, realizzando intorno alla tomba una vera cripta in stile neoclassico, poi abbattuta perché in contrasto con lo stile romanico della chiesa. La sistemazione attuale del vano, opera dell'architetto Ugo Tarchi, fu attuata tra il 1926 e il 1932. Su questo avvenimento le versioni degli storici più qualificati sono contrastanti e abbiamo deciso di dedicare un capitolo specifico ai "misteri" che nasconde la strana e inconsueta "tumulazione del corpo" di San Francesco e l’incredibile "silenzio" sul luogo dove riposavano le sue spoglie mortali, mantenuto segretissimo per tutto questo lunghissimo tempo. Si vorrebbe infatti cercare di comprendere quali furono "i reali motivi", che indussero frate Elia a compiere un gesto di tale portata, con il pieno consenso dei 24 generali, che governavano la città di Assisi, e dello stesso Papa Gregorio IX, anch’egli amico personale, gran estimatore di Francesco e difensore dell’Ordine dei frati minori, lasciato fuori inopinatamente dalla porta. In effetti, il Pontefice, Gregorio IX, dopo il primo comprensibile disappunto per questo atto apparentemente ingiustificabile, che lo aveva portato a chiedere, a fronte dell’immenso scandalo scoppiato, la punizione delle Autorità comunali e ad interdire "a divinis" la Basilica, sentite le ragioni di frate Elia, improvvisamente si placò, come pure l’intera Curia e tutti gli irritatissimi rappresentanti delle più importanti Corti europee -il Gotha della società europea- presenti alla cerimonia, che nulla ebbero più da eccepire. Ma la cosa che lascia veramente sconcertati è il comportamento successivo, una volta placatisi gli animi. Non si riesce effettivamente a comprendere perché mai nessuno per seicento anni si sia chiesta la ragione, non tanto del gesto di frate Elia, fatto letteralmente sparire dalla storia come il corpo del Beato Francesco, ma di questo strano ed inaspettato cambiamento di Gregorio IX e dei suoi successori, che avallarono e rispettarono sempre questa decisione fino al 1818. Gregorio IX e pochissimi altri dovevano quindi essere stati messi segretamente a parte del nascondiglio del corpo e come fosse possibile raggiungerlo. Ciò di cui il papa è rimasto però sicuramente all’oscuro riguarda il come era effettivamente avvenuta la cerimonia di traslazione all’interno della cripta. In quell’angusto spazio scelto per la sepoltura, una volta fatta passare la salma attraverso lo stretto cunicolo, o , come è più probabile,calatolo dall'alto già ingabbiato,frate Elia, restato con pochi frati scelti come "guardiani della soglia", dovette seguire un preciso cerimoniale massonico; troppi sono infatti gli indizi e i messaggi simbolici che confermano la Sua appartenenza all’Ordine dei Muratori. Egli pose infatti intorno alla sacre reliquie una serie di oggetti simbolici in numero di "dodici", seguendo un preciso e antichissimo rituale, appreso probabilmente durante il suo soggiorno in Egitto ed in Siria. Pensiamo che abbia assunto a tutti gli effetti il ruolo del Gran Sacerdote dell’antico Egitto, a cui, unico, spettava il compito di porre intorno alla mummia del Faraone gli oggetti scelti per prepararlo al viaggio verso l’oltretomba. Questi oggetti sono stati ritrovati e recuperati solo nel 1818 all’apertura della tomba, autorizzata in via non ufficiale dal Papa, ma non sono stati assolutamente "compresi" nelo loro e profondo significato simbolico. Gli oggetti ritrovati sono stati i ritenuti offerte di fedeli introdotte, dopo la tumulazione, facendoli passare attraverso i piccoli fori della grata superiore , che copriva la teca di travertino aperta. l'unico che può averli messi è Frate Elia, alchimista, > vedi il capitolo CODEX FRATE ELIA < che non li ha lasciati come ricordi di oggetti appartenuti al Santo, ma crediamo abbia voluto dare ad ognuno in presiso significato esoterico

> la pietra angolare?

