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Rinunciare? Ma siamo sicuri che sia una rinuncia?

Post n°67 pubblicato il 13 Giugno 2011 da mumonboard
 

Quant’è difficile rinunciare a qualcosa per il bene di un figlio?

Chi mi legge da un po’, ormai l’avrà capito.

Nessuna rinuncia per quanto mi riguarda è troppo grande se fatta per venire incontro alle esigenze delle mie figlie.

E sono anche perfettamente certa e conscia di non essere l’unica a pensarla così.

Non frequento moltissimi genitori, però quelli che incontro, quelli con cui mi confronto, sembrano tutti condividere il mio punto di vista.

In realtà non ne abbiamo mai nemmeno parlato direttamente, perché tanto dai racconti che ci scambiano, riguardo alle difficoltà che viviamo tutti i giorni, si capisce perfettamente che il nostro pensiero è esattamente quello che ho descritto sopra.

Ed è normale.

Quindi per quanto mi riguarda, il difficile non è rinunciare, ma il prendere coscienza che si tratta di una rinuncia.

Quando ero incinta, ogni volta che mi ponevo uno scrupolo in merito al fare o non fare qualcosa, oppure andare o non andare in qualche luogo, c’era sempre qualcuno che mi diceva :” Vai, fai quello che ti pare e approfitta finché sei in tempo, perché ora che nasce la bambina non sarà mai più come prima!”

Io ridevo, mi sembrava una specie di sentenza senza appello, come se diventare mamma fosse una  condanna a vita, senza attenuanti, senza via d’uscita.

E credo che siano anche le frasi di questo tipo che aiutano la mentalità anti-maternità presente nella gran parte degli ambienti, da quello lavorativo,  a quello meno fondamentale ma altrettanto importante della vita sociale.

Se sei madre non puoi più fare nulla: è difficile lavorare, è difficile studiare, è difficile viaggiare, è difficile andare al ristorante, è difficile fare un giro per negozi, frequentare cinema, teatri.  Tutto è molto più impegnativo, a tratti impossibile.

E la frustrazione rischia di portarti all’esasperazione. Ci vuole pazienza, ci vuole coscienza, ci vuole forza, soprattutto quella, molta forza d’animo, per non farsi travolgere da quei meccanismi esterni che ti possono portare a pensare, che visto che la tua vita sociale diminuisce moltissimo, se non sparisce del tutto, tu non abbia più alcun valore. Che tu sia una specie di essere misero dalla vita altrettanto miserabile.

Il primo valore,resta sempre il denaro, quindi la carriera, seguita a ruota dalla capacità d’acquisto di beni da poter poi sfoggiare in occasioni più o meno mondane.

Che sia le serata di gala, oppure la discoteca di Alghero.

E i bambini? Che cosa importa?

Quelli li possiamo tranquillamente mollare a casa, anche se hanno due anni e si disperano al solo pensiero che la mamma e il papà li lascino da soli a casa con una perfetta sconosciuta.

O ancora meglio, lasciamoli in macchina, fuori dalla discoteca, tanto dormono…

Io mi rendo conto di essere estrema e forse anche un po’ estremista, però sono sconvolta.

Sono arrabbiata, non se ne può più.

Non è normale! In giro per il web è pieno di blog di mamme e io ogni tanto ne leggo qualcuno.

Molti sono pieni di racconti molto teneri e buffi su cosa combinano i piccoli, ma alla fine, eccola là, implacabile arriva la battutina su quanto sia orribile non poter andare a ballare, non poter fare l’aperitivo, “ e il mio massimo sono le tagliatelle di nonna pina”…e che sarà mai?

Avere dei figli non è un reato!

E’ una cosa impegnativa, su questo non c’è dubbio, lo sanno tutti.

E allora a che scopo averli se poi non si ha voglia di crescerli?

Rinunciare a una serata in discoteca, può essere ritenuto un sacrificio? Se la risposta è si, allora lasciate perdere i bambini, rispettate il loro diritto a nascere in una famiglia che li ami e li protegga e usate gli anticoncezionali.

Io non sono una madre perfetta, molto spesso sbaglio anche io, sbaglio eccome!

Di sicuro le sgrido troppo e probabilmente per eccesso di zelo, le farò crescere insicure, ma almeno non potranno mai e poi mai dirmi che non mi sono voluta dedicare a loro.

E vada come vada, nessuna “rinuncia” che sto facendo adesso, sarà mai abbastanza grave, da portarmi a pentirmi di averle avute.

 

 

 

 
 
 
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