> le dodici monete d'argento?

> l'anello con Minerva?

> la coroncina di 12 grani di ambra e 17 di ebano?

Alcuni di essi erano custoditi fino al 1978 Roma nella Basilica dei SS XII Apostoli, ma, come al solito, nessuno fa il benché minimo cenno né alla loro natura, né tanto meno alla posizione in cui erano stati diligentemente posti da frate Elia intorno e sotto il corpo, come "la pietra angolare", su cui si ritiene poggiasse il capo del Santo, pietra che, unitamente alle 11 (+ 1 ?) monete d'argento ed una statuetta d'argento, sono custoditi in una teca nella "Cappella delle Reliquie" realizzata nella Basilica Inferiore, utilizzata, in origine, da "sala capitolare" del Convento. Tra gli oggetti ritrovati figuravano anche 11+1 monete d’argento:

> Tre furono individuate subito nel dicembre del 1818, perchè poste in evidenza sul fianco sinistro

> Otto vennero recuperate al momento di estrarre le ossa e la polvere che le ricopriva.

>la dodicesima fu individuata solo dopo due anni dalla scoperta e dall'apertura del sarcofago.

Riesaminando infatti i frantumi delle ossa di San Francesco il 15 novembre 1820 i periti trovarono anche quest' ultima monetina, che non risulta esposta nelle teca, come le altre undici e che non si sa dove sia finita (Vedi Isidoro Gatti: " La tomba di San Francesco nei secoli" pag.267, nota 140. Dal libro edito dalla Casa editrice francescana sono state tratte le immagini delle 11 monete e della tomba). 12 monete, lo stesso numero dei 12 acini d’ambra ritrovati insieme ai 17 chicchi d’ebano,che formavano una coroncina, ma dai resoconti non si sa quale fosse la ripartizione di questi 29 grani e quale significato simbolico avesse voluto darle frate Elia. Per quanto riguarda la coroncina sorprende che non si sia mai ricercata l'effettiva disposizione dei 29 grani e quale fosse lo scopo e l'effettivo utilizzo? Potrebbe essere un piccolo rosario o un Kimbalion islamico, che normalmente ha 33 grani e non 29. Nel capitolo > CODEX FRATE ELIA < abbiamo cecato di fornire possibile interpretazione del significato simbolico dell'anello di Francesco, che non è dato sapere se lo indossava in vita o è stato posto ai suoi piedi da frate Elia al momento della tumulazione, insieme alle monete d'argento,alla coroncina ed alla pietra angolare ,per lasciare ai posteri un messaggio criptato Fino ad oggi i posteri non se lo sono ancora chiesto a duecento anni dal rirtrovamento. L’anello -dicono- "sia andato perduto", come i grani della coroncina e tutti gli appunti di frate Elia, in cui molto probabilmente c'era la spiegazione di questo rituale e del significato simbolico e mistico di ognuno di questi oggetti legati a qualche culto misterico. E' un segreto, che - come si suol dire- si è portato nella tomba. Terminata la cerimonia, che deve aver richiesto non poco tempo, mentre all’esterno la folla inferocita inveiva contro frate Elia e gli armigeri posti a difesa del portale, provvide ad occultare l’entrata del cunicolo, camuffandola così bene che ci vollero anni per individuarla. Solo nel 1818 il cunicolo fu riaperto e la salma fu esaminata. La ricognizione riconobbe, nel 1820, l’identità del corpo del Santo. La cosa che lascia sinceramente perplessi, per non dire sconcertati, è la passiva acquiescenza e il rispetto della decisione di Frate Elia, avallata da tutti i Papi, e il fatto che questa si sia protratta per quasi 600 anni, senza che alcun Papa si facesse promotore di scavi per recuperare le spoglie mortali di San Francesco, soprattutto dopo che frate Elia era stato costretto a dimettersi da Vicario generale dell’Ordine dei Frati Minori nel 1239 e avesse lasciato definitivamente Assisi. La Guida spirituale dell'Ordine dei Frati Minori fu infatti costretta non solo a lasciare la carica di Vicario Generale, decretata nel 1239 nel Capitolo generale che si tenne a Roma per la Pentecoste di quell'anno, ma tutti i suoi scritti e appunti furono meticolosamente raccolti e distrutti con una puntigliosità degna del peggior Giordano Bruno, onde non lasciar di lui la benché minima traccia. Alla scomunica e all'allontanamento coatto da Assisi, seguì infatti la distruzione sistematica dei suoi archivi segreti. Furono persino strappati dagli antichi registri del Sacro Convento di Assisi i fogli che si riferivano alla Sua persona e inoltre andò "perduto" il registro dove frate Illuminato segnava le lettere che frate Elia riceveva e spediva: in pratica, fu tutto appositamente e faziosamente distrutto. Ma la cosa strana è che frate Elia e i maestri comacini, sembra abbiano seguito l’esempio dei sacerdoti egiziani, predisponendo un locale, in cui avevano riposto "un sarcofago", che avrebbe accolto, come avveniva appunto per i faraoni, il corpo del Santo, camuffandone l’accesso. Alla tomba si poteva accedere attraverso un cunicolo segreto, dove la salma sarebbe rimasta nascosta e preservata per oltre 600 anni, come è avvenuto per la Tomba del Faraone Sethi I, che era stata pefettamente camuffata, nascondendola in una seconda camera mortuaria, ingannando così i profantori, che si fermavano alla prima non pensando, una volta scoperto il cunicolo di accesso, che ce ne fosse un'altra > quella vera. Né frate Elia, né i maestri comacini rivelarono mai il segreto, né tanto meno coloro che avevano cercato e distrutto i suoi appunti, proprio perché ne erano venuti a conoscenza, e forse affinché, data la scomunica e l’allontanamento di Elia, non trapelasse mai la volontà di Gregorio IX, che a posteriori aveva condiviso e compreso i motivi che lo avevano spinto a compiere questo apparente insano gesto. Non si spiegherebbe altrimenti "il silenzio assoluto" sull’intera vicenda e il riserbo sicuramente "consigliato" anche ai suoi successori, i quali ne venivano puntualmente informati all’atto dell’elevazione al soglio pontificio, rispettandolo ed imponendolo a loro volta. E che tale fosse la questione ne dà appunto un’indiretta conferma la decisone del 1442 di chiudere definitivamente l’accesso al cunicolo, che impedì per altri 400 anni che si potesse accedere alla tomba nemmeno per caso. Sarebbe infatti veramente troppo semplicistico pensare che frate Elia e gli abili maestri costruttori della Basilica fossero riusciti a camuffare perfettamente la bocca dell’antro e a nascondere il corpo così bene da renderne impossibile il ritrovamento. Né si può sostenere che frate Elia, il quale, pur avendo a più riprese dimostrato di possedere capacità taumaturgiche e divinatorie, tanto da predire allo stesso Francesco l’approssimarsi della morte, prevista entro due anni, avesse particolari poteri occulti da creare intorno al nascondiglio, dove giacevano le spoglie del Santo, una cortina invisibile e insuperabile intorno al sito dove era stato rinchiuso, rendendo inutili e vani i continui e disperati tentativi dei "non addetti ai lavori" di scoprire dove era stato nascosto. Solo il Vaticano, come è sempre stata sua prassi costante, deve aver bloccato scientemente ogni informazione e fatto in modo che l'argomento della sepoltura di San Francesco non venisse più toccato né prima, né dopo il ritrovamento dei suoi resti mortali. Ancora oggi è difficilissimo reperire precise informazioni al riguardo, restando l’incredibile e importantissimo avvenimento da tutti minimizzato e volutamente sottovalutato, come è del resto avvenuto puntualmente per "il segreto dei tre >888<" e per "Celestino V", fatto passare lungo altrettanti secoli per un inetto e un incapace. Molte spiegazioni tramandateci non hanno infatti alcuna logica apparente e gli avvenimenti appaiono volutamente distorti e manomessi. Ma forse fanno comprendere a posteriori l’accanimento con il quale questi incredibili accadimenti siano stati minimizzati e sottaciuti e la figura di frate Elia camuffata e svilita, facendo in modo che sparisse qualsiasi suo scritto e fossero scientificamente e minuziosamente distrutti anche dei semplici appunti o registrazioni.

Cortona: Basilica. Interno con navata ortogonale Reliquie esposte all'interno del museo Ma ciò che non si è riuscìti a far sparire sono "tre reliquie" che frate Elia si era portato via lasciando Assisi per rifugiarsi in terra toscana: un cuscino di elegantissima e ricca tessitura, un evangelario e un Saio, reliquie per anni custodite personalmente e offerte, prima di morire nel 1253, ai fraticelli di Cortona, dove egli aveva fatto costruire un'altra Basilica dedicata a San Francesco. Indizi che confermano non solo i strettissimi legami spirituali che univano i due frati, ma aprono uno squarcio alla verità dei fatti e alle motivazioni che avevano indotto frate Elia a preservare il più a lungo possibile "la reliquia" più importante. Nel 2003, in occasione dei settecentocinquanta anni dalla morte di frate Elia da Cortona, se ne è avuta un’indiretta, ma concreta conferma. La Provincia toscana dei frati minori conventuali ha disposto il restauro e la riapertura della chiesa e del convento di San Francesco a Cortona per poi organizzare una serie di iniziative culturali e spirituali, che hanno compreso lo studio scientifico delle reliquie della Chiesa cortonese, cioè dei tre oggetti che la tradizione vuole che frate Elia abbia portato sempre con sé fino alla morte. Il fine più importante di queste ricerche è stato ribadire il legame intimo e profondo del frate aretino con san Francesco e riabilitare la figura di padre Elia, come ha affermato il padre conventuale, Fra Antonio:

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BRAY

 

 

Sceau (SIGILLO) de la baronnie de Bray

La baronnie de Bray s'étend le long d'axes stratégiques comme la Seine, la voie romaine de Sens à Meaux qui permet de passer le pont en marquant le c'ur de la châtellenie de la vallée de l'Oreuse, la limite du comté de Champagne et l'Yonne. Ses barons Henri le Libéral, comte de Champagne, puis Jacques, duc de Savoie, gèrent les territoires autour de dix places principales : Passy, Montigny, Bazoches, Les Ormes, Dontilly, la Villeneuve-du-Comte, Égligny, Vin-neuf, Courlon et Bray-sur-Seine.

 

 

CENNI STORICI SUL MIO CASATO BRAY

 Il casato BRAY-BRAI, cognome sembra essere derivante dal francese (e prima da quello, Celtico). Il nome proviene da diversi periodi storici nei paesi d'Europa. Contea Wicklow, l'Irlanda, vicino a Brayhead. Nelle annotazioni antiche il nome era Bree, preso dal vecchio bri o brigh irlandese, una collina. Questa parola è simile nelle vecchie lingue gaeliche e celtiche; In Inghilterra il nome è trovato applicato alle parrocchie in contee Devon e Berks. Molti città e distretti in Francia impiegano il Bray o certa forma del nome, come: Bray-sur-Somme, Bray-sur-Seine, Bre-Cotes-du-Nord, Bray-La-Campagne, Bray-Calvados e paga de Bray. Ci sono parecchi posti chiamati BRAY in Europa, la città Bray in Inghilterra è in Berkshire sul fiume di Tamigi vicino a Windsor, Bray in Irlanda è sul sud del litorale appena di Dublino in contea Wicklow e ci è un distretto chiamato paga de Bray vicino a Rouen e ad un villaggio Bray vicino a Parigi in Francia in Lilla."La gente normanna„ dal Re", condizioni il nome deriva da un posto denominato Bray vicino ad Evreux, Normandia; Milo de Brai 1064 era signore di Montlhéry a partire dal 1095 sua moglie era Lithuise figlia di Stephes conte di Blois e di Adela della Normandia, figlia di William il conquistatore ed il suo figlio dello stesso nome Milo II de Brai 1118 signore di Montlhéry e di Braye, visconte di Troyes 1096,  il figlio maggiore Trousseau de Brai, signore di Monthléry  sua figlia Elizabeth di Montlhéry nel 1103 sposò Philip, Conte di Mantes, figlio di Philip I della Francia e di Bertrada de Momtfort, parteciparono alla 1^ crociata nel 1096. Nel  1066, sir Guillaume de Brai, successivamente in inglese William de Bray e sir Thomas de Bray, parteciparono alla conquista dell'Inghilterra a fianco del Duca di Normandia William. Sul rotolo nell'abbazia i nomi di coloro che hanno partecipato alla battaglia di  hastings. Al Servizio dei Re d'Inghlilterra dal (1066 - 1485): In un villaggio vicino Berkshire Bray vi è una chiesa del XII secolo costruita da Bray, in cornovaglia. sir Richard Bray cavaliere della giarrettiera e Consigliere al servio di Henry VI e della sua moglie Joan Troughton. Nel Concistoro del 22 maggio 1262 fù nominato Cardinale Guillaume de Bray da Papa Urbano IV . Il casato si stabilì in Puglia in Gravina e nel salento. Nominis reliquiae supersunt planissime, Bibracte Galliae etiam nunc in Bray contrahitur, et non procul hinc Caesar Tamisim cum suis transmisit ...",

 

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Papa Benedictus XVI

Joseph Ratzinger


Il Santo Padre con il Vescovo di Ugento (LE) Mons. VITO DE GRISANTIS in occasione della visita a Santa Maria di Leuca (LE) "de finibus terrae"14 Giugno 2008


 

SIGILLUM MILITUM

 

A Troyes Francia nel 1127, i Cavalieri Templari adottarono il motto: "Non nobis Domine, non nobis, sed nomini Tuo da gloriam", ossia "Non a noi, Signore, non a noi, ma al Tuo nome da gloria". E’ facile immaginare come un simile motto potesse accendere gli animi.
San Bernardo da Chiaravalle inoltre trasmise ai cavalieri la devozione a Maria e il grande rispetto per la donna, la Regola infatti cita: "Maria presiedette al principio del nostro Ordine

 

INVESTITURE

 

Nel medioevo il cavaliere veniva istruito nell’uso delle armi; egli era sottoposto a studi che ingentilivano gli animi e di ordine morale. Altre caratteristiche della cavalleria erano: cortesia, difesa della giustizia, appoggio alla debolezza, omaggio alla bellezza, idealizzazione dell’amore come mezzo di elevazione morale. L’incontro con il soprannaturale, secondo le credenze d’epoca, avrebbe completato l’iniziazione del cavaliere.

Iniziazione cavalleresca
La vestizione - com’era chiamata l’iniziazione cavalleresca - era considerata già alla fine del XI -XII secolo con la fondazione degli Ordini un "ottavo sacramento". Il candidato vi si preparava con una notte di veglia in armi nella cappella di famiglia, inginocchiato davanti all’altare. Veniva poi purificato con un bagno rituale, confessato e comunicato. Seguiva una messa solenne, al termine della quale avveniva la vestizione vera e propria, che consisteva nella consegna da parte del sacerdote della spada consacrata, degli speroni, dello scudo, della lancia e delle varie parti dell’armatura, che appunto il giovane indossava.
La cerimonia si concludeva infine con l’accollata o palmata, cioè con un colpo inferto col palmo della mano dal padrino sulla nuca del neofita, o anche di piatto con la spada sulla spalla. Era consuetudine che il colpo fosse di una certa forza, tanto da far vacillare il ricevente.
 
Bisognava alimentare tra i cavalieri rapporti di solidarietà, lealtà, fratellanza, oltre che naturalmente di fedeltà incondizionata. Non importava che la compagnia fosse numerosa; importava che fossero saldi i legami al suo interno e che ne facessero parte, soprattutto, quei pochi vassalli davvero in grado - per valore, potere, prestigio personale - di controllare tutti gli altri.

 

 

RE CRISTIANI

 

 

CATTEDRALI GOTICHE

 

I Cavalieri Templari, si ritiene avessero rinvenuto documenti relativi alle "LEGGI DIVINE DEI NUMERI,DEI PESI E DELLE MISURE" sotto le rovine del Tempio di Salomone a Gerusalemme e li avrebbero forniti ai costruttori di cattedrali.

Le cattedrali gotiche sono dei veri e propri libri di pietra, per tramandare straordinarie conoscenze che solo poche persone iniziate a simboli ed a codici particolari, avrebbero potuto comprendere. Infatti la grandiosità, l'imponenza e tutta una serie di misteri non risolti hanno fatto diffondere attorno alle cattedrali gotiche numerose leggende legate a figure ed oggetti leggendari della storia del Cristianesimo, dai Cavalieri Templari al Santo Graal.

Furono costruite improvvisamente in Europa, intorno al 1128 (cattedrale di Sens), proprio dopo il ritorno dei Cavalieri Templari dalla Terrasanta, con una maestria costruttiva tecnica e architettonica completamente diversa dalle precedenti chiese romaniche. Una dopo l'altra, sorsero le cattedrali di Evreux, di Rouen, di Reims, di Amiens, di Bayeux, di Parigi, fino ad arrivare al trionfo della cattedrale di Chartres. I piani di costruzione e tutti progetti originali di esecuzione di queste cattedrali non sono mai stati trovati. Le opere murarie erano fatte con una maestria eccezionale. Per i tecnici, come gli architetti, ad esempio, possiamo vedere come i contrafforti esterni esercitano una spinta sulle pareti laterali della navata, e così facendo il peso, anziché gravare verso il basso, viene come spinto verso l'alto, e tutta la struttura appare proiettata verso il cielo. Le Cattedrali inoltre sono tutte poste allo stesso modo: con l’abside rivolto verso est (cioè verso la luce), sono tutte dedicate a Notre Dame, cioè alla Vergine Maria e se unite insieme formano esattamente la costellazione della Vergine.

Inoltre vennero costruite su luoghi già considerati sacri al culto della "Grande Madre", ritenuto il culto unitario più diffuso prima del Cristianesimo; molti di questi luoghi inoltre sono dei veri e propri nodi di correnti terrestri, ovvero punti in cui l'energia terrestre è molto forte (grandi allineamenti di megaliti). Hanno pianta a croce latina: la croce "é il geroglifico alchemico del crogiuolo" (Fulcanelli), ed è nel crogiuolo che la materia prima necessaria per la Grande Opera alchemica muore, per poi rinascere trasformata in un qualcosa di più elevato.

Sono adornate da un gran numero di statue o bassorilievi raffiguranti figure altamente simboliche e simboli magici ed esoterici, che poco hanno a che vedere con la loro funzione di chiese cristiane ed hanno un particolare orientamento in modo che il fedele, entrando nell'edificio sacro, cammini verso l'Oriente, ovvero verso la Palestina, luogo di nascita del Cristianesimo.

Ciascuna cattedrale è dotata di una cripta in cui secondo alcune tradizioni sarebbero nascosti degli oggetti sacri molto importanti (ad esempio si dice che in una delle cripte della Cattedrale di Chartres sia custodita l'Arca dell'Alleanza, e che quando questa cripta sarà scoperta la cattedrale crollerà al suolo). Ma le cripte sono legate ad un altro elemento molto misterioso: le "Vergini Nere", statue o bassorilievi, che raffigurano appunto la vergine Maria, con la particolarità della carnagione scura.

 

Francia Parigi

 

 

Notre Dame

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